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Carmen Tortora
25.04.202518:04
Vaccini, mazzette e vitalizi: il ritorno del farmacista della Repubblica

Trent’anni fa finiva in carcere per aver intascato sette miliardi di lire dalle case farmaceutiche, oggi si riprende il vitalizio parlamentare con tanto di applausi bipartisan. Parliamo di Francesco De Lorenzo, ex ministro della Salute – proprio della Salute – arrestato nel 1994 in piena Tangentopoli per un curriculum da manuale del corrotto: corruzione, associazione a delinquere, finanziamento illecito, false fatturazioni. E oggi, a 87 anni, il Parlamento lo riabilita. Letteralmente.

Durante il suo mandato ministeriale, De Lorenzo fu accusato di aver reso obbligatorio il vaccino contro l’epatite B in cambio di tangenti, anche da parte della GlaxoSmithKline, dando così il via a una stagione in cui la profilassi si piegava all’interesse delle multinazionali. Una ferita ancora aperta, oggi più che mai, con migliaia di famiglie che continuano a segnalare danni da vaccino nei bambini, mentre l’apparato sanitario e politico si gira dall’altra parte. A queste persone lo Stato non garantisce nemmeno un’inchiesta seria: solo moduli, attese, e muri di gomma.

Eppure qualcuno continua a difendere il dogma. “Il vaccino contro l’epatite B è uno dei più importanti successi della medicina moderna”, dichiarava tempo fa Roberto Burioni, erigendosi a sacerdote intoccabile della Scienza™. E mentre il sistema sanitario si inginocchia davanti al culto immunologico, chi ha osato mettere in dubbio la narrazione – anche a fronte di dati e testimonianze – è stato zittito, radiato, marginalizzato.

È bastata una decisione del Tribunale di Sorveglianza di Roma, un’istanza di riabilitazione e una votazione celebrata pochi minuti prima della commemorazione di Papa Francesco (simbolismo ovunque), e voilà: il vitalizio torna, anche retroattivo. Lo incasserà dal luglio 2024. Non male per uno che trattava con Big Pharma mentre sedeva al dicastero più sensibile della Repubblica.

Il dettaglio grottesco? Il Movimento 5 Stelle ha votato a favore. Sì, proprio quelli che nel 2017 volevano smantellare i vitalizi “ai condannati”. Oggi hanno votato compatti per restituire l’assegno all’uomo che ha fatto da pioniere nel grande connubio politica-farmaci, mentre i danneggiati da vaccino – spesso bambini – attendono risarcimenti previsti dalla Legge 210/1992, applicata con la lentezza e l’indifferenza dei tempi burocratici.

In un Paese normale, uno con quella storia starebbe lontano dalla scena pubblica. In Italia, invece, torna con la pensione d’oro e persino un’aura da benefattore: “sopravvissuto al tumore” e “impegnato nel sociale”, dicono. Il tutto mentre le vittime della sua eredità politica attendono ancora giustizia.

In questa Repubblica delle lobby e dei resuscitati, i servitori del sistema tornano sempre a galla. E lo fanno col sorriso stampato e la benedizione di chi un tempo voleva “aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno”. Oggi, invece, aprono solo il portafoglio.

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25.04.202505:02
25 aprile: la rinascita della luce nella visione massonica

Per la Massoneria italiana, il 25 aprile non è solo una data storica, ma un potente simbolo di rigenerazione morale e spirituale. Rappresenta la vittoria della luce sull’oscurità, della libertà sulla tirannia, e dell’impegno umano contro l’oppressione. È una ricorrenza che incarna i principi fondanti della Libera Muratoria: Libertà, Uguaglianza, Fratellanza — parole scolpite all’Oriente dei templi massonici e vissute come impegno quotidiano.

Il Grande Oriente d’Italia (GOI) celebra il 25 aprile come una “data simbolo che deve unirci tutti nel segno di valori che sono irrinunciabili”, ricordando il sacrificio di tanti "fratelli" che lottarono per la libertà e la democrazia. Tra questi, il Gran Maestro Martire Domizio Torrigiani, perseguitato e confinato dal regime fascista, e Giordano Bruno Ferrari, fucilato dai nazisti a Forte Bravetta nel 1944. Le loro storie testimoniano l’impegno dei massoni italiani nella Resistenza e nella costruzione della Repubblica.

I simboli massonici assumono in questa ricorrenza un significato particolare. La Squadra e il Compasso rappresentano la rettitudine morale e l’equilibrio tra materia e spirito; l’Occhio della Provvidenza simboleggia la consapevolezza e l’osservazione divina; la Stella Splendente indica il cammino verso la conoscenza e la verità. Questi emblemi, insieme ad altri come l’Acacia, simbolo di immortalità e rinascita, e il Giglio, emblema di purezza, richiamano i valori che animarono la lotta per la liberazione.

In questo contesto, anche la fine di Benito Mussolini assume un significato simbolico e occulto rilevante. Oltre le versioni ufficiali, esistono interpretazioni alternative che vedono nella sua morte non solo l’eliminazione di un tiranno, ma l’esecuzione di un atto rituale connesso a una guerra simbolica tra archetipi: l’Imperatore caduto e il Mondo nuovo in gestazione. Mussolini, catturato mentre tentava la fuga travestito da tedesco, fu giustiziato il 28 aprile 1945, ma secondo alcune letture esoteriche, non si trattò solo di un’esecuzione partigiana, bensì di una rappresentazione rituale pianificata. La scelta della data, due giorni dopo il 25 aprile, sarebbe tutt’altro che casuale: essa chiuderebbe un ciclo alchemico e iniziatico di “trasmutazione” dell’Italia, da nazione sotto il giogo alla nazione liberata.

Secondo alcune letture, la morte di Mussolini rievoca la carta dei Tarocchi della Torre, simbolo della caduta dei poteri corrotti e dell’ego distrutto dalla folgore. Alcuni studiosi dell’occulto associano Piazzale Loreto, dove il corpo del Duce fu esposto a testa in giù, alla carta dell’Appeso, simbolo di sospensione tra due mondi e di sacrificio espiatorio. In questo quadro, l’intera fine del regime fascista viene letta come una rappresentazione scenica carica di archetipi e simboli occulti, forse persino orchestrata — secondo alcune teorie — da mani invisibili legate a circuiti iniziatici.

