RAI, toccare il fondo e proseguire scavando
di Emme Pi
La televisione di regime ha toccato ieri sera vette inesplorate di asservimento padronale. Non che sia una novità, ma nell'occasione ha probabilmente dato il meglio di sé. A Sanremo, e già ci sarebbe da ridire così, è il momento degli ospiti. Internazionali, dicono, che internazionali non sono. Il conduttore, quello che nella conferenza stampa della vigilia si è detto antifascista (che fa un sacco figo tra la gente che piace) e nell'accezione woke-macchiettistica imperante probabilmente lo è davvero, senza fare un plissé introduce sul palco quelle che il mainstream corrotto si è affrettato a definire “un’israeliana e una palestinese”. E mentre ai gonzi della pace guerreggiata scende una lacrima all'idea che le due sedicenti pacifiste canteranno “Imagine” di Lennon, la loro vita gli sbatte in faccia senza ambiguità la messa in scena di un potere impegnato con ogni mezzo nella normalizzazione del genocidio in atto.
Una, Noa, è effettivamente israeliana doc, infatti i figli sono dediti a servire l'esercito di occupazione. Quello che per mettere fine al conflitto fa briciole di qualunque cosa odori di Palestina. Bambini inclusi. Insomma, una ambasciatrice di pace quantomeno bizzarra. Cantante che, nemmeno troppo tempo fa, ebbe modo di definire, quello del suo paese, come “esercito dell'amore”. Me cojoni, pensa un po’ se fosse stato dell'odio. L'altra, poi, è Palestinese non meno di quanto Trump adori i poveri. Talmente palestinese che già nel 2009 rappresentava Israele all’Eurovision e, si sa, Tel Aviv notoriamente sceglie le proprie icone da spedire in giro per il pianeta attingendo dal popolo a cui nel frattempo nega la vita. Mira Awad, il suo nome, è nata in un villaggio druso nel nord di Israele. Ah, ecco. I drusi, invisi ai musulmani e viceversa, sono fedeli servitori dello stato israeliano e, ovviamente, anche delle forze armate per le quali prestano tre anni come riservisti e, sebbene non fosse necessario, se n'è avuta conferma anche all'indomani del famigerato 7 ottobre con l’impennata del numero dei soldati drusi impegnati nel massacro di Gaza.
Che dire, una comunità, quella della cantante, che ha a cuore senza riserve le sorti della Palestina. Il bello, si fa per dire, è che gli israeliani li detestano epidermicamente e li sfruttano. Come manovalanza bellica, appunto, e come specchietto per le allodole, millantando una inesistente inclusività. E non si capisce se sia peggio chi lo fa o chi si presta al teatrino da istituto Luce. Ma tant'è che per la maggioranza bulgara dei nostri connazionali la buffonata di ieri sera è il trionfo del bene. Così, mentre il servizio pubblico si vanta di promuovere la pace con il supporto pure del Papa, dà il fianco spudoratamente all’occupazione nel momento di massimo ascolto, tutto per compiacere i padroni di Washington e i loro sgherri.
Mira Awad, peraltro, è la stessa che già in tempi non sospetti attaccò duramente Roger Waters per il suo impegno pubblico nella causa palestinese, accusandolo di inasprire i toni a scapito del dialogo. Dialogo con i cacciabombardieri, forse. In soldoni, come vendere l'anima sulla pelle di un popolo martoriato che si finge di rappresentare. Insomma, l'Italia vassalla non perde mai l'occasione di genuflettersi al cospetto dei reali governanti sovranazionali e lo fa, ogni volta, con inesausta e rinnovata fantasia. Chi cazzo se ne frega se per ottemperare a un diktat si cavalca l'onda di un genocidio perletrato in diretta streaming con la coscienza buttata nel cesso. Tanto i buoni siamo sempre noi.