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20.04.202505:04
Auguro a tutti voi, e alle persone che amate, una Pasqua di verità, di cuore e di luce. Che possiate risorgere ogni giorno, nel silenzio del cuore e nella forza dell’anima.
12.05.202514:59
OMS, Europarlamento e “sovranità pandemica”: arriva il golpe sanitario silenzioso
Con 514 voti a favore e solo 126 contrari, il Parlamento europeo ha dato il via libera a uno dei passaggi più inquietanti della governance sanitaria globale: l’approvazione degli emendamenti al Regolamento Sanitario Internazionale (RSI) dell’OMS. Un documento vincolante senza necessità di ratifica parlamentare nazionale, che entrerà in vigore il 19 settembre 2025 — a meno che uno Stato non si ribelli formalmente entro luglio. Spoiler: non lo farà nessuno.
Nel silenzio mediatico più totale, si affida a una burocrazia sovranazionale il potere di dichiarare “emergenze pandemiche” sulla base di criteri vaghi e senza più bisogno del consenso degli Stati. Una volta proclamata l’emergenza, l’OMS potrà:
imporre raccomandazioni temporanee e permanenti (artt. 15-16, rispettivamente per misure di emergenza e misure sanitarie ordinarie a tempo indeterminato: ad esempio obbligo di mascherina, certificazione sanitaria, limitazioni alla mobilità, anche dopo la fine dell’emergenza) anche dopo la fine dell’emergenza;
gestire l’accesso “equo” ai “prodotti sanitari pertinenti” — una formula omnicomprensiva che include vaccini, terapie geniche, mascherine, disinfettanti e più avanti chissà cos’altro;
imporre documenti sanitari digitali (art. 35) aggiornabili dall’OMS secondo “specifiche tecniche” non definite, ma ovviamente “conformi” al trattamento dati personale (si rassicura, quindi…);
dettare le misure da adottare nei porti, aeroporti e valichi terrestri (artt. 20-21), con possibilità di quarantene, blocchi, sorveglianza e ispezioni senza autorizzazione parlamentare;
coordinare un “meccanismo finanziario globale” (art. 44 bis) a supporto della compliance sanitaria planetaria — ovvero un sistema che, di fatto, condiziona gli aiuti economici all’adesione ai diktat pandemici.
Il tutto condito da una struttura decisionale verticale in cui il Direttore Generale dell’OMS (non eletto da nessun cittadino) acquisisce un potere simile a quello di un imperatore sanitario: potrà dichiarare una “emergenza pandemica” anche contro la volontà di uno Stato (art. 12) e far partire immediatamente la macchina della risposta, compresa la censura della “disinformazione”.
Come se non bastasse, l’intera riforma si fonda su un principio di “solidarietà ed equità” che, tradotto in burocratese, significa: tutti i Paesi dovranno contribuire a un sistema centralizzato di risposta alle pandemie, e accettare che le forniture critiche vengano ridistribuite secondo “necessità globali” (e non nazionali). Bello vero?
Tra le gemme più inquietanti:
la ridefinizione di pandemia, che ora può essere attivata anche per un rischio “potenziale” di perturbazione sociale;
l’estensione dei poteri dell’OMS su trasporti, merci, viaggiatori e perfino corpi umani in transito (art. 23 e 28);
l’obbligo per gli Stati di aggiornare leggi interne per renderle conformi al RSI (art. 4.2bis), cancellando ogni residuo di autonomia legislativa in materia sanitaria.
Nonostante tutto ciò, il “gruppo Meloni”, quello che fa finta di opporsi alle élite globali, ha votato a favore di questa mannaia sanitaria che rende ogni futura “crisi” un’occasione per bloccare, schedare, vaccinare, trattenere e “coordinare” i cittadini a piacimento. Con buona pace dei “patrioti”.
Infine, un dettaglio da non sottovalutare: non c’è nessun obbligo di consultazione democratica. Gli Stati sono già vincolati per default. Se vogliono dire “no”, devono attivarsi formalmente entro il 19 luglio 2025. Un silenzio-assenso perfetto per una tecnocrazia sanitaria senza volto ma con molto potere.
Vuoi salvarti da tutto questo? Preparati a essere chiamato “negazionista antiscientifico”.
Per restare sempre in contatto senza censure, seguite il mio canale Telegram: https://t.me/carmen_tortora1
Con 514 voti a favore e solo 126 contrari, il Parlamento europeo ha dato il via libera a uno dei passaggi più inquietanti della governance sanitaria globale: l’approvazione degli emendamenti al Regolamento Sanitario Internazionale (RSI) dell’OMS. Un documento vincolante senza necessità di ratifica parlamentare nazionale, che entrerà in vigore il 19 settembre 2025 — a meno che uno Stato non si ribelli formalmente entro luglio. Spoiler: non lo farà nessuno.
