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Carmen Tortora

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Auguro a tutti voi, e alle persone che amate, una Pasqua di verità, di cuore e di luce. Che possiate risorgere ogni giorno, nel silenzio del cuore e nella forza dell’anima.
04.04.202511:04
GEOINGEGNERIA: IL GRANDE INGANNO CLIMATICO FIRMATO ONU

Tra moratorie farsa e business del clima, ecco cosa sta succedendo davvero


Mentre a ogni conferenza sul clima i funzionari dell’ONU ripetono il solito ritornello della "moratoria precauzionale", nella realtà si stanno già conducendo esperimenti su larga scala per manipolare il clima, gli oceani, l’atmosfera e, di conseguenza, la vita stessa sul pianeta. A farlo non sono solo università o enti pubblici, ma decine di aziende private che si stanno spartendo un nuovo mercato: quello della geoingegneria commerciale, nascosto dietro la maschera della lotta al cambiamento climatico.

Le
40 aziende del business del cielo

Secondo l’ETC Group, almeno quaranta aziende stanno già conducendo o pianificando esperimenti di geoingegneria marina in mare aperto. Tra queste:

Aspiration Tech – startup focalizzata sulla rimozione di CO2 tramite nuove tecnologie di cattura diretta, sostenuta da fondi venture capital statunitensi come Social Capital.

Blue Dot Change – società con progetti pilota di fertilizzazione oceanica, supportata da investitori privati del settore ambientale e da capitali filantropici provenienti da fondazioni accademiche e ONG ambientali minori.

Running Tide – azienda statunitense sostenuta da Venrock (fondo VC legato a Rockefeller), Lowercarbon Capital (fondata da Chris Sacca), e da fondi collegati a Breakthrough Energy.

Carbon Collect – supportata da fondi di innovazione ambientale, ha collaborazioni con la Arizona State University e riceve sostegno da EIT Climate-KIC (programma UE).

Arca Climate – impresa canadese finanziata da Breakthrough Energy Ventures, il fondo climatico di Bill Gates, con la partecipazione di Bezos Earth Fund e Soros Economic Development Fund.

Climeworks – azienda svizzera con finanziamenti da Microsoft Climate Innovation Fund, Swiss Re, John Doerr, Partners Group e varie banche verdi europee.

Heirloom Carbon – startup americana sostenuta anch’essa da Breakthrough Energy Ventures, Stripe Climate, Shopify Sustainability Fund e Lowercarbon Capital.

Planetary Technologies – finanziata da Sustainable Development Technology Canada (fondo pubblico) e da fondi privati del Canada Green Fund, con donazioni provenienti anche dal Grantham Environmental Trust.

Captura Corp – spin-off del Caltech finanziato da Equinor Ventures, dal fondo Schmidt Futures (di Eric Schmidt, ex Google) e da Future Planet Capital.

Ocean-based Climate Solutions – supportata da donazioni e capitali filantropici legati a network accademici, in particolare da fondazioni universitarie USA, dal David and Lucile Packard Foundation e da The ClimateWorks Foundation.


Molte di queste stanno già vendendo crediti di carbonio nei mercati volontari, pur senza alcuna prova concreta che le loro tecnologie rimuovano davvero il carbonio in modo permanente. Ma il business va avanti lo stesso. E gli effetti sugli ecosistemi marini, sulle comunità costiere e sulla biodiversità sono del tutto trascurati o ignorati.

Gli esperimenti climatici in corso

Queste sono alcune delle tecniche che vengono già sperimentate o proposte:

Iniezione di aerosol nella stratosfera:
si spruzza solfato di zolfo per riflettere la luce solare e raffreddare il pianeta, col rischio di danneggiare lo strato di ozono.

Fertilizzazione degli oceani: si scaricano sali di ferro per stimolare il fitoplancton che assorbe CO2.

Rilascio di minerali per modificare la chimica degli oceani.

Schiarimento delle nuvole marine: si spruzzano particelle per aumentare la riflettività delle nuvole.

Spargimento di perline sintetiche riflettenti sull’Artico.

Mega coltivazioni di alghe geneticamente modificate da affondare nei mari.

Affondamento di biomassa e detriti organici negli abissi oceanici.

Alcuni di questi esperimenti sono già stati condotti, come quello di Russ George nel 2011 nel Pacifico. Altri, come il progetto SCoPEx dell’Università di Harvard finanziato da Bill Gates, sono stati sospesi solo dopo le proteste delle popolazioni indigene.