Il 25 aprile, dunque, è per la Massoneria italiana un momento di profonda riflessione e rinnovato impegno. È la celebrazione di una rinascita collettiva, di un cammino verso la luce e la verità, e di un impegno costante per la difesa dei valori universali che fondano la società democratica.

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Auguro a tutti voi, e alle persone che amate, una Pasqua di verità, di cuore e di luce. Che possiate risorgere ogni giorno, nel silenzio del cuore e nella forza dell’anima.
17.04.202511:02
Bruxelles comanda, i sovrani obbediscono: la nuova Europa in stile NATO

Addio sogni di libertà: se il presidente serbo Aleksandar Vučić metterà piede a Mosca il 9 maggio per la Parata della Vittoria, l’Unione Europea gli chiuderà la porta in faccia. Il messaggio, lanciato da un funzionario del ministero degli Esteri estone al Telegraph, è limpido come un ultimatum mafioso: “Alcune decisioni comportano delle responsabilità”. Tradotto: se osi salutare i russi, dimentica Bruxelles.

Non è un caso isolato. Pochi giorni prima, il premier slovacco Robert Fico aveva annunciato con disinvoltura la sua partecipazione alla stessa parata. Apriti cielo. L’Europa, per bocca della solita Kaja Kallas, è esplosa in anatemi e minacce. Ecco la “libera” Unione: puoi viaggiare, certo, ma solo se è verso Washington.

Altro che Unione dei popoli, diritti e sovranità: quella che si sta costruendo è una fortezza elitista, selettiva, ipocrita. Dove il diritto di voto non è più un diritto, ma una concessione. Se segui la linea NATO-compatibile, bene. Se no, ti silenziano e ti cancellano.

L’Estonia, del resto, è già il prototipo perfetto di questa distopia. Da poco ha approvato una legge per escludere dal voto centinaia di migliaia di residenti russi e bielorussi. Il reato? Essere nati dal lato sbagliato della storia. E mentre vietano il voto a chi non si genuflette, cercano di espellere Viktor Orban con l’articolo 7, reo di avere ancora una propria opinione.

L’ipocrisia non finisce lì. In Estonia si sta eliminando la lingua russa, si distruggono i ponti culturali, si abbatte ogni forma di pluralismo in nome della sicurezza. Un’epurazione sistematica, etichettata come “difesa della democrazia”. Ovviamente quella brevettata dalla NATO.

Ma l’Estonia non è sola. Romania e Moldavia seguono il copione come da manuale: governi fotocopia, ONG telecomandate da Bruxelles e Washington, repressione travestita da progresso. Chi prova a dissentire viene bollato come “filorusso”, “sovversivo”, “nemico della libertà”. Orwell si starà chiedendo perché non ha messo il copyright.

E i Balcani? Sempre sul filo. La Serbia prova a galleggiare tra il richiamo panslavista e le promesse farlocche dell’Europa, ma Bruxelles non perdona chi esce dai binari. O sei allineato, oppure sei escluso. Non c’è spazio per i neutrali. In questa UE devi essere pro-qualcosa: pro-guerra, pro-sanzioni, pro-servilismo.

Nel frattempo, mentre l’Est viene risucchiato nel delirio e l’Ovest si blinda dietro cortine di censura, le élite europee tremano. Hanno paura. Dei popoli, della libertà, della realtà. E allora reagiscono come ogni regime che si rispetti: repressione legale, propaganda istituzionale, criminalizzazione del dissenso.

E poi c’è la Germania, ormai la caricatura di se stessa. Terra del “mai più totalitarismi”, oggi mette a processo chi osa fare satira. David Bendels lo ha scoperto a sue spese: sette mesi di pena sospesa per aver preso in giro la ministra Nancy Faeser. La stessa Faeser che intanto chiede di epurare la polizia da chi simpatizza per l’AfD. L’AfD che, per inciso, ha superato la CDU nei sondaggi. Ma che importa? Tanto non gli sarà mai concesso governare.

La libertà, in Germania come altrove, è diventata un privilegio concesso su base selettiva. Un teatrino in cui la repressione veste bene, si esprime in linguaggio inclusivo e viene venduta come tutela della democrazia.

Questa è l’Europa del 2025: puoi votare, parlare, ridere… ma solo se lo fai come dicono loro. Altrimenti, ti puniscono. Poi ti guardano negli occhi e ti dicono che è per il tuo bene. Per proteggerti dalla disinformazione.

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16.04.202517:59
Colpevoli su presunzione: la giustizia predittiva del Regno Unito

Nel Regno Unito il crimine non è più una condizione, è una previsione. Basta il sospetto calcolato da un algoritmo e la sorveglianza parte. Il Ministero della Giustizia ha portato a termine nel dicembre 2024 un progetto che, se chiamato con il suo vero nome, si sarebbe tradotto in "Minority Report versione Crown". Per mantenere le apparenze, è stato ripulito e ribattezzato con una locuzione burocratica tanto inutile quanto ambigua: "Sharing Data to Improve Risk Assessment". L’etichetta giusta per nascondere l’odore acre di schedatura preventiva.

Dietro la facciata di efficienza si muove la solita alleanza tossica tra la Greater Manchester Police, la Metropolitan Police, il Ministero dell’Interno e l’instancabile Ministero della Giustizia. Obiettivo: schedare fino a mezzo milione di cittadini, inclusi quelli senza reati alle spalle. Il tutto con un’architettura di profiling costruita sull’Offender Assessment System, già ampiamente criticato per le sue distorsioni. Ora lo si vuole ampliare, integrando nuovi dati e moltiplicando i punti di controllo. Il risultato non è prevenzione, è sorveglianza di massa travestita da scienza esatta.

Nel mirino, la fascia demografica più sacrificabile nella narrazione identitaria del Regno Unito post-2020: l’uomo bianco britannico. Troppo normale, troppo colpevole per definizione. Il Sentencing Council aveva perfino provato a introdurre linee guida a doppio standard, in cui le minoranze ottenevano privilegi su cauzione rispetto agli uomini bianchi. La misura è saltata, ma non per un sussulto etico: semplicemente perché la destra ha cominciato a usare le stesse armi legali della sinistra. Il pregiudizio però resta intatto, stratificato nella struttura stessa del potere giudiziario.