Nel silenzio mediatico più totale, si affida a una burocrazia sovranazionale il potere di dichiarare “emergenze pandemiche” sulla base di criteri vaghi e senza più bisogno del consenso degli Stati. Una volta proclamata l’emergenza, l’OMS potrà:
imporre raccomandazioni temporanee e permanenti (artt. 15-16, rispettivamente per misure di emergenza e misure sanitarie ordinarie a tempo indeterminato: ad esempio obbligo di mascherina, certificazione sanitaria, limitazioni alla mobilità, anche dopo la fine dell’emergenza) anche dopo la fine dell’emergenza;
gestire l’accesso “equo” ai “prodotti sanitari pertinenti” — una formula omnicomprensiva che include vaccini, terapie geniche, mascherine, disinfettanti e più avanti chissà cos’altro;
imporre documenti sanitari digitali (art. 35) aggiornabili dall’OMS secondo “specifiche tecniche” non definite, ma ovviamente “conformi” al trattamento dati personale (si rassicura, quindi…);
dettare le misure da adottare nei porti, aeroporti e valichi terrestri (artt. 20-21), con possibilità di quarantene, blocchi, sorveglianza e ispezioni senza autorizzazione parlamentare;
coordinare un “meccanismo finanziario globale” (art. 44 bis) a supporto della compliance sanitaria planetaria — ovvero un sistema che, di fatto, condiziona gli aiuti economici all’adesione ai diktat pandemici.
Il tutto condito da una struttura decisionale verticale in cui il Direttore Generale dell’OMS (non eletto da nessun cittadino) acquisisce un potere simile a quello di un imperatore sanitario: potrà dichiarare una “emergenza pandemica” anche contro la volontà di uno Stato (art. 12) e far partire immediatamente la macchina della risposta, compresa la censura della “disinformazione”.
Come se non bastasse, l’intera riforma si fonda su un principio di “solidarietà ed equità” che, tradotto in burocratese, significa: tutti i Paesi dovranno contribuire a un sistema centralizzato di risposta alle pandemie, e accettare che le forniture critiche vengano ridistribuite secondo “necessità globali” (e non nazionali). Bello vero?
Tra le gemme più inquietanti:
la ridefinizione di pandemia, che ora può essere attivata anche per un rischio “potenziale” di perturbazione sociale;
l’estensione dei poteri dell’OMS su trasporti, merci, viaggiatori e perfino corpi umani in transito (art. 23 e 28);
l’obbligo per gli Stati di aggiornare leggi interne per renderle conformi al RSI (art. 4.2bis), cancellando ogni residuo di autonomia legislativa in materia sanitaria.
Nonostante tutto ciò, il “gruppo Meloni”, quello che fa finta di opporsi alle élite globali, ha votato a favore di questa mannaia sanitaria che rende ogni futura “crisi” un’occasione per bloccare, schedare, vaccinare, trattenere e “coordinare” i cittadini a piacimento. Con buona pace dei “patrioti”.
Infine, un dettaglio da non sottovalutare: non c’è nessun obbligo di consultazione democratica. Gli Stati sono già vincolati per default. Se vogliono dire “no”, devono attivarsi formalmente entro il 19 luglio 2025. Un silenzio-assenso perfetto per una tecnocrazia sanitaria senza volto ma con molto potere.
Vuoi salvarti da tutto questo? Preparati a essere chiamato “negazionista antiscientifico”.
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14.05.202507:59
Il giorno che brucia
Un altro giorno di guerra è passato. E nessuno se n'è accorto.
Ogni giorno ha un nome diverso, ma il dolore è sempre lo stesso. Il calendario si riempie di cenere, mentre il mondo brucia in silenzio. Bruciano le città, i villaggi, i corpi. Brucia Gaza, dove un genocidio si consuma sotto gli occhi complici dell’Occidente. Brucia l’Ucraina, trasformata in laboratorio di guerra e speculazione. Brucia il Sudan, dove i bambini muoiono dimenticati. Brucia il Sahel, inghiottito nell’ombra. Brucia lo Yemen, dove la fame dilania più delle bombe. Brucia la Siria, dove la guerra è diventata paesaggio.
Sono 56 le guerre attive. 92 i Paesi destabilizzati. 100 milioni gli esseri umani derubati di tutto, anche del diritto di esistere.
E intanto, chi manovra l’abisso, si esibisce. Parla di “transizione verde” mentre devasta. Pronuncia “pace sostenibile” mentre arma. Invoca “resilienza” mentre costruisce gabbie biometriche e nuovi confini elettronici.
A Gaza, le bombe colpiscono ospedali, scuole, culle. È genocidio. Ma pronunciare la parola è diventato reato diplomatico. Interi quartieri vengono rasi al suolo e i bambini scavano con le mani, mentre gli ambasciatori brindano.
A Tripoli, l’uccisione di un torturatore – Gheniwa –fa esplodere un'altra guerra tra bande. Lo Stato è un fantasma. Ma l’Italia e l’Europa finanziano quel governo come fosse legittimo. I milioni versati diventano munizioni e lager.
Nel Burkina Faso, le stragi sono cronaca muta. Djibo affoga nel sangue, ma l’Occidente la chiama “instabilità locale”.