Moratorie per finta, sperimentazioni reali
06.04.202508:59
Check-in distopico: la vacanza inizia col riconoscimento facciale

Con le vacanze di primavera alle porte, orde di viaggiatori si riverseranno negli aeroporti come ai bei tempi... solo che ora, prima di salire sull’aereo, dovranno fare un bel sorriso alla macchina. Niente più carta d’imbarco: una scansione del volto e sei schedato come si deve.

Arizona, Ohio, Colorado? Avanguardia del controllo: qui puoi persino usare il tuo ID digitale per passare i controlli come un bravo cittadino del futuro. Tutto comodo, tutto “fluido”. Peccato che nel frattempo la tua identità venga digitalizzata, analizzata, registrata e (forse) cancellata, dicono loro.

Lezione n.1: Se è comodo, nessuno si lamenta

I dati dicono che il 90% dei passeggeri americani è favorevole alla biometria purché si risparmino 10 minuti in fila. La privacy? Secondaria. Il nuovo mantra è: “se mi fai passare più in fretta, puoi pure scattarmi una TAC”.

Lezione n.2: Insegna, addestra, assuefa

Il riconoscimento facciale è partito in sordina nel 2019, ora è in oltre 230 aeroporti. Il trucco? Implementazione graduale, linguaggio rassicurante e tanta collaborazione pubblico-privato. E così si porta a casa il consenso per trasformare ogni aeroporto in una zona ad alta densità algoritmica.

Lezione n.3: La trasparenza è una promessa… opzionale

Certo, la TSA ci tiene a far sapere che i dati non verranno usati per la sorveglianza (giurano), che tutto sarà cancellato (forse), e che puoi rifiutarti (ma non conviene). Sì, puoi scegliere la “modalità alternativa”. Come no. Come “volere il contante” in un mondo cashless.

Messaggio finale per le aziende:

Guardate gli aeroporti: hanno abbracciato il futuro, hanno trasformato la sicurezza in un esperimento di massa sulla biometria, e ora ci dicono che tutto è più veloce, più sicuro, più efficiente. Ma soprattutto, più controllato.

Benvenuti nell’esperienza di viaggio post-umana. Il biglietto lo hai già pagato. La faccia, quella, l’hai regalata gratis.

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02.04.202517:59
Non guardare il dito (l’OMS), guarda la gabbia: il Regolamento Sanitario Internazionale

Mentre tutti gridano “Trattato pandemico!” come se fosse l’unico problema, nessuno, e dico nessuno, parla del vero cappio che ci stanno stringendo intorno al collo: il Regolamento Sanitario Internazionale.Una riforma silenziosa, tecnica, in apparenza innocua... ma che se non verrà rigettata entro luglio 2025, ci consegnerà definitivamente a uno scenario perfino peggiore delle misure pandemiche che abbiamo già vissuto. Altro che green pass: qui si rischia il green guinzaglio.

Tutti a puntare il dito contro l’OMS, come se fosse un’entità astratta maligna. Ma il problema non è tanto che “l’OMS non serve a nulla” – su quello siamo d’accordo – quanto che ora serve ad altro: non più a contenere epidemie (quella era roba da telegrafo nel 1948), ma a concentrare potere sanitario globale nelle mani di pochi.

E chi finanzia questo carrozzone mondiale? Gli Stati membri? Ma neanche per sogno. I veri padroni sono Bill Gates, Big Pharma, e le loro creaturine come GAVI Alliance, cioè la finanza internazionale. Risultato: chi paga, comanda. E chi comanda, detta la cura. A prescindere dalla diagnosi.

Nel frattempo, i nostri paladini dell’informazione ignorano che già oggi, con le modifiche approvate al RSI (Regolamento Sanitario Internazionale), basta una dichiarazione dell’OMS per imporre restrizioni globali, lockdown, pass sanitari e “raccomandazioni vincolanti” senza nemmeno dover firmare un trattato.

Il direttore Tedros Ghebreyesus, col passato da ministro in un partito comunista e le ottime relazioni con Gates, siede su un trono fatto di stipendi esentasse, consulenze opache, viaggi da nababbi e zero accountability. L’Italia intanto versa 100 milioni l’anno in questa fornace, e quando il Parlamento osa convocarli in audizione, l’OMS risponde picche: "non vogliamo compromettere la nostra imparzialità". Che barzelletta.