Le critiche non mancano, ma vengono archiviate come rumore di fondo. Sofia Lyall di Statewatch ha definito il progetto per quello che è: agghiacciante e distopico. Gli algoritmi non stanno prevenendo reati, stanno creando bersagli. Nessuna autorità giudiziaria può verificare il funzionamento di una scatola nera piena di variabili opache, ma intanto si profila, si valuta, si seleziona. Il crimine non è più un atto, è un punteggio.

Nel frattempo, tutto prosegue senza dibattito, senza consenso, senza controllo pubblico. La narrazione ufficiale lo chiama ancora "fase di ricerca", ma la macchina è pronta e aspetta solo di partire. Nessuna fretta, il meccanismo si stringe lentamente, con la calma tipica delle strette ben progettate.

Chi vuole continuare a illudersi può farlo. Gli altri farebbero bene a rimanere collegati a chi ancora nomina l’elefante nella stanza. Perché il prossimo nome nell’elenco dell’algoritmo potrebbe essere già stato assegnato.

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16.04.202508:04
Guerre eterne, confini chiusi e scienziati caduti: il nuovo ordine si fa strada tra dazi, droni e dogmi

Mentre l’Occidente gioca a ridisegnare il mondo con le ruspe della geopolitica e i compassi del potere armato, Zelensky firma l’ennesimo decreto per prorogare la mobilitazione in Ucraina. Altri 90 giorni a partire dal 9 maggio. Un’altra stagione di carne da cannone. La pace? Nemmeno contemplata. Non serve, non conviene, non rende. Il Parlamento ucraino obbedisce, la macchina bellica continua a divorare figli, speranze e futuro.

Dall’altra parte del Mediterraneo, Netanyahu risponde a Macron con l’usuale arroganza blindata. Uno Stato palestinese? “Incoraggerebbe il terrorismo”. Come dire che ogni idea di coesistenza è già un attentato. La linea resta quella di sempre: terra sì, diritti no. Perché ogni centimetro ceduto viene letto come cedimento, e ogni riconoscimento come pericolo. La narrativa israeliana è scolpita nel granito: o controllo totale o caos.

Intanto, Trump torna alla carica con la sua ricetta dazi e patriottismo economico. In un’intervista spiega che i dazi potrebbero tornare a essere la principale fonte di entrate per gli Stati Uniti, proprio come a fine Ottocento. Il sogno è chiaro: tornare al protezionismo totale, eliminare l’imposta sul reddito e finanziare lo Stato col commercio blindato. Una nazione forte e ricca perché chiusa, armata e selettiva. America first, anche nel fisco.

E poi c’è la Cina, dove qualcosa non torna tra le quinte della superpotenza digitale. Negli ultimi anni, una serie di scienziati legati all’Intelligenza Artificiale, alla tecnologia militare e alla sanità avanzata è improvvisamente sparita. Morti improvvise, silenzi tombali. Song Jian, Feng Yanghe, Tang Xiao’ou, He Zhi. Tutti giovani, tutti al vertice, tutti scomparsi nel giro di tre anni. Troppa IA, troppi segreti, troppo potere in mano a chi forse stava capendo troppo in fretta.

In questo scenario, dove si intrecciano guerra infinita, colonialismo di nuova generazione, protezionismo spinto e misteri letali sotto la maschera della scienza, il disegno si chiarisce. Il futuro non è più da scrivere: è già stato scritto. E chi prova a leggerlo troppo a fondo, smette di comparire nei titoli di testa.

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25.04.202515:06
Benvenuti nel distopico parco giochi di "Sirius"!

Il governo russo ha scelto Sirius, un'area amministrativa controllata direttamente da Mosca e creata nel 2020, come cavia per un esperimento su larga scala di controllo totale. Presentata come un hub dell’innovazione, questa enclave è in realtà un laboratorio per testare sorveglianza, regolamentazioni speciali e sistemi economici sperimentali.

Ora si passa al livello successivo: robot, intelligenza artificiale, biometria e pagamenti in rubli digitali saranno introdotti nei mercati e nei ristoranti per "migliorare il servizio". Ovviamente, chi non sogna un futuro in cui ogni azione è registrata e analizzata in tempo reale?

Le autorità locali (in realtà, direttamente legate al Cremlino) regolamenteranno il tutto, trasformando Sirius in una vetrina per il controllo assoluto. Il luogo ideale per iniziare? Un’area piena di giovani e bambini educati nei centri statali.

La strategia è chiara: prima si sperimenta la sorveglianza, poi si estende al resto del paese. Ma non temete, ci dicono che è tutto per il nostro comfort! Peccato che dietro si nasconda il solito progetto: abituare la popolazione alla dittatura digitale fin dall’infanzia.

Mentre in Occidente avanzano le CBDC e il credito sociale, la Russia gioca d’anticipo: Sirius diventa il primo passo verso un futuro senza contanti, senza privacy e senza alternative.

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Il Kenya, ex colonia britannica, ha conquistato l'indipendenza nel 1963 e da allora si è trasformato in una nazione in pieno sviluppo, incastonata tra savane sconfinate, altipiani lussureggianti e coste bagnate dall'Oceano Indiano. Con paesaggi che spaziano dal Monte Kenya ai grandi parchi naturali, il Paese incanta e ispira. Nairobi, la sua vibrante capitale, unisce modernità e tradizione in un equilibrio unico nel cuore dell’Africa orientale.

Buongiorno e buon venerdì a tutti!

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19.04.202517:59
Vi condivido la chiacchierata che avevo fatto con l’amico Francesco Tavoletta, una conversazione senza filtri su ciò che davvero si muove dietro le quinte della geopolitica e dell’economia globale. Spero la troviate interessante… e magari anche un po’ scomoda.

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17.04.202507:59
Quando serve una sentenza per dire che l’acqua è bagnata

Nel Regno Unito ormai talmente “woke” da perdere il contatto con la realtà, serve la più Alta Corte per stabilire che no, le donne transgender non sono legalmente donne. Non identità fluide, non “genere percepito”, ma roba concreta: il sesso biologico.