E mentre le guerre si moltiplicano, loro firmano trattati. Stabiliscono regole, quote, piani. Non per fermare i conflitti. Per disciplinarli. Per usarli. Per costruire un ordine globale senza dissenso.
Una sola voce. Un solo pensiero. Un solo sistema. Fatto di parole accattivanti e obiettivi inquinati. Ma dietro ogni “inclusione” c’è un codice. Dietro ogni “sviluppo” una sorveglianza. Dietro ogni “sicurezza” un nemico invisibile.
E noi? Zitti. Firmiamo. Paghiamo. Obbediamo.
Il giorno che brucia è ogni giorno. E nessuno lo ha ancora pianto abbastanza.
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Un altro giorno di guerra è passato. E nessuno se n'è accorto.
Ogni giorno ha un nome diverso, ma il dolore è sempre lo stesso. Il calendario si riempie di cenere, mentre il mondo brucia in silenzio. Bruciano le città, i villaggi, i corpi. Brucia Gaza, dove un genocidio si consuma sotto gli occhi complici dell’Occidente. Brucia l’Ucraina, trasformata in laboratorio di guerra e speculazione. Brucia il Sudan, dove i bambini muoiono dimenticati. Brucia il Sahel, inghiottito nell’ombra. Brucia lo Yemen, dove la fame dilania più delle bombe. Brucia la Siria, dove la guerra è diventata paesaggio.
Sono 56 le guerre attive. 92 i Paesi destabilizzati. 100 milioni gli esseri umani derubati di tutto, anche del diritto di esistere.
E intanto, chi manovra l’abisso, si esibisce. Parla di “transizione verde” mentre devasta. Pronuncia “pace sostenibile” mentre arma. Invoca “resilienza” mentre costruisce gabbie biometriche e nuovi confini elettronici.
A Gaza, le bombe colpiscono ospedali, scuole, culle. È genocidio. Ma pronunciare la parola è diventato reato diplomatico. Interi quartieri vengono rasi al suolo e i bambini scavano con le mani, mentre gli ambasciatori brindano.
A Tripoli, l’uccisione di un torturatore – Gheniwa –fa esplodere un'altra guerra tra bande. Lo Stato è un fantasma. Ma l’Italia e l’Europa finanziano quel governo come fosse legittimo. I milioni versati diventano munizioni e lager.
Nel Burkina Faso, le stragi sono cronaca muta. Djibo affoga nel sangue, ma l’Occidente la chiama “instabilità locale”.
E mentre le guerre si moltiplicano, loro firmano trattati. Stabiliscono regole, quote, piani. Non per fermare i conflitti. Per disciplinarli. Per usarli. Per costruire un ordine globale senza dissenso.
Una sola voce. Un solo pensiero. Un solo sistema. Fatto di parole accattivanti e obiettivi inquinati. Ma dietro ogni “inclusione” c’è un codice. Dietro ogni “sviluppo” una sorveglianza. Dietro ogni “sicurezza” un nemico invisibile.
E noi? Zitti. Firmiamo. Paghiamo. Obbediamo.
Il giorno che brucia è ogni giorno. E nessuno lo ha ancora pianto abbastanza.
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13.05.202517:59
Io non ho paura di lei. Né ho paura di quegli idioti fanatici che la seguono. Ho paura di quello che questo odio sta facendo alla nostra società. Perché quando si normalizza la violenza verbale, quando si giustifica il linciaggio digitale, si perde qualcosa di fondamentale. Il rispetto per l’altro. E una società senza rispetto è una società che si sgretola. Mr. Burioni, stop bullying!”
Parole forti, che non possono essere liquidate con un'alzata di spalle. In un tempo in cui ogni critica viene demonizzata, e ogni figura pubblica può trasformarsi in mandante simbolico di attacchi collettivi, resta urgente recuperare il senso del limite.
Papa Leone XIV, nel suo recente motto, ha evocato “la forza nella mitezza e la luce nella verità”. Parole che dovrebbero ricordarci che la grandezza non sta nella sopraffazione, ma nell’umiltà. Che la scienza, se perde il rispetto per l’uomo, si trasforma in strumento di dominio.
Conclusione personale: Non è più tempo di idoli da talk show, né di sacerdoti in camice bianco con la verità in tasca. È tempo di restituire dignità alla parola, al dissenso, al confronto. Perché quando la scienza diventa dogma, e chi dissente viene bullizzato, non siamo più in una società libera. Siamo nel preludio della barbarie.
https://www.youtube.com/watch?v=6ANkb415wVA
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10.05.202511:05
Roma: la Capitale del cemento e del silenzio – Gualtieri ordina, gli alberi cadono
A Roma va in scena una silenziosa, sistematica deforestazione urbana. La giunta Gualtieri, tra sorrisi istituzionali e promesse ecologiche di facciata, sta abbattendo centinaia di alberi ad alto fusto – lecci, tigli, pini – come se fossero relitti di un passato da cancellare. Il tutto avviene nel periodo vietato della nidificazione, in sfregio alla fauna e al buonsenso. Nessuna trasparenza, nessuna consultazione, nessuna spiegazione. Solo cartelli vaghi e tecnici legati alle ditte appaltatrici che, come per magia, decretano che ogni albero è “pericoloso” o “a fine vita”.