E mentre si distraggono tutti con il trattato pandemico, il regolamento sanitario lo modificano sotto il naso, in silenzio, nelle commissioni tecniche dell’ONU. E lì nessuno urla. Nessuno twitta. Nessuno “si indigna”.

Quindi sì: bisogna non firmare il trattato pandemico. Ma ancora di più, bisogna bloccare gli emendamenti al Regolamento Sanitario Internazionale entro luglio, altrimenti la prossima “emergenza globale” – climatica, informatica o alimentare che sia – ci troverà già chiusi nella gabbia. Con il lucchetto chiuso dall’interno.

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Видалено25.04.202518:38
25.04.202511:05
Von der Leyen, il colpo di mano fallito: stop al mega-riarmo europeo da 800 miliardi

Ursula von der Leyen ci ha provato. Ancora una volta. Stavolta con un piano di riarmo da 800 miliardi, ribattezzato SAFE (nome da manuale del marketing orwelliano), che avrebbe dovuto inondare l’industria bellica europea di finanziamenti, prestiti e obbligazioni comunitarie. Ma ha scelto la via più scivolosa: tentare l’approvazione usando il famigerato articolo 122 dei Trattati Ue, pensato per gestire crisi energetiche e catastrofi, non per trasformare l’Europa in un arsenale.

Il trucco? Saltare il Parlamento europeo, affidando tutto al Consiglio. Nessun dibattito, nessuna rappresentanza popolare, nessun controllo. Un blitz burocratico in piena regola. Ma il servizio giuridico dell’Europarlamento ha messo i bastoni tra le ruote: l’uso dell’articolo 122 è giuridicamente inappropriato. E la Commissione Affari Legali ha confermato: procedura bocciata.

Un’umiliazione per la presidente della Commissione, abituata a decidere da sola e a servire il piatto già pronto ai governi amici — Italia compresa, con Giorgia Meloni tra le prime ad applaudire. Ma stavolta il castello è crollato.

A rincarare la dose ci ha pensato Giuseppe Conte, che, per convenienza politica, ha ricordato la mobilitazione del 5 aprile a Roma: centomila persone in piazza contro la militarizzazione dell’Europa. “Lo abbiamo denunciato subito anche a Strasburgo — ha detto Conte — e oggi la verità è chiara: chi ha appoggiato questo piano lo ha fatto scavalcando il Parlamento e calpestando la democrazia”.

Il messaggio è chiaro: non basta un pretesto giuridico per coprire un progetto di riarmo senza mandato popolare. E non basta cambiare la base legale per riproporlo con un’altra veste. Il problema è nel cuore stesso della proposta: un’Europa che si indebita per armarsi, mentre taglia sul sociale e sulla sanità.

Von der Leyen pensava di manovrare in silenzio. Ma stavolta il Parlamento ha parlato. E la sua voce, per una volta, ha spezzato la penna del comando.

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03.04.202504:59
OMS latitante: imparziali… ma solo a casa loro

La Commissione Covid chiama, l’OMS risponde: no, grazie. Invitata in audizione da tutti i gruppi parlamentari per fare chiarezza sulla gestione della pandemia, l’Organizzazione Mondiale della Sanità si è rifiutata con un elegante pretesto: difendere la propria “imparzialità e oggettività”. Peccato che proprio quelle siano messe in discussione da più parti, persino dai suoi stessi finanziatori.

Fratelli d’Italia, partito del presidente della commissione Marco Lisei, accusa l’OMS di alimentare i dubbi e minare la propria credibilità. Difficile dargli torto, considerando che l’Organizzazione è finanziata, tra gli altri, dalla Fondazione Gates – seconda solo agli USA per contributi versati – mentre promuoveva senza sosta vaccini a mRna e green pass globali. Coincidenze, naturalmente.

Nel frattempo, si ricorda che un rapporto OMS sul disastroso piano pandemico italiano fu fatto sparire su pressione politica. E mentre anche Trump accusa l’OMS di incapacità e annunciava il ritiro degli USA, in Italia si pretende chiarezza… ma l’OMS ha già chiuso la porta. Con garbo, certo. Ma l’ha chiusa.

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04.04.202507:59
Xylella: la truffa mascherata da emergenza

Altro che “lotta al batterio”, la gestione della Xylella in Puglia è stata – parola della polizia giudiziaria, non dei soliti “negazionisti” – un colossale raggiro ai danni della popolazione e degli agricoltori. Migliaia di pagine d’indagine rivelano una verità scomoda: l’epidemia, nota dal 2005 ma tenuta ben nascosta fino al 2013, è stata il pretesto perfetto per costruire un gigantesco affare.