La Corte Suprema britannica, con una sentenza di ben 88 pagine (per spiegare l’ovvio, ci vuole pazienza), ha ribadito che nella legge del 2010 per “donna” si intende una donna nata tale. Sì, davvero, siamo arrivati a questo punto.

Applausi (e sollievo) da parte di JK Rowling, ormai diventata l’oracolo del buon senso in tempi di confusione fluida. Anche Kemi Badenoch ha brindato: "Fine dell’era Starmer in cui le donne possono avere il pene". Serve aggiungere altro?

Nel frattempo, il NHS sta pensando di aggiornare le sue linee guida, finora così “inclusive” da far dormire donne biologiche nei reparti con uomini che si identificano come tali. Magari adesso qualcuno riaccende il cervello.

E il governo scozzese? Altro giro, altra negazione della realtà: non si scusa, difende la “buona fede” e ribadisce di voler rimanere “inclusivo”. L’importante è non discriminare… la logica.

Morale della favola? Quando la propaganda ideologica riesce a cancellare persino il significato della parola “donna”, c’è bisogno della Corte Suprema per ristabilirlo. Ma almeno, per una volta, ha vinto il buonsenso. Anche se, a quanto pare, va difeso come una specie in via d’estinzione.

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16.04.202515:02
Vaia a Forum: meno obblighi, più propaganda – il vaccino spiegato dalla TV

Francesco Vaia, ex direttore della Prevenzione al Ministero della Salute e oggi paladino dei diritti dei disabili, approda a Forum per impartire l’ennesima omelia vaccinale in stile paternalista: niente obbligo, ma “convincimento”, ovviamente non basato su fatti, trasparenza o dibattito, bensì sull’eterno catechismo televisivo. Per Vaia, infatti, “fa molto di più una trasmissione TV delle leggi”. Parola d’esperto. Di comunicazione, s’intende.

A ispirare questa perla di saggezza è il caso di una madre che non vuole vaccinare il figlio e che, nel teatrino televisivo, viene dipinta come un’isterica da redimere. Occasione perfetta per Vaia per recitare il mantra: la gente rifiuta i vaccini solo perché li si obbliga. Non perché magari ha qualche dubbio legittimo, no, ma perché non li si accompagna abbastanza.

E qui scatta la nostalgia per la legge Lorenzin del 2017, quella che “ha solo alzato l’asticella” delle immunizzazioni. Poverina, non era abbastanza empatica. Ora la ricetta è: cittadini trattati come incapaci da guidare per mano verso la siringa, magari dopo una puntata ben fatta di Forum o un talk show coi soliti esperti a senso unico.

Ovviamente, nessun accenno – nemmeno per sbaglio – al fatto che questi vaccini, se tutto va bene, immunizzano per pochi mesi, e sempre sperando che non lascino strascichi più o meno gravi nel breve o lungo periodo. Ma questa parte non entra mai nella “buona comunicazione”: troppo scomoda, troppo vera.

Insomma, il cittadino ideale secondo Vaia è maturo solo se anestetizzato dalla propaganda, sedato dalla TV, e guidato come un minore non emancipato. E guai a uscire dal coro, che poi finisci pure a Forum come caso clinico.

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16.04.202505:05
Due papà, una penna e nessun permesso: l’infanzia come campo di rieducazione

Nelle scuole elementari della provincia di Asti arriva in classe il fumetto “Perché hai due papà”, distribuito senza che nessuno pensasse di dover avvisare i genitori. La maestra lo dà ai bambini come fosse un qualunque libro illustrato, ma dentro c’è molto di più: il messaggio che due uomini possono avere un figlio “comprandolo” da una donna. Un'idea normalizzata tra le righe colorate, servita sotto forma di favola ai più piccoli, nella fascia d’età in cui la fiducia negli adulti è cieca e totale.

A segnalare il caso è Rossano Sasso, deputato e capogruppo in commissione Cultura. Ma non serve essere politici per capire la gravità del gesto. Basta essere genitori. Perché quando l’infanzia diventa terreno di indottrinamento e il banco di scuola un laboratorio ideologico, non si tratta più di apertura mentale, ma di imposizione. Subdola, silenziosa, calcolata. Niente dibattito, niente consenso informato. Solo l’ennesima penetrazione culturale travestita da “educazione”.

Le famiglie vengono aggirate, messe da parte, trattate come un ostacolo da superare. Chi decide cosa è “giusto” dire a un bambino di sette anni? Chi stabilisce che il modello familiare va ridefinito nei corridoi scolastici, senza nemmeno consultare chi quei bambini li ha messi al mondo?

L’operazione ha una firma chiara: attivismo ideologico travestito da inclusività, con l’appoggio di maestre che troppo spesso si trasformano in portavoce di una pedagogia ideologica. Sasso annuncia che se i fatti verranno confermati, denuncerà i responsabili. Ma nel frattempo, il seme è stato piantato.

Si chiama “educazione”, ma non c’è né libertà né trasparenza. Solo una mano invisibile che riscrive la realtà a misura di dogma, iniziando dai più piccoli. E la domanda non è “perché hai due papà?”. La domanda vera è: perché lo decidono loro, cosa devono pensare i nostri figli?Per restare sempre in contatto senza censure, seguite il mio canale Telegram: https://t.me/carmen_tortora1
25.04.202514:41
Von der Leyen alla baionetta: ignora il Parlamento, scavalca la legge e militarizza l’UE.

Ursula von der Leyen ha deciso che la democrazia parlamentare è un ostacolo superfluo sulla via del riarmo europeo. Con un colpo di mano degno di una sceneggiatura distopica, ha bypassato il voto del Parlamento europeo e il parere giuridico contrario della Commissione JURI per far passare il piano ReArm EU, che prevede la mobilitazione di 800 miliardi di euro in prestiti e appalti militari, a esclusivo beneficio dell’industria bellica europea (e ucraina, con altri 5 miliardi gentilmente offerti).

Già da mesi Von der Leyen premeva sull’acceleratore della militarizzazione UE. Prima il fondo per le munizioni, poi il programma ASAP, per aumentarne rapidamente la produzione, infine il colosso ReArm EU. Sempre la stessa scusa: "c’è un’emergenza". Guerra, terrorismo, retorica della difesa comune. Ma al dunque, invece di passare dal Parlamento, ha deciso che l’articolo 122 del Trattato poteva bastare per saltare tutto e tutti. Peccato che i legali dell’Eurocamera l’avessero già bollato come illegittimo. Ma tant’è: per Ursula, oggi l’emergenza è una scusa buona per tutto.