La scusa? La solita: “messa in sicurezza”. Ma dietro questa parola magica si nasconde un meccanismo perfetto: abbattere è più veloce e remunerativo che curare. Meglio tagliare tutto, magari l’intero filare, anche se solo pochi esemplari sono malati. Un’occasione d’oro per le ditte coinvolte, che guadagnano due volte: prima con l’abbattimento, poi con le eventuali ripiantumazioni, sempre se avvengono davvero. E chi verifica? Nessuno. Il controllore è lo stesso che incassa.
Intanto si ripete il solito teatrino del greenwashing: “verranno piantati nuovi alberi”, dicono. Ma nessuno sa dove, quando, con quali criteri e se il saldo finale sarà mai positivo. Nel frattempo, i cittadini non vengono interpellati, le promesse (come la Consulta del Verde) svaniscono, e chi osa protestare viene trattato da sovversivo. Mentre Gualtieri si prepara alla rielezione, senza primarie e senza ombra – in tutti i sensi.
Eppure la domanda più scottante resta ignorata: gli alberi ad alto fusto, con le loro chiome fitte e le radici profonde, erano solo un problema “strutturale”? O forse rappresentavano un ostacolo ben più concreto: quello alla piena funzionalità delle reti 5G (e prossimamente 6G)? Nella nuova Roma della digitalizzazione spinta e dei fondi europei, serve “aria libera” per il segnale, visuale perfetta per le microantenne, infrastrutture a vista. In questo contesto, il verde urbano non è un valore: è un intralcio.
Altro che cura dell’ambiente. Qui si prepara la Smart City perfetta: spoglia di ombre, ma connessa h24. Le piante? Fastidiose, imprevedibili, biologiche. Meglio eliminarle in massa. Il tutto condito da una narrazione rassicurante e paternalista, dove tutto viene deciso “per il nostro bene” e senza coinvolgerci.
Una giunta che si proclama “di sinistra” ma che agisce con logiche da governance tecnocratica: verticalità assoluta, nessun dibattito, nessun dissenso ammesso. Il modello è quello delle città laboratorio, dove ogni metro quadrato deve servire a qualcosa – e la natura, evidentemente, non serve più.
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A Roma va in scena una silenziosa, sistematica deforestazione urbana. La giunta Gualtieri, tra sorrisi istituzionali e promesse ecologiche di facciata, sta abbattendo centinaia di alberi ad alto fusto – lecci, tigli, pini – come se fossero relitti di un passato da cancellare. Il tutto avviene nel periodo vietato della nidificazione, in sfregio alla fauna e al buonsenso. Nessuna trasparenza, nessuna consultazione, nessuna spiegazione. Solo cartelli vaghi e tecnici legati alle ditte appaltatrici che, come per magia, decretano che ogni albero è “pericoloso” o “a fine vita”.
La scusa? La solita: “messa in sicurezza”. Ma dietro questa parola magica si nasconde un meccanismo perfetto: abbattere è più veloce e remunerativo che curare. Meglio tagliare tutto, magari l’intero filare, anche se solo pochi esemplari sono malati. Un’occasione d’oro per le ditte coinvolte, che guadagnano due volte: prima con l’abbattimento, poi con le eventuali ripiantumazioni, sempre se avvengono davvero. E chi verifica? Nessuno. Il controllore è lo stesso che incassa.
Intanto si ripete il solito teatrino del greenwashing: “verranno piantati nuovi alberi”, dicono. Ma nessuno sa dove, quando, con quali criteri e se il saldo finale sarà mai positivo. Nel frattempo, i cittadini non vengono interpellati, le promesse (come la Consulta del Verde) svaniscono, e chi osa protestare viene trattato da sovversivo. Mentre Gualtieri si prepara alla rielezione, senza primarie e senza ombra – in tutti i sensi.
Eppure la domanda più scottante resta ignorata: gli alberi ad alto fusto, con le loro chiome fitte e le radici profonde, erano solo un problema “strutturale”? O forse rappresentavano un ostacolo ben più concreto: quello alla piena funzionalità delle reti 5G (e prossimamente 6G)? Nella nuova Roma della digitalizzazione spinta e dei fondi europei, serve “aria libera” per il segnale, visuale perfetta per le microantenne, infrastrutture a vista. In questo contesto, il verde urbano non è un valore: è un intralcio.
Altro che cura dell’ambiente. Qui si prepara la Smart City perfetta: spoglia di ombre, ma connessa h24. Le piante? Fastidiose, imprevedibili, biologiche. Meglio eliminarle in massa. Il tutto condito da una narrazione rassicurante e paternalista, dove tutto viene deciso “per il nostro bene” e senza coinvolgerci.
