Putin e il suicidio Ue come l’antica Grecia
di Pino Arlacchi
L’Europa di oggi è afflitta, come la Grecia antica, da disuguaglianze e fratture: si sta spegnendo perché è caduta in mano a élite scadenti, preoccupate solo della propria sopravvivenza
Con il suo folle piano di riarmo l’élite al potere in Europa Occidentale sta tentando di costruire una minaccia russa che esiste solo nei suoi deliri e che serve a nascondere la sua incapacità di giocare la vera partita, che è tutta interna all’Europa stessa.
La partita del lento e inesorabile impoverimento della sua popolazione a vantaggio di pochi privilegiati che dura da mezzo secolo. La partita della perdita dell’energia vitale del continente, sempre più isolato in un pianeta non più dominato dall’Occidente e che trabocca di voglia di emancipazione e di pace.
Il progetto europeo, concepito dopo il 1945 come reazione a due guerre mondiali che avevano portato l’Europa sull’orlo dell’autodistruzione, ha esaurito la sua spinta propulsiva. Non è più un grande piano di pace e prosperità condivisa. Si è corrotto e ribaltato in un cupio dissolvi, in un rinnovato impeto suicida.
Che altro può essere se non un folle voto verso la morte l’attacco che l’oligarchia dell’occidente europeo sta sferrando ad un’altra parte dell’Europa, la Russia, dotata di armi di distruzione di massa in grado di distruggere l’intera civiltà europea?
E se la Russia decidesse di prendere sul serio la minaccia di aggressione lanciata da Bruxelles giocando d’anticipo e prendendo l’iniziativa invece di aspettare vent’anni come nel caso dell’Ucraina? Per il momento Putin pare più propenso a considerare poco più che un vaniloquio le dichiarazioni della von der Leyen e le isterie anti-russe del Parlamento europeo. Ma nel caso opposto non credo che la fine dell’Europa avverrebbe lentamente, nell’arco di secoli o di generazioni, come è accaduto alla sua casa madre, la Grecia classica, estintasi per le stesse assurde ragioni promosse oggi dagli inetti leader europei.
Non sono stati gli archi dell’invasore persiano né le lance macedoni a spegnere la voce di Atene, ma il graduale avvelenamento delle sue stesse radici. La Grecia classica non cadde sotto i colpi di un nemico esterno. Morì per un prolungato suicidio, consumato nell’arco di guerre fratricide. Lo sfacelo della Grecia antica conserva una risonanza inquietante e un’attualità che non possiamo permetterci di ignorare.
La narrazione tradizionale che attribuisce alla “minaccia persiana” le origini del declino ellenico è una semplificazione storica che non regge all’analisi critica degli eventi. Come ha osservato Arnold Toynbee, le civiltà non muoiono assassinate, ma si suicidano. Il caso greco ha contribuito a ispirare questa massima, rivelando come il sistema delle poleis, le città-stato, con la sua straordinaria vitalità culturale e le sue profonde contraddizioni politiche, contenesse già in sé i semi del proprio disfacimento.
L’evento catalizzatore di questo processo di autodistruzione fu indubbiamente la guerra del Peloponneso (431-404 a.C.), un conflitto che lacerò il mondo greco per 27 anni, contrapponendo Atene e la sua Lega Delio-Attica a Sparta e la Lega Peloponnesiaca. La guerra fu iniziata dagli Spartani ma Tucidide, il grande storico testimone diretto degli eventi, distingue tra la “causa vera” e i “pretesti immediati”.
Secondo lui, la causa profonda era stata “la crescita della potenza ateniese e il timore che essa provocava in Sparta”. Atene aveva trasformato la Lega di Delo (nata come alleanza difensiva in stile Nato contro i Persiani) in un vero e proprio impero marittimo le cui navi minacciavano le coste del Peloponneso spartano. Quindi, se formalmente fu Sparta a dichiarare guerra, Tucidide suggerisce che fu l’espansionismo ateniese a rendere il conflitto praticamente inevitabile. (Vi viene in mente qualcosa?).