COSA SUCCEDERÀ ORA?

Scontro istituzionale aperto. Il Parlamento europeo si trova di fronte a uno strappo senza precedenti. Il voto unanime della Commissione JURI contro la procedura d’urgenza è stato ignorato. La palla ora passa alla Presidente del Parlamento, Roberta Metsola, che potrà presentare ricorso alla Corte di Giustizia UE per abuso del Trattato, oppure fare spallucce e lasciar correre, avallando de facto un precedente pericoloso.

Intervento della Conferenza dei Presidenti. Se Metsola dovesse tirarsi indietro, toccherà alla Conferenza dei Capigruppo decidere se portare il caso in aula. Il Movimento 5 Stelle ha già chiesto formalmente una risoluzione da votare nella plenaria di maggio: Ursula sarà chiamata a metterci la faccia davanti a tutti, giustificando il colpo di mano.

Possibile ricorso alla Corte di Giustizia UE.
Se il Parlamento sceglierà lo scontro, il caso finirà davanti ai giudici di Lussemburgo. Il ricorso sarà basato sull’abuso dell’articolo 122, l’assenza di urgenza, e la sottrazione illegittima del potere legislativo alla Plenaria. Un processo lungo e altamente simbolico, che potrebbe diventare il casus belli istituzionale tra Commissione e Parlamento.

Legittimazione della militarizzazione forzata. Nel frattempo, se gli Stati membri al Consiglio danno l’ok, il piano ReArm entrerà in vigore senza alcun controllo democratico. Sarà la Commissione a gestire i prestiti, gli appalti, i finanziamenti e il potenziamento delle industrie belliche con 150 miliardi nella prima fase, mentre altre tranche seguiranno.

Un precedente pericoloso. Se Von der Leyen la spunta, l'articolo 122 diventerà il grimaldello per scavalcare il Parlamento ogni volta che si vorrà accelerare su energia, clima, sanità, finanza e guerra. Basta dichiarare uno “stato di crisi permanente”. Tradotto: lo stato di eccezione diventa la norma.

Spaccatura tra i gruppi politici europei. Non solo opposizione: anche membri del PPE, cioè la “famiglia” politica della von der Leyen, hanno votato contro. I Dem italiani (PD) sono stati gli unici a favore, mentre M5S, Lega, FI, FdI e The Left hanno denunciato pubblicamente il golpe procedurale. Una crepa trasversale si apre tra chi difende la sovranità democratica e chi preferisce l’obbedienza cieca al complesso militare-industriale.

In sintesi: Von der Leyen ha fatto saltare i freni "democratici" dell’UE per lanciare il suo grande piano di riarmo. Ora rischia uno scontro con il Parlamento europeo, un ricorso legale per abuso di potere e una crisi di legittimità della Commissione. Ma nel frattempo, i fondi per le armi iniziano a muoversi. E l’Europa dei popoli? Muta. L’Europa delle armi? In marcia.

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24.04.202517:59
Il Sole? Troppo caldo. Oscuriamolo, dice la scienza del disastro programmato

Siamo ufficialmente entrati nella stagione in cui l’élite tecnocratica, vestita da “scienza”, decide che il Sole è un problema. E la soluzione, ovviamente, non può che essere un’altra manovra da laboratorio in stile Frankenstein: spargere aerosol nella stratosfera per “riflettere la luce solare”. No, non è una parodia. È ciò che stanno davvero per autorizzare nel Regno Unito, come riportano con entusiasmo i media embedded.

La chiamano “geoingegneria solare”, perché dire “tentativo disperato di manipolare il clima senza sapere cosa succederà” suonava male. Il principio è semplice come un cartone animato: se la Terra si scalda, oscuriamo il cielo. Del resto, che ci importa dell’agricoltura, della fotosintesi, dell’equilibrio naturale? A questi moderni stregoni interessa solo un'altra “soluzione tecnica” da vendere al miglior offerente.

In testa al corteo, come al solito, Bill Gates. Il progetto SCoPEx dell’Università di Harvard, finanziato proprio dal filantropo per eccellenza, vuole sparare solfati nella stratosfera come se fossero coriandoli a Capodanno. L’obiettivo? Capire se si può bloccare il Sole “senza troppi danni collaterali”. Tranquilli: si farà solo un “piccolo test”. Come quello del pipistrello, ricordi?

La Commissione Europea intanto si dice preoccupata. Non per la follia in sé, ma perché manca una “normativa chiara”. Come dire: non importa se è una bomba climatica, basta che sia regolamentata. Così, mentre il cielo si tinge di bianco latte e i raccolti si bruciano nel silenzio dei notiziari, noi possiamo dormire sereni: è tutto sotto controllo… della scienza™.

Nel frattempo, startup come Make Sunsets testano in segreto il rilascio di zolfo in Messico, senza alcun permesso. E cosa fa la comunità internazionale? Un’alzata di spalle e un buffet a Davos per discutere della prossima “emergenza climatica”.

In conclusione: non potete permettervi un’auto a benzina, ma loro possono giocare con l’atmosfera terrestre. Il Sole ci scalda troppo? Via al piano B: spegniamolo. Il tutto, ovviamente, per il nostro bene.

Perché nulla dice “sostenibilità” come oscurare il pianeta con una nuvola chimica sponsorizzata da chi ha brevettato anche il vaccino per respirarla.

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17.04.202515:04
Assange e l’arte raffinata dell’insabbiamento istituzionale – firmato Keir Starmer & Co.

Nel civilissimo Regno Unito, dove la democrazia è sempre “esportabile” e la libertà di stampa si sventola solo quando fa comodo, il caso Assange si è trasformato in un perfetto manuale di repressione soft-core. Nessuna tortura fisica, certo: bastano burocrazia tossica, cavilli legali e una “paralisi procedurale” studiata a tavolino. Il tocco di classe? A gestire il teatrino, all’epoca, c’era Keir Starmer, oggi Premier inglese, allora a capo della Crown Prosecution Service. Che strano, eh?