Una giunta che si proclama “di sinistra” ma che agisce con logiche da governance tecnocratica: verticalità assoluta, nessun dibattito, nessun dissenso ammesso. Il modello è quello delle città laboratorio, dove ogni metro quadrato deve servire a qualcosa – e la natura, evidentemente, non serve più.
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25.04.202511:05
Von der Leyen, il colpo di mano fallito: stop al mega-riarmo europeo da 800 miliardi
Ursula von der Leyen ci ha provato. Ancora una volta. Stavolta con un piano di riarmo da 800 miliardi, ribattezzato SAFE (nome da manuale del marketing orwelliano), che avrebbe dovuto inondare l’industria bellica europea di finanziamenti, prestiti e obbligazioni comunitarie. Ma ha scelto la via più scivolosa: tentare l’approvazione usando il famigerato articolo 122 dei Trattati Ue, pensato per gestire crisi energetiche e catastrofi, non per trasformare l’Europa in un arsenale.
Il trucco? Saltare il Parlamento europeo, affidando tutto al Consiglio. Nessun dibattito, nessuna rappresentanza popolare, nessun controllo. Un blitz burocratico in piena regola. Ma il servizio giuridico dell’Europarlamento ha messo i bastoni tra le ruote: l’uso dell’articolo 122 è giuridicamente inappropriato. E la Commissione Affari Legali ha confermato: procedura bocciata.
Un’umiliazione per la presidente della Commissione, abituata a decidere da sola e a servire il piatto già pronto ai governi amici — Italia compresa, con Giorgia Meloni tra le prime ad applaudire. Ma stavolta il castello è crollato.
A rincarare la dose ci ha pensato Giuseppe Conte, che, per convenienza politica, ha ricordato la mobilitazione del 5 aprile a Roma: centomila persone in piazza contro la militarizzazione dell’Europa. “Lo abbiamo denunciato subito anche a Strasburgo — ha detto Conte — e oggi la verità è chiara: chi ha appoggiato questo piano lo ha fatto scavalcando il Parlamento e calpestando la democrazia”.
Il messaggio è chiaro: non basta un pretesto giuridico per coprire un progetto di riarmo senza mandato popolare. E non basta cambiare la base legale per riproporlo con un’altra veste. Il problema è nel cuore stesso della proposta: un’Europa che si indebita per armarsi, mentre taglia sul sociale e sulla sanità.
Von der Leyen pensava di manovrare in silenzio. Ma stavolta il Parlamento ha parlato. E la sua voce, per una volta, ha spezzato la penna del comando.
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Ursula von der Leyen ci ha provato. Ancora una volta. Stavolta con un piano di riarmo da 800 miliardi, ribattezzato SAFE (nome da manuale del marketing orwelliano), che avrebbe dovuto inondare l’industria bellica europea di finanziamenti, prestiti e obbligazioni comunitarie. Ma ha scelto la via più scivolosa: tentare l’approvazione usando il famigerato articolo 122 dei Trattati Ue, pensato per gestire crisi energetiche e catastrofi, non per trasformare l’Europa in un arsenale.
Il trucco? Saltare il Parlamento europeo, affidando tutto al Consiglio. Nessun dibattito, nessuna rappresentanza popolare, nessun controllo. Un blitz burocratico in piena regola. Ma il servizio giuridico dell’Europarlamento ha messo i bastoni tra le ruote: l’uso dell’articolo 122 è giuridicamente inappropriato. E la Commissione Affari Legali ha confermato: procedura bocciata.
Un’umiliazione per la presidente della Commissione, abituata a decidere da sola e a servire il piatto già pronto ai governi amici — Italia compresa, con Giorgia Meloni tra le prime ad applaudire. Ma stavolta il castello è crollato.
A rincarare la dose ci ha pensato Giuseppe Conte, che, per convenienza politica, ha ricordato la mobilitazione del 5 aprile a Roma: centomila persone in piazza contro la militarizzazione dell’Europa. “Lo abbiamo denunciato subito anche a Strasburgo — ha detto Conte — e oggi la verità è chiara: chi ha appoggiato questo piano lo ha fatto scavalcando il Parlamento e calpestando la democrazia”.
Il messaggio è chiaro: non basta un pretesto giuridico per coprire un progetto di riarmo senza mandato popolare. E non basta cambiare la base legale per riproporlo con un’altra veste. Il problema è nel cuore stesso della proposta: un’Europa che si indebita per armarsi, mentre taglia sul sociale e sulla sanità.
Von der Leyen pensava di manovrare in silenzio. Ma stavolta il Parlamento ha parlato. E la sua voce, per una volta, ha spezzato la penna del comando.
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09.05.202508:04
Fuori dall’OMS!”: la Svizzera si ribella. E l’Italia?