Un affare che si è articolato su più livelli: in primis l’accesso a ingenti finanziamenti pubblici destinati alla gestione dell’emergenza, in larga parte convogliati verso enti, consorzi e soggetti privati ben inseriti nei circuiti istituzionali. L’Istituto Agronomico Mediterraneo di Bari (CIHEAM) e il CNR, beneficiari di fondi per milioni di euro per progetti di ricerca e contenimento, mentre l’Arif (Agenzia Regionale per le Attività Irrigue e Forestali) ha gestito direttamente abbattimenti e piani di monitoraggio. Anche soggetti privati come l’Università di Bari, attraverso convenzioni, e aziende fornitrici di servizi e analisi hanno beneficiato della filiera emergenziale.

Poi la corsa ai brevetti legati a metodi di rilevazione e contenimento del batterio, come quelli registrati da gruppi di ricerca vicini all’Università di Bari e a enti regionali, che hanno permesso la commercializzazione di kit diagnostici e prodotti per il trattamento fitosanitario, trasformando la crisi in un’opportunità di guadagno brevettuale.

Sul fronte territoriale, le speculazioni immobiliari si sono affacciate in parallelo alla distruzione del patrimonio olivicolo: abbattimenti mirati, espianti giustificati come misure di contenimento, rientrano in un quadro di trasformazione del paesaggio agricolo. Alcuni appezzamenti liberati dagli olivi sono stati convertiti in impianti fotovoltaici, lottizzazioni turistiche e persino progetti di riqualificazione paesaggistica finanziati da fondi europei. Il tutto sotto l’ombrello della “ricostruzione territoriale”, divenuta parola d’ordine per ridisegnare intere porzioni di territorio pugliese secondo logiche economiche estranee agli interessi degli agricoltori e della popolazione locale.

Un danno incalcolabile al patrimonio olivicolo, pianificato e mantenuto nel tempo da “strutture e apparati” che oggi si scoprono ben lontani dalla difesa dell’ambiente. Insomma, la narrativa ufficiale cade a pezzi: chi aveva sollevato dubbi e protestato – piccoli agricoltori, associazioni, attivisti – aveva semplicemente ragione.

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04.04.202511:04
La moratoria dell’UNEP del 2010, ribadita più volte fino alla COP16 del 2024, non ha alcun potere vincolante. Gli Stati Uniti non l’hanno nemmeno ratificata. Nel frattempo, le aziende operano indisturbate, grazie all’assenza di leggi chiare e alla copertura dei mercati volontari del carbonio. La Convenzione di Londra, che vieta solo la fertilizzazione oceanica, è un’eccezione. Ma anche quella è sistematicamente aggirata.

Controllo climatico e profitto


L’UNFCCC, l’organismo delle Nazioni Unite incaricato di vigilare sull’Accordo di Parigi, sta ora considerando di includere queste tecnologie nel nuovo mercato globale del carbonio.Questo significherebbe istituzionalizzare ciò che oggi è solo tollerato. Un modo elegante per far diventare il cielo una merce da comprare, vendere e sfruttare.

Conclusione

L’ONU ha creato un circo normativo in cui da una parte finge di vietare la geoingegneria, e dall’altra prepara la strada per legalizzarla. Le multinazionali, i fondi d’investimento, i laboratori universitari e i grandi nomi della finanza si muovono senza ostacoli, mentre l’opinione pubblica resta all’oscuro o distratta. E mentre ci si preoccupa della bolletta del gas o del termostato, c’è chi sta giocando con quello del pianeta intero.

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07.04.202511:03
Dalla Regina ai CEO – Il Regno Unito è ora una start-up a capitale straniero

Il Regno Unito ha smesso di fingere: con 74 Zone Economiche Speciali e 12 porti franchi deregolamentati, ha ceduto il controllo del proprio apparato statale alle multinazionali, a cominciare da BlackRock. Il governo Starmer ha formalizzato il passaggio dallo Stato democratico alla SovCorp: società private dotate di poteri pubblici. Una mutazione istituzionale che si inserisce in un progetto globale già in fase avanzata.

Curtis Yarvin, Peter Thiel e Balaji Srinivasan hanno costruito, ciascuno dal proprio ambito – filosofia politica, finanza tecnologica, ingegneria dei sistemi – un modello comune: la sovranità tecnologica elitaria. Yarvin propone la sostituzione della democrazia con un sistema guidato da competenza tecnica e autorità centralizzata. Lo Stato dovrebbe essere riscritto come software, governato da un CEO sovrano, in una rete di micro-sovranità in concorrenza.