Secondo i documenti, fu proprio la CPS a “consigliare” alla Svezia di non archiviare, ma nemmeno procedere. Il piano era chiaro: tenere Assange inchiodato in una specie di limbo giudiziario infinito. Il risultato? Detenzione arbitraria, secondo le Nazioni Unite. Ma tranquilli, tutto con la benedizione delle istituzioni britanniche.

E mentre Assange cercava rifugio nell’ambasciata ecuadoriana, l’avvocato chiave della CPS, Paul Close, decideva di andare in pensione... e puff! Il suo account email – contenente tutte le comunicazioni tra Londra e Stoccolma – viene cancellato. “Routine”, dicono. Una routine che cancella documenti chiave in un’indagine internazionale ancora aperta. Comodo, vero?

Ci sono voluti dieci anni, due sentenze e la tenacia di Stefania Maurizi per ottenere qualche brandello di verità. E la risposta ufficiale della CPS? “Non sappiamo quando o perché siano state eliminate le email”. Tradotto: non ci ricordiamo chi ha premuto il tasto “delete” durante uno dei più controversi casi giudiziari della nostra epoca.

La verità è che l’operazione Assange è stata una guerra sporca condotta con guanti bianchi. Hanno disintegrato un giornalista nel nome della “sicurezza nazionale”, poi hanno fatto sparire le prove con la grazia impiegatizia di un click.

E oggi? Assange è libero, ma il crimine è stato perfezionato: la giustizia occidentale ha imparato a uccidere la verità senza lasciare impronte. Tutto “secondo protocollo”, naturalmente.

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17.04.202504:59
Convergenza Elettronica: Il Grande Ritorno della Guerra Fredda in Salsa AI

Nel deserto della California, l’esercito americano ha rispolverato i fantasmi della Guerra Fredda, aggiornandoli con qualche algoritmo e chiamando il tutto “Project Convergence Capstone 5”. Obiettivo: dimostrare che la guerra elettronica non è affatto morta, ma è viva, modulare, “interoperabile” e perfettamente allineata con la nuova narrativa da guerra globale su larga scala.

Soldati e tecnocrati hanno giocato a fare i cacciatori di segnali, geolocalizzando tutto ciò che emette radiofrequenze, mentre schiere di analisti e sviluppatori caricavano “carichi utili modulari” (ovvero attacchi digitali su misura) su sistemi pronti a colpire in tempo reale — tutto naturalmente "non cinetico", perché si sa, l’informazione è la nuova arma. Il tutto condito con frasi altisonanti come “ecosistema reattivo” e “Rapid Effects Generation Enterprise” — un modo elegante per dire che stanno costruendo la versione militare della suite Adobe, ma per la guerra.

Nel frattempo, l’Europa — o meglio, Berlino — non sta a guardare. Il ministro tedesco Pistorius ha annunciato una coalizione ad hoc per l’electromagnetic warfare a favore dell’Ucraina, mettendo sul piatto 11 miliardi di euro entro il 2029. Droni, jammer, sistemi IRIS-T, Patriot, Leopard e una montagna di nuove dottrine: è la NATO 2.0, dove la guerra non si combatte solo con i carri armati, ma anche con il Wi-Fi.

Tutto molto smart, tutto molto interoperabile. Ma a leggere tra le righe, è solo l’ennesimo upgrade di un conflitto perenne: la battaglia per il controllo dello spettro — e della narrativa.

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16.04.202511:59
Crolli, maschere e paradossi: l’Occidente si sgretola tra rivolte, prestiti e psicosi

La facciata dell’ordine globale inizia a cedere, e lo fa con scene che sembrano uscite da un copione grottesco. In Ucraina, Zelensky licenzia l’ennesimo ufficiale dopo l’attacco russo a Sumy. Volodymyr Artyukh fa le valigie, ma il problema non è lui: è l’intero apparato che scricchiola. Il sindaco di Konotop parla di negligenza, mentre Kiev tenta disperatamente di spacciare epurazioni tattiche per strategia. Sumy, città dell'Ucraina nord-orientale al confine con la Russia, è finita sotto attacco diretto, con danni pesanti e popolazione in fuga. Quando non si può vincere, si cerca qualcuno da scaricare.

A migliaia di chilometri, l’idolo dei libertari Javier Milei abbandona il dogma e tende la mano proprio a quell’organismo che dovrebbe odiare: il Fondo Monetario Internazionale. Venti miliardi di dollari in prestito, chiesti da chi predica la morte dello Stato ma si inginocchia davanti alla banca centrale del mondo. L’Argentina si conferma il cliente fisso del Fondo, seguita da Ucraina, Egitto ed Ecuador: il club delle nazioni “libere” con il cappio al collo.

Negli Stati Uniti, intanto, la realtà deraglia. Un diciassettenne, Nikita Casap, uccide madre e patrigno per rubare il denaro necessario a finanziare un piano di attentato contro Donald Trump, pianificando l'acquisto di droni ed esplosivi per colpire il presidente e rovesciare il governo. Un mix tossico di ideologia deviata, neonazismo e sogni di fuga in Ucraina. L’FBI parla di “odio politico”, ma nessuno si chiede da dove venga questo odio, chi lo alimenti, chi lo normalizzi a colpi di omissioni mediatiche e polarizzazione tossica. L’unico dato certo: anche stavolta, l’obiettivo è Trump. E anche stavolta, ci si finge sorpresi.

Mentre l’Occidente finge di proteggere diritti, l’Ungheria di Orbán rovescia il tavolo: legge approvata, niente più Pride né raduni LGBTQ+. La motivazione ufficiale? Protezione dei minori. Quella reale? Resistenza aperta al diktat culturale imposto da Bruxelles. L’UE congela fondi, Budapest congela ideologie. Da una parte lo “stato di diritto” come mantra, dall’altra la sovranità nazionale come barricata. Chi vince? Dipende da che parte si guarda. O da cosa si è disposti a difendere.

Quattro episodi, un’unica traiettoria: la maschera del progresso globale si incrina, la retorica cede, i nodi vengono al pettine. Tra licenziamenti d’emergenza, prestiti ideologici, adolescenti in guerra con lo Stato e governi che sfidano l’ortodossia arcobaleno, il sistema vacilla. E sotto il cerone, resta solo un volto confuso che non sa più che direzione chiamare “democrazia”.