L’Unione Democratica Federale (UDF) ha depositato una petizione con oltre 34.000 firme per chiedere il ritiro immediato della Svizzera dall’OMS e la cessazione di ogni finanziamento. L’accusa è chiara: l’Organizzazione Mondiale della Sanità si occupa sempre meno di salute e sempre più di potere, controllo e centralizzazione, guidata da un'élite di funzionari non eletti. Il bersaglio principale è il patto pandemico globale e i recenti emendamenti al Regolamento Sanitario Internazionale (RSI), approvati nel 2024.
Secondo l’UDF, la cooperazione sanitaria internazionale è importante, ma non con un’OMS “invasiva” che punta a mettere gli Stati sotto tutela. Nessun beneficio per la Svizzera, anzi: si chiede di seguire l’esempio dell’amministrazione Trump e rompere con l’OMS al più presto.
Domanda provocatoria per Roma: mentre a Berna si discute di libertà sanitaria, in Italia chi ha il coraggio di porre la questione?
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L’Unione Democratica Federale (UDF) ha depositato una petizione con oltre 34.000 firme per chiedere il ritiro immediato della Svizzera dall’OMS e la cessazione di ogni finanziamento. L’accusa è chiara: l’Organizzazione Mondiale della Sanità si occupa sempre meno di salute e sempre più di potere, controllo e centralizzazione, guidata da un'élite di funzionari non eletti. Il bersaglio principale è il patto pandemico globale e i recenti emendamenti al Regolamento Sanitario Internazionale (RSI), approvati nel 2024.
Secondo l’UDF, la cooperazione sanitaria internazionale è importante, ma non con un’OMS “invasiva” che punta a mettere gli Stati sotto tutela. Nessun beneficio per la Svizzera, anzi: si chiede di seguire l’esempio dell’amministrazione Trump e rompere con l’OMS al più presto.
Domanda provocatoria per Roma: mentre a Berna si discute di libertà sanitaria, in Italia chi ha il coraggio di porre la questione?
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14.05.202517:59
Ursula & Pfizer: la Corte smaschera il flirt vaccinale. E i moralisti si risvegliano… da complici
Game over per Ursula von der Leyen. Il Tribunale dell’Unione Europea ha finalmente scoperchiato il vaso di Pandora: i messaggi scambiati tra la presidente della Commissione e il CEO di Pfizer, Albert Bourla, non possono restare nascosti. Il New York Times li aveva chiesti anni fa. La Commissione, nel suo solito stile evasivo, aveva risposto con un capolavoro di burocratese: “Non li abbiamo”. Ma i giudici hanno detto: “Non ci prendete in giro”.
Si parla di SMS inviati tra gennaio 2021 e maggio 2022, in piena trattativa da miliardi per i vaccini anti-Covid. Contratti siglati nel segreto più totale, blindati da clausole censurate, costati un patrimonio agli Stati membri. E ora quei messaggi, che potrebbero raccontare qualcosa di molto scomodo, vengono negati, forse eliminati. Ma secondo il regolamento europeo, i documenti devono essere accessibili al pubblico. Bruxelles, come al solito, ha fatto finta di nulla. E ha perso.
Il Tribunale ha demolito le scuse dell’esecutivo: “imprecise e mutevoli”. Traduzione? Balle burocratiche, nel tentativo di guadagnare tempo e insabbiare. Neppure un'ammissione chiara sull’esistenza o distruzione dei messaggi. Solo silenzi imbarazzati e spallucce istituzionali.
Ora arriva la parte più grottesca: la Commissione “prende atto” della sentenza e giura “massima trasparenza”. Dopo due anni di muro di gomma e segretezza totale, la promessa di sincerità suona come uno sketch mal riuscito.
E come reagisce la politica? Con indignazione, ovviamente. Ma a comando. Dario Tamburrano (M5S) accusa: “È ormai palese che Ursula ha mentito. Cosa voleva nascondere? Pfizer si è arricchita con contratti capestro che hanno dissanguato i cittadini”.
Peccato però che il Movimento 5 Stelle sia stato il primo a calpestare diritti e libertà, proprio durante il governo Conte. È stato Giuseppe Conte, premier M5S, a introdurre il primo stato di emergenza, la campagna vaccinale coatta e le misure più totalitarie della storia repubblicana, gettando le basi per il delirio firmato von der Leyen.
Anche i Verdi europei fanno la voce grossa: “Le decisioni non possono essere prese dietro porte chiuse, altrimenti gli interessi aziendali prevalgono su quelli pubblici”. Parole sante. Ma nel 2021 sostenevano senza batter ciglio il Green Pass europeo, spingendo proprio per l’introduzione del Certificato COVID Digitale UE. Altro che trasparenza: complicità travestita da responsabilità.
Il flirt tra Pfizer e Commissione è ora sotto i riflettori. Ma a finire nudo è l’intero cast europeo, fatto di tecnocrati, partiti-mascherina e moralisti a intermittenza. Il danno – politico, economico e democratico – è già stato fatto. Ma il teatrino continua.