Thiel lavora a una secessione funzionale: finanzia enclavi autonome come le Free Private Cities, sponsorizza candidati post-democratici e forma élite fuori dal sistema educativo. Le sue iniziative mirano a erodere lo Stato creando territori e comunità autoregolate.

Srinivasan, invece, punta sul digitale: propone i Network State, comunità nate online e rese sovrane tramite blockchain, identità digitali e smart contracts (vedi il video Gaia di Casaleggio e soci). Qui la cittadinanza è un abbonamento e la governance è affidata a protocolli automatizzati.

Il risultato è un modello in cui la legittimità si basa sull'efficienza tecnica e sulla proprietà privata. La cittadinanza è selettiva, la governance automatizzata, e l'autorità concentrata in enclave fuori dal controllo democratico. I cittadini diventano utenti e la politica viene sostituita dal codice.

Le ZES sono il cavallo di Troia perfetto per tutto questo. Apparentemente strumenti per attrarre investimenti, sono in realtà spazi dove si sperimenta la dissoluzione dello Stato. In Italia ne esistono diverse: Adriatica, Ionica, Campania, Sicilia, Abruzzo, Sardegna, Calabria e la ZES Unica del Sud. In Cina, Shenzhen e Pudong sono l'archetipo. Negli Emirati Arabi, ogni distretto è un paradiso fiscale autonomo. In India ce ne sono oltre 350. In Honduras, le ZEDES vanno oltre: città-Stato aziendali con leggi private.

Si passa dal welfare state al cloud state.
Dalla cittadinanza al contratto. Dalla rappresentanza alla profilazione. Il potere non si vota più: si sottoscrive. Chi non è compatibile con il sistema, viene semplicemente disconnesso.

Telegram (finché dura): https://t.me/carmen_tortora1
30.03.202511:05
Il gas russo? Non lo vogliamo… ma intanto ce lo beviamo a litri.

Va tutto bene, tranquilli. Il ministro Pichetto Fratin giura che non ci serve. L’AD di ENI, Descalzi, assicura che non tornerà. E poi abbiamo l’Algeria, no? Siamo indipendenti, liberi, green, fieri... e intanto l’Italia è in cima alla classifica per import di gas russo nel 2024.

Lo dice Ember, un think tank energetico che evidentemente non ha ricevuto il memo della propaganda. I dati parlano chiaro: +18% di gas russo in Europa, +11% solo a febbraio, e l’Italia in pole position con 4 miliardi di metri cubi in più. Altro che indipendenza energetica: abbiamo solo cambiato maschera al fornitore, facendo arrivare il gas liquefatto da Mosca via “navi fantasma” e triangolazioni creative con porti terzi. Una pantomima geopolitica degna di Netflix.

E mentre Bruxelles prometteva l’addio al gas russo entro il 2027, indovinate un po’? Rinviato il piano, ovviamente. Perché chiudere i rubinetti a Putin è bello nei tweet, ma costa troppo nella realtà. Anche perché, tanto per peggiorare il quadro, i prezzi del gas sono aumentati del 59% nel 2024 e nel 2025 saranno il doppio rispetto ai livelli pre-crisi.

Ma shhh… non ditelo in giro. Continuiamo a raccontarci la favola dell’autonomia energetica, mentre ci riscaldiamo con il metano made in Russia e ci facciamo belli con le etichette dei nuovi partner “etici”. La morale? Il gas russo non lo vogliamo, ma intanto ce lo beviamo col cucchiaino.

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28.03.202517:59
EUROPA VA ALLA GUERRA – MA NON SA CONTRO CHI

Vladimir Putin, con la solita calma glaciale, si è concesso una gita a Murmansk — nord estremo della Federazione Russa — per ricordare al mondo che, mentre l’Occidente sbraita isterico, lui continua a giocare a scacchi con la mappa dell’Ucraina. “Andiamo avanti, forse non a razzo, ma con decisione”, ha detto, con la disinvoltura di uno che sta potando le rose e non conducendo una guerra. E già che c’era, ha rilanciato con l’idea brillante del giorno: un’amministrazione transitoria targata ONU per indire elezioni “democratiche” nel Paese invaso. Per poi trattare la pace, ovviamente, con un governo nuovo di zecca — e possibilmente più incline a dire “sì, signore” al Cremlino.