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La Valle di Lauterbrunnen, incastonata nel cuore della Svizzera, è una gola spettacolare scolpita dai ghiacciai e circondata dalle imponenti vette delle Alpi Bernesi. Con le sue pareti rocciose a strapiombo, le cascate impetuose e i prati alpini, offre una bellezza selvaggia e quasi irreale. Spesso chiamata la “Valle delle 72 cascate”, Lauterbrunnen sembra un regno nascosto sospeso tra terra e cielo, dove la natura domina in tutta la sua maestosità.

Buongiorno e buon mercoledì a tutti!

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Видалено25.04.202518:38
25.04.202511:05
Von der Leyen, il colpo di mano fallito: stop al mega-riarmo europeo da 800 miliardi

Ursula von der Leyen ci ha provato. Ancora una volta. Stavolta con un piano di riarmo da 800 miliardi, ribattezzato SAFE (nome da manuale del marketing orwelliano), che avrebbe dovuto inondare l’industria bellica europea di finanziamenti, prestiti e obbligazioni comunitarie. Ma ha scelto la via più scivolosa: tentare l’approvazione usando il famigerato articolo 122 dei Trattati Ue, pensato per gestire crisi energetiche e catastrofi, non per trasformare l’Europa in un arsenale.

Il trucco? Saltare il Parlamento europeo, affidando tutto al Consiglio. Nessun dibattito, nessuna rappresentanza popolare, nessun controllo. Un blitz burocratico in piena regola. Ma il servizio giuridico dell’Europarlamento ha messo i bastoni tra le ruote: l’uso dell’articolo 122 è giuridicamente inappropriato. E la Commissione Affari Legali ha confermato: procedura bocciata.

Un’umiliazione per la presidente della Commissione, abituata a decidere da sola e a servire il piatto già pronto ai governi amici — Italia compresa, con Giorgia Meloni tra le prime ad applaudire. Ma stavolta il castello è crollato.

A rincarare la dose ci ha pensato Giuseppe Conte, che, per convenienza politica, ha ricordato la mobilitazione del 5 aprile a Roma: centomila persone in piazza contro la militarizzazione dell’Europa. “Lo abbiamo denunciato subito anche a Strasburgo — ha detto Conte — e oggi la verità è chiara: chi ha appoggiato questo piano lo ha fatto scavalcando il Parlamento e calpestando la democrazia”.

Il messaggio è chiaro: non basta un pretesto giuridico per coprire un progetto di riarmo senza mandato popolare. E non basta cambiare la base legale per riproporlo con un’altra veste. Il problema è nel cuore stesso della proposta: un’Europa che si indebita per armarsi, mentre taglia sul sociale e sulla sanità.

Von der Leyen pensava di manovrare in silenzio. Ma stavolta il Parlamento ha parlato. E la sua voce, per una volta, ha spezzato la penna del comando.

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20.04.202518:59
FREEDOM CITIES: LA DISTOPIA LIBERTARIA IN VERSIONE PREMIUM
Quando la democrazia viene rottamata e la sovranità va in outsourcing a Silicon Valley

Nel marzo 2023 Donald Trump rispolvera le “Freedom Cities” con l’entusiasmo da televendita futurista: un mondo nuovo, supertecnologico, dove finalmente tutto funziona perché gestito da privati. Il sogno americano 2.0, aggiornato alla versione libertaria: niente più Stato, solo servizi. Paghi, accetti le condizioni, entri. Non paghi, ti sloggano. La verità? Non è un sogno. È un incubo in abbonamento mensile.

Dietro il packaging brillante c’è la solita vecchia truffa del potere privato mascherato da progresso. A spingere il carro ci sono i profeti del tecno-feudalesimo: Peter Thiel, Balaji Srinivasan, Curtis Yarvin. Gente che considera la democrazia un errore storico da archiviare, e la sovranità pubblica un bug da correggere. Nella loro visione, lo Stato è un’app obsoleta da disinstallare. Al suo posto? Una città-smart dove non sei un cittadino, ma un utente con password. Nessun diritto garantito: solo licenze d’uso revocabili.

Tutto è privatizzato: scuole, ospedali, sicurezza, giustizia, perfino la moneta. Il welfare? Rimosso per "incompatibilità con il nuovo sistema". Se ti ammali, paghi. Se non paghi, muori. La giustizia è un arbitrato privato. Le regole non le scrive il parlamento, ma il consiglio di amministrazione. Se protesti, il sistema ti chiude la sessione. Service denied.

E non finisce qui. I guru della Silicon Valley non si accontentano delle ZES tropicali: puntano alla Groenlandia. Sì, proprio quell’enorme blocco di ghiaccio strategico e minerario. Secondo un’inchiesta Reuters del 10 aprile, mentre l’amministrazione Trump giocava la carta dell’acquisizione—anche militare—dell’isola dalla Danimarca, alcuni investitori tecnologici promuovevano la Groenlandia come futura “città della libertà”. Un’utopia libertaria con regolazione aziendale al minimo sindacale: praticamente il paradiso fiscale su ghiaccio.

A guidare i contatti diplomatici c’era Ken Howery, co-fondatore insieme a Thiel di un fondo di venture capital e amico di Elon Musk. È lui che doveva trattare con i danesi per trasformare la Groenlandia nel primo prototipo planetario di governance aziendale totale. Nessuno lo dice esplicitamente, ma il piano è semplice: prendere un territorio strategico, scollegarlo dalla sovranità pubblica e trasformarlo in un’area di sperimentazione privata dove tutto è permesso, purché tu abbia il portafoglio giusto.

Altro che progresso. Le Freedom Cities sono la Disneyland del neoliberismo terminale, l’incarnazione della “libertà” come privilegio per pochi e condanna per tutti gli altri. Non sono il futuro. Sono il presente che si rivela per quello che è: un’operazione chirurgica per estirpare ogni residuo di sovranità popolare e rimpiazzarlo con piattaforme proprietarie.

Ti danno la “libertà” di scegliere il tuo piano tariffario. Basic, Silver o Platinum. Ma se rifiuti il contratto, non è che voti per cambiare le cose. Ti disconnettono e via.