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Game over per Ursula von der Leyen. Il Tribunale dell’Unione Europea ha finalmente scoperchiato il vaso di Pandora: i messaggi scambiati tra la presidente della Commissione e il CEO di Pfizer, Albert Bourla, non possono restare nascosti. Il New York Times li aveva chiesti anni fa. La Commissione, nel suo solito stile evasivo, aveva risposto con un capolavoro di burocratese: “Non li abbiamo”. Ma i giudici hanno detto: “Non ci prendete in giro”.
Si parla di SMS inviati tra gennaio 2021 e maggio 2022, in piena trattativa da miliardi per i vaccini anti-Covid. Contratti siglati nel segreto più totale, blindati da clausole censurate, costati un patrimonio agli Stati membri. E ora quei messaggi, che potrebbero raccontare qualcosa di molto scomodo, vengono negati, forse eliminati. Ma secondo il regolamento europeo, i documenti devono essere accessibili al pubblico. Bruxelles, come al solito, ha fatto finta di nulla. E ha perso.
Il Tribunale ha demolito le scuse dell’esecutivo: “imprecise e mutevoli”. Traduzione? Balle burocratiche, nel tentativo di guadagnare tempo e insabbiare. Neppure un'ammissione chiara sull’esistenza o distruzione dei messaggi. Solo silenzi imbarazzati e spallucce istituzionali.
Ora arriva la parte più grottesca: la Commissione “prende atto” della sentenza e giura “massima trasparenza”. Dopo due anni di muro di gomma e segretezza totale, la promessa di sincerità suona come uno sketch mal riuscito.
E come reagisce la politica? Con indignazione, ovviamente. Ma a comando. Dario Tamburrano (M5S) accusa: “È ormai palese che Ursula ha mentito. Cosa voleva nascondere? Pfizer si è arricchita con contratti capestro che hanno dissanguato i cittadini”.
Peccato però che il Movimento 5 Stelle sia stato il primo a calpestare diritti e libertà, proprio durante il governo Conte. È stato Giuseppe Conte, premier M5S, a introdurre il primo stato di emergenza, la campagna vaccinale coatta e le misure più totalitarie della storia repubblicana, gettando le basi per il delirio firmato von der Leyen.
Anche i Verdi europei fanno la voce grossa: “Le decisioni non possono essere prese dietro porte chiuse, altrimenti gli interessi aziendali prevalgono su quelli pubblici”. Parole sante. Ma nel 2021 sostenevano senza batter ciglio il Green Pass europeo, spingendo proprio per l’introduzione del Certificato COVID Digitale UE. Altro che trasparenza: complicità travestita da responsabilità.
Il flirt tra Pfizer e Commissione è ora sotto i riflettori. Ma a finire nudo è l’intero cast europeo, fatto di tecnocrati, partiti-mascherina e moralisti a intermittenza. Il danno – politico, economico e democratico – è già stato fatto. Ma il teatrino continua.
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12.05.202508:05
Il Medioevo che verrà
di Giorgio Agamben – 10 maggio 2025
«Il crollo politico, economico e intellettuale dei paesi europei è già oggi prevedibile, anche se sopravvivranno ancora per un po’», scrive Giorgio Agamben. Non si tratta più di uno scenario fantascientifico: ciò che ci attende non è tanto un'apocalisse improvvisa, quanto una lenta regressione verso un nuovo Medioevo.
Un passaggio sorprendentemente attuale si trova nel libro L’arte alla fine del mondo antico di Sergio Bettini (1948), che descrive la dissoluzione dell’antichità come un processo nel quale la burocrazia si isola, le masse si ritirano, e nuovi poteri emergono attorno a nuclei sociali autonomi. Una descrizione che calza perfettamente con ciò che stiamo vivendo: la concentrazione del potere amministrativo nelle mani di tecnocrazie impermeabili alla volontà popolare, la crescente astensione civica, la formazione di gruppi economici autosufficienti — i nuovi latifondi corporativi — e l'integrazione di intere categorie professionali negli ingranaggi dello Stato, come già accaduto con la classe medica durante la pandemia.
A distanza di vent’anni, nel 1971, Roberto Vacca pubblicava Il medioevo prossimo venturo, anticipando il collasso funzionale delle società avanzate: l’impossibilità di mantenere sistemi complessi come trasporti, reti idriche, trattamento dei rifiuti ed elaborazione delle informazioni. Una profezia che oggi assume contorni drammaticamente concreti, amplificata da un’alluvione di annunci climatici e collassi sistemici. Vacca parlava di “letteratura rovinografica”. Oggi potremmo parlare di industria dell’ansia sostenibile.
Ma ciò che Agamben sottolinea non è tanto la spettacolarizzazione del disastro, quanto la possibilità che questo collasso non si manifesti come una catastrofe improvvisa, bensì come una mutazione lenta, strutturale, e silenziosa. Proprio come accadde nella transizione dall’Impero romano al Medioevo. E allora si pone la vera domanda: quale sarà il nuovo equivalente dei monasteri? Dove si ritireranno — o da dove ripartiranno — quei pochi che sapranno inventare nuove forme di vita, di comunità, di pensiero?