Mentre l’Europa si incarta tra regolamenti, gender strategy e bollini ecologici, e gli Stati Uniti si scaldano per l’ennesimo round di dazi, Putin resta lì, impassibile, a fissare il fronte come un professore di liceo che osserva la classe in piena ricreazione. Fa pure l’occhiolino a Trump, definendolo un interlocutore valido per mettere fine alla guerra — il che la dice lunga sul livello attuale della diplomazia internazionale. Intanto Parigi e Londra, in pieno revival napoleonico, inviano truppe a Kiev con la stessa leggerezza con cui un tempo si lanciavano in crociate. Poi si indignano se Mosca parla di guerra aperta con la NATO.

Oltreoceano, il solito Trump spara la sua verità genetica: “Uomo sei e uomo resti, punto”. I suoi applaudono, l’arcobaleno si infuria, e il mondo si avvicina di un passo all’implosione culturale. Ma il vero colpo di teatro arriva dalla Groenlandia: JD Vance e comitiva americana sbarcano con la scusa della visita culturale, ma l’obiettivo è chiaro — annettere il ghiaccio. “La Groenlandia ci serve”, dicono, e il resto è folklore geopolitico. Putin osserva e annuncia: l’Artico si arma. Nuove rotte, nuovi gas, nuovi guai.

Nel frattempo, da Washington parte una bordata commerciale: dazi fino al 200% sul vino europeo. L’Italia, col suo tesoro da 2 miliardi di euro in bottiglia, si sveglia di soprassalto. I produttori sono nel panico, gli scaffali USA si svuotano, ma niente paura: Lollobrigida, dal Vinitaly, ci illumina. Il vero problema, ci spiega, non sono i dazi, ma “l’aggressione culturale al vino”. Poetico, ma poco utile se il Brunello resta bloccato in dogana.

Intanto a Bruxelles si continua a filosofeggiare: accise, etichette, lotta al cancro alcolico. Per la Commissione europea, il problema non è il baratro geopolitico ma il bicchiere mezzo pieno. Hadja Lahbib, commissaria alle crisi (sì, esiste), ci spiega con serietà distopica cosa fare in caso di attacco: tenersi pronti con un kit, documenti, e carte da gioco — per non impazzire, dicono. No, non è satira. È l’Europa nel 2025.

Nel bel mezzo del disastro, Giorgia Meloni fa la voce grossa al Financial Times: “L’Europa si è persa. Trump ha ragione.” Ma tranquilli, aggiunge, non dovremo scegliere tra Stati Uniti e Unione Europea. Forse perché qualcuno, quella scelta, l’ha già fatta sotto banco.

L’Europa va alla guerra — ma contro chi, e per cosa, nessuno lo sa. Nel dubbio, ci resta solo un bicchiere… vuoto.

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29.03.202512:05
La grande rapina globale (con l’oro tedesco, la farsa ucraina e il coltellino svizzero)

Mentre a Bruxelles distribuiscono tutorial su come sopravvivere alla guerra con una borsa da campeggio, un coltellino multiuso e – perché no – una copia aggiornata della Costituzione Europea da usare come carta igienica, i nostri leader, serissimi, si avviano a passo lento ma deciso verso l’abisso.
Tajani, col sorriso da eterno studente fuori corso, ripete che “la guerra non è dietro l’angolo”. Peccato che l’angolo in questione sia già saltato in aria.

Nel frattempo, qualcuno si ricorda che la Germania ha ancora l’oro parcheggiato negli Stati Uniti. Michael Jaeger propone di riportarlo a casa, prima che gli americani lo fondano per farci le medaglie al merito democratico. Si chiama "fase di cambio di potere globale", ma tranquilli: è solo il modo elegante di dire che stanno facendo a pezzi l’Occidente con la firma dei suoi stessi amministratori.

Orban rompe il copione

Mentre tutti recitano a memoria la sceneggiatura della NATO, Viktor Orban salta una battuta e dice qualcosa di logico: che la Russia non vuole attaccare, ma forse qualcuno si sta preparando per colpire per primo. In un mondo normale, sarebbe una riflessione. Nell’Europa del 2025, è un atto sovversivo.

Ucraina, la miniera dei miracoli (per gli americani)

Nel cuore delle rovine, Zelensky firma contratti come se fossero autografi, promettendo agli Stati Uniti terre rare, litio, gas e perfino l’anima dei suoi nipoti, in cambio degli “aiuti”. Tutto da rimborsare, ovviamente.