Altro che città del futuro: sono gabbie d’oro per cavie del capitalismo. E il peggio? Le stiamo accogliendo a braccia aperte, confondendole per libertà.

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17.04.202513:05
Il Patto Pandemico: il Cavallo di Troia farmaceutico si traveste da accordo volontario

È ufficiale: i negoziatori del Pharmaceutical Hospital Emergency Industrial Complex (PHEIC) hanno messo nero su bianco il testo del nuovo “Accordo Pandemico” dell’OMS. Non è ancora legge, ma sarà discusso alla prossima Assemblea Mondiale della Sanità dal 17 al 26 maggio 2025. E, naturalmente, ogni nazione sarà “libera” di firmarlo. Libera come un pollo nel pollaio di Amadori.

Tra le perle del documento:

I “prodotti sanitari pandemici” includono TUTTO ciò che Big Pharma ha da offrire: dai test PCR ai ventilatori, fino a terapie geniche e “altre tecnologie sanitarie” non meglio specificate. La porta è spalancata alla solita pioggia di brevetti e profitti.

Si istituisce un Coordinating Financial Mechanism, una specie di mega-cassaforte globale per sostenere le spese del nuovo ordine sanitario mondiale. Ovviamente “inclusiva, trasparente e sostenibile” – traduzione: governi col cappello in mano, mentre le multinazionali raccolgono dividendi.

I finanziamenti saranno coordinati dalla Conference of the Parties (COP – non quella sul clima, ma una sorella gemella). Sarà questo organo a decidere cosa conta come “emergenza” e dove piovono i soldi. Chi controlla la COP? Indovinate.

Il colpo di scena? L’articolo 24 ribadisce che l’OMS non potrà imporre lockdown, obblighi vaccinali o chiusure. Ma tranquilli, ci penseranno i nostri tiranni locali, con il plauso del nuovo trattato e una montagna di soldi freschi in arrivo.

Insomma, non è un patto per la salute. È un contratto perenne di subordinazione sanitaria, finanziaria e industriale. Ma siccome non è “obbligatorio”, potete continuare a dormire tranquilli. Almeno finché non arriva la prossima “emergenza”.

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Dal cuore della terra sale un respiro incandescente. Il Fagradalsfjall erutta. L’Islanda si trasforma in un altare cosmico. La lava scorre come sangue degli abissi.

Il vulcano si apre come un sigillo. Il portale tra visibile e invisibile si spalanca. Il fuoco afferma la sua forza. La materia si piega. La trasformazione si compie.

Il fuoco consacra. Illumina. Purifica. Brucia l’ignoranza. Rivela. Trasforma l’uomo. Accende lo spirito. Risveglia la coscienza.

Ogni colata incandescente mostra l’Uomo che si lascia ardere per rinascere. Il fuoco custodisce la soglia. L’anima attraversa. La terra parla. L’anima ascolta.

Buongiorno e buon giovedì a tutti!

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16.04.202508:04
Francia in fiamme: rivolte coordinate nelle carceri, e se fosse solo l'inizio?

Nove penitenziari attaccati nella stessa notte, colpi d’arma automatica contro il carcere di Tolone, auto del personale date alle fiamme, muri imbrattati con slogan organizzati. Altro che semplice rivolta: quello che si è visto in Francia somiglia più a un’operazione militare su piccola scala. E, come da copione, il ministro Darmanin accorre sul posto con l’aria di chi ha tutto sotto controllo, mentre tutto gli esplode in faccia.

Le autorità parlano di risposta criminale alle misure contro il narcotraffico. Forse. Ma c’è un dettaglio che stona: il livello di coordinazione, la simultaneità, la scelta di bersagli precisi, il simbolismo dei messaggi lasciati. Troppo ordinato per essere solo un'esplosione di rabbia. Troppo sincronizzato per non far pensare a un test.

Sì, un test. Perché viene il sospetto – e non da oggi – che qualcuno stia misurando la tenuta del sistema penitenziario francese, il tempo di reazione delle forze dell’ordine, la capacità dello Stato di contenere un attacco interno. E se queste carceri fossero solo il laboratorio? Se si stesse sperimentando un metodo per generare caos e insicurezza su scala urbana?

Non sarebbe la prima volta. Far vacillare la sicurezza interna è l’anticamera perfetta per lanciare nuove misure eccezionali, vendere più sorveglianza, militarizzare la società, rafforzare l’apparato. Ma per farlo serve prima la crisi, la paura, il nemico visibile. Che oggi si chiama narcotraffico, domani sarà il “terrorismo interno”, dopodomani chiunque non si allinei.

Questa notte francese non è solo un allarme. È un segnale. E chi lo ignora o lo banalizza sta solo facendo il gioco di chi sa bene dove vuole arrivare.

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15.04.202518:05
Il Corano europeo? L’UE spende 10 milioni per riscrivere la storia a modo suo

Quasi 10 milioni di euro. Non per scuole, ospedali o famiglie in crisi, ma per finanziare un progetto dal nome pomposo: “Il Corano europeo”. Un’iniziativa accademica che, con un pizzico di revisionismo storico e un bel po’ di ideologia, vuole raccontarci che il Corano avrebbe plasmato l’identità europea nel Medioevo e oltre.

A dare la notizia è Le Journal du Dimanche, che rivela come dal 2019 il progetto abbia incassato ben 9.842.534 euro da parte del Consiglio Europeo della Ricerca, quell’organismo partorito dalla Commissione UE per distribuire soldi pubblici secondo criteri che definire “opachi” è un eufemismo.

Tra le università coinvolte spicca anche L’Orientale di Napoli, che insieme ad altri atenei europei ha avuto l’onore di partecipare a una delle iniziative più finanziate tra le 17.000 sovvenzionate. Il tutto sotto il simpatico acronimo EUQU, che suona come un nome di startup woke, con tanto di sito web e libro da comprare online. Perché ormai anche la riscrittura culturale è un prodotto da mettere nel carrello.

Insomma: mentre in Europa si fatica a pagare l’affitto, l’UE impiega quasi 10 milioni per riscrivere la storia religiosa del continente, in modo più inclusivo, naturalmente. E se non siete d’accordo, siete sicuramente poco europei.

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