L’arresto del sindaco di Istanbul, Ekrem İmamoğlu, ha scatenato un’ondata di proteste in tutto il Paese, con oltre 1.418 persone detenute e almeno 10 giornalisti arrestati. Nonostante ciò, la reazione internazionale è stata sorprendentemente tiepida.
A oggi, solo pochi governi si sono espressi apertamente. La Germania ha definito l’arresto “totalmente inaccettabile”, mentre la Francia ha parlato di un “grave attacco alla democrazia”. La Commissione Europea ha espresso seri dubbi sul rispetto dei valori democratici da parte della Turchia, richiamando Ankara al rispetto dei diritti degli eletti e dei cittadini a manifestare pacificamente. Il Consiglio d’Europa ha chiesto il rilascio immediato di İmamoğlu, definendo l’arresto una “mossa calcolata volta a minare l’integrità e l’equità dei processi elettorali”. In Italia, il Ministro degli Esteri Antonio Tajani ha rilasciato dichiarazioni molto caute sulla vicenda, sottolineando che la politica estera è di competenza del Presidente del Consiglio e del Ministro degli Esteri, definendo come “iniziative legittime personali” eventuali commenti esterni. Gli Stati Uniti, invece, hanno evitato di prendere una posizione netta, limitandosi a definire la crisi un “affare interno” della Turchia.
Questo silenzio internazionale solleva interrogativi sulla coerenza dell’Occidente nel difendere i principi democratici e i diritti umani a livello globale. Erdoğan ha saputo sfruttare il peso strategico della Turchia per mettere a tacere le critiche. Con gli Stati Uniti sempre più distanti dall’Europa e la NATO che considera Ankara un alleato indispensabile, il presidente turco si sente libero di agire senza temere serie conseguenze. In passato, ha rallentato l’ingresso di Svezia e Finlandia nell’alleanza atlantica per ottenere concessioni. Ora, conta sul fatto che la posizione chiave della Turchia nei rapporti con il Medio Oriente impedirà ai governi occidentali di condannare apertamente la sua repressione.
In passato, la comunità internazionale ha spesso mostrato cautela nel criticare Erdoğan. Un esempio significativo è la reazione moderata alle repressioni seguite al tentato colpo di stato del 2016, quando migliaia di oppositori furono arrestati e le libertà civili ulteriormente limitate. E ora, con le proteste in corso, la reazione internazionale resta timida, mentre in Turchia si continua con un’azione repressiva.
Inoltre, sulla piattaforma social X, sono stati sospesi numerosi account legati all’opposizione turca. Il ministro dell’Interno Ali Yerlikaya ha annunciato l’identificazione di 326 profili accusati di incitamento all’odio, 72 dei quali gestiti dall’estero, portando all’arresto di 54 persone. Questa azione ha suscitato preoccupazioni riguardo alla libertà di espressione online e al controllo delle informazioni nel paese.
Il silenzio dell’Occidente di fronte alla deriva autoritaria in Turchia non è una svista, ma una scelta dettata da interessi geopolitici. Questa complicità rischia di legittimare ulteriormente la repressione di Erdoğan.
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