Peccato che:

I giacimenti siano nei territori occupati dai russi.

Le infrastrutture per estrarre quei minerali esistano solo nei PowerPoint del Pentagono.

Gli esperti dicano che
non conviene scavare nemmeno per scherzo.

E l’unica miniera americana...
mandi tutto in Cina.

Ma niente può fermare l’avidità mascherata da aiuto umanitario. E se l’Ucraina affoga, poco importa: ciò che conta è che qualcuno possa vendere le salvagenti a caro prezzo.

Guerra per il litio, non per la libertà

Dietro ai manifesti con le bandiere e le strette di mano sudate, la vera guerra è per il sottosuolo. Litio, titanio, uranio, terre rare. Più la zona è instabile, più ci si fiondano sopra come sciacalli in cerca di carcasse.

Il grande “accordo di ricostruzione” non è altro che una confisca preventiva, un colonialismo aggiornato col logo della cooperazione. Washington riscuote, Mosca occupa, Bruxelles dorme. L’Ucraina? Firma, paga e sorride per la foto.

Conclusione: verità optional, retorica obbligatoria

Ormai nessuno pretende più verità, solo slogan comodi e qualche bandiera ben piegata.

Si firma tutto, si svende tutto, si dice tutto. Tranne quello che conta. E chi ancora prova a capire è fuori tempo massimo.

Non c’è bisogno di cospirazioni. C’è solo un copione, recitato malissimo, dove l’assurdo è diventato procedura e la miseria geopolitica, prassi.

La verità? Non serve più. Tanto lo spettacolo continua, e il pubblico applaude.

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06.04.202518:06
Tassa sul pollaio: anche le galline devono finanziare la transizione ecofiscale

In Francia hanno deciso che pure i polli devono contribuire al progresso. È arrivata la cosiddettatassa sul pollaio” – nome ufficiale: “tassa di sviluppo”, ma in sostanza è solo l’ennesima invenzione per spillare soldi anche agli allevatori domestici.

Funziona così: se il tuo pollaio supera i 5 m² di superficie e 1,80 metri di altezza (cioè è abbastanza grande da non sembrare una gabbia), scatta l’imposta. E mica si parla di briciole: da marzo 2025, il valore imponibile è salito a 930 €/m² fuori dall’Île-de-France e a 1.054 €/m² nella regione parigina. I pollai della capitale, evidentemente, devono avere parquet e riscaldamento a pavimento.

Poi c’è la mazzata finale: i comuni possono applicare un’aliquota tra l’1% e il 5%, ma in certe aree si arriva tranquillamente al 20%. Tradotto: se hai un pollaio di 10 m², in una zona “normale” con un tasso del 3%, ti partono 279 euro. Solo per il privilegio di far beccare due mais alle tue galline.

Naturalmente, il tutto viene venduto come un contributo per finanziare le “infrastrutture pubbliche” o per “proteggere gli spazi naturali”. In pratica: ti tassano per poi dirti che lo fanno per il tuo bene e per la natura – che, nel frattempo, sta morendo di burocrazia.

Morale della favola? Vuoi le uova? Paga. Vuoi la libertà? Dimenticala. E occhio al gallo: se canta fuori orario, il prossimo step è la multa per inquinamento acustico non autorizzato.

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09.04.202510:59
Unione del risparmio e degli investimenti”: la nuova truffa legalizzata targata Bruxelles

Il 19 marzo, con l’aplomb che la contraddistingue ogni volta che finge di “rilanciare l’economia europea”, Ursula von der Leyen ha annunciato l’ultima perla del suo repertorio tecnocratico: la Strategia per l’Unione del Risparmio e degli Investimenti (SIU). Tradotto dal burocratese al linguaggio comune: 10.000 miliardi di euro dei risparmi privati dei cittadini dell’Unione devono essere “convogliati” – leggi pure: espropriati con garbo – in investimenti strategici decisi da Bruxelles.

Naturalmente, il piano è stato accolto con entusiasmo dal Consiglio direttivo della BCE, sempre pronto a spingere nuove forme di accentramento finanziario purché non implichino il rendere conto ai cittadini. Dietro la cortina fumogena di parole come “armonizzazione”, “mercato unico” e “finanza sostenibile”, si cela un progetto mastodontico per trasformare i risparmi europei in un bancomat illimitato per l’industria bellica, la digitalizzazione forzata e la riconversione verde – ovvero il solito teatrino pseudo-ecologico per coprire i fallimenti industriali, soprattutto tedeschi.

Già, perché come ha notato l’irriverente Irish Dentist, a rimetterci saranno come sempre gli italiani – quelli che, ancora ostinatamente, risparmiano invece di indebitarsi allegramente come francesi e tedeschi. E dove andranno a finire quei soldi? Ma certo: a salvare l’automotive tedesca dalla sua autodistruzione “green”. L’Unione Europea, ormai ridotta a gigantesca ONG a servizio delle lobby, continua a trattare il denaro dei cittadini come se fosse roba propria.

E se qualcuno ancora dubita dell’affidabilità di questa operazione, può dare un’occhiata all’intervento del dott. Alexander Sell, parlamentare tedesco che ha avuto l’ardire di raccontare la verità a Bruxelles:

“La von der Leyen ha bisogno di 800 miliardi per gli armamenti. E vuole ‘convertire’ i risparmi privati in investimenti. Tradotto: vuole saccheggiare i conti correnti per finanziare la guerra in Ucraina”.

Un lapsus? No. Un programma. La SIU è solo l’ennesimo cavallo di Troia per svuotare i conti delle famiglie, con la scusa del “rilancio europeo”. E chi è a capo dell’operazione? Proprio lei, Ursula von der Leyen, nota per gli SMS misteriosamente spariti sui contratti vaccinali, gli appalti opachi quando era ministro della Difesa, e ora esecutrice della più sfacciata rapina legalizzata del secolo.

Non bastava averci chiuso in casa, obbligati a vaccinarci per lavorare, demolito il tessuto produttivo, e ora minacciarci di povertà energetica. Adesso ci vogliono anche i risparmi. L'Unione del Risparmio e degli Investimenti?No, è l’Unione dello Scippo Istituzionalizzato e dell'Usura Pianificata.

E il cittadino europeo? Silente. Perché come sempre, prima ti derubano… poi ti convincono che è “per il tuo bene”.

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24.04.202517:59
Il Sole? Troppo caldo. Oscuriamolo, dice la scienza del disastro programmato

Siamo ufficialmente entrati nella stagione in cui l’élite tecnocratica, vestita da “scienza”, decide che il Sole è un problema. E la soluzione, ovviamente, non può che essere un’altra manovra da laboratorio in stile Frankenstein: spargere aerosol nella stratosfera per “riflettere la luce solare”. No, non è una parodia. È ciò che stanno davvero per autorizzare nel Regno Unito, come riportano con entusiasmo i media embedded.

La chiamano “geoingegneria solare”, perché dire “tentativo disperato di manipolare il clima senza sapere cosa succederà” suonava male. Il principio è semplice come un cartone animato: se la Terra si scalda, oscuriamo il cielo. Del resto, che ci importa dell’agricoltura, della fotosintesi, dell’equilibrio naturale? A questi moderni stregoni interessa solo un'altra “soluzione tecnica” da vendere al miglior offerente.

In testa al corteo, come al solito, Bill Gates. Il progetto SCoPEx dell’Università di Harvard, finanziato proprio dal filantropo per eccellenza, vuole sparare solfati nella stratosfera come se fossero coriandoli a Capodanno. L’obiettivo? Capire se si può bloccare il Sole “senza troppi danni collaterali”. Tranquilli: si farà solo un “piccolo test”. Come quello del pipistrello, ricordi?

La Commissione Europea intanto si dice preoccupata. Non per la follia in sé, ma perché manca una “normativa chiara”. Come dire: non importa se è una bomba climatica, basta che sia regolamentata. Così, mentre il cielo si tinge di bianco latte e i raccolti si bruciano nel silenzio dei notiziari, noi possiamo dormire sereni: è tutto sotto controllo… della scienza™.

Nel frattempo, startup come Make Sunsets testano in segreto il rilascio di zolfo in Messico, senza alcun permesso. E cosa fa la comunità internazionale? Un’alzata di spalle e un buffet a Davos per discutere della prossima “emergenza climatica”.

In conclusione: non potete permettervi un’auto a benzina, ma loro possono giocare con l’atmosfera terrestre. Il Sole ci scalda troppo? Via al piano B: spegniamolo. Il tutto, ovviamente, per il nostro bene.

Perché nulla dice “sostenibilità” come oscurare il pianeta con una nuvola chimica sponsorizzata da chi ha brevettato anche il vaccino per respirarla.

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