Il futuro — suggerisce Agamben — appartiene a chi saprà cogliere il senso nelle rovine. L'anonimato politico delle masse potrebbe non essere solo rassegnazione, ma la premessa per una reinvenzione sotterranea, fuori dai radar dello Stato, dell’economia globale e delle agenzie di sorveglianza digitale.
Giorgio Agamben, classe 1942, professore di estetica e autore di opere tradotte in tutto il mondo, è stato una delle pochissime voci filosofiche a prendere posizione pubblicamente contro il regime pandemico nel febbraio 2020 — motivo per cui i suoi scritti furono sistematicamente oscurati nel dibattito mediatico. Questo testo è tratto dal suo blog, dove è apparso a metà gennaio con il titolo Il medioevo prossimo venturo.
Per restare sempre in contatto senza censure, seguite il mio canale Telegram: https://t.me/carmen_tortora1
Fonte: Quodlibet
Giorgio Agamben, Il medioevo prossimo venturo - Quodlibet
Edizioni Quodlibet - Volumi pubblicati, Appuntamenti, Recensioni e Anteprime - Acquista con sconto del 15%, spedizioni gratuite in Italia per acquisti sopra 29 euro.
di Giorgio Agamben – 10 maggio 2025
«Il crollo politico, economico e intellettuale dei paesi europei è già oggi prevedibile, anche se sopravvivranno ancora per un po’», scrive Giorgio Agamben. Non si tratta più di uno scenario fantascientifico: ciò che ci attende non è tanto un'apocalisse improvvisa, quanto una lenta regressione verso un nuovo Medioevo.
Un passaggio sorprendentemente attuale si trova nel libro L’arte alla fine del mondo antico di Sergio Bettini (1948), che descrive la dissoluzione dell’antichità come un processo nel quale la burocrazia si isola, le masse si ritirano, e nuovi poteri emergono attorno a nuclei sociali autonomi. Una descrizione che calza perfettamente con ciò che stiamo vivendo: la concentrazione del potere amministrativo nelle mani di tecnocrazie impermeabili alla volontà popolare, la crescente astensione civica, la formazione di gruppi economici autosufficienti — i nuovi latifondi corporativi — e l'integrazione di intere categorie professionali negli ingranaggi dello Stato, come già accaduto con la classe medica durante la pandemia.
A distanza di vent’anni, nel 1971, Roberto Vacca pubblicava Il medioevo prossimo venturo, anticipando il collasso funzionale delle società avanzate: l’impossibilità di mantenere sistemi complessi come trasporti, reti idriche, trattamento dei rifiuti ed elaborazione delle informazioni. Una profezia che oggi assume contorni drammaticamente concreti, amplificata da un’alluvione di annunci climatici e collassi sistemici. Vacca parlava di “letteratura rovinografica”. Oggi potremmo parlare di industria dell’ansia sostenibile.
Ma ciò che Agamben sottolinea non è tanto la spettacolarizzazione del disastro, quanto la possibilità che questo collasso non si manifesti come una catastrofe improvvisa, bensì come una mutazione lenta, strutturale, e silenziosa. Proprio come accadde nella transizione dall’Impero romano al Medioevo. E allora si pone la vera domanda: quale sarà il nuovo equivalente dei monasteri? Dove si ritireranno — o da dove ripartiranno — quei pochi che sapranno inventare nuove forme di vita, di comunità, di pensiero?
Il futuro — suggerisce Agamben — appartiene a chi saprà cogliere il senso nelle rovine. L'anonimato politico delle masse potrebbe non essere solo rassegnazione, ma la premessa per una reinvenzione sotterranea, fuori dai radar dello Stato, dell’economia globale e delle agenzie di sorveglianza digitale.
Giorgio Agamben, classe 1942, professore di estetica e autore di opere tradotte in tutto il mondo, è stato una delle pochissime voci filosofiche a prendere posizione pubblicamente contro il regime pandemico nel febbraio 2020 — motivo per cui i suoi scritti furono sistematicamente oscurati nel dibattito mediatico. Questo testo è tratto dal suo blog, dove è apparso a metà gennaio con il titolo Il medioevo prossimo venturo.
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Fonte: Quodlibet
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11.05.202518:05
Dove comanda il PD regna il caos: le città più insicure d’Italia sono le loro
Roma, Milano, Torino, Napoli: le quattro città più pericolose d’Italia secondo il 1° Rapporto Univ–Censis sono tutte amministrate dalla sinistra. Un primato da Guinness dell’incompetenza, che certifica ciò che molti cittadini vivono sulla propria pelle: dove governa il PD, la sicurezza è un miraggio.
I numeri non lasciano scampo:
Roma guida la classifica con 271.000 reati nel 2024 (+23,2% in 5 anni).
Milano registra 69,7 reati ogni 1.000 abitanti — peggior dato in assoluto.
Seguono Napoli (132.809) e Torino (128.919), entrambe con numeri allarmanti.Eppure nessuna di queste città è tra le più popolose d’Europa: la densità criminale è sproporzionata, specie se si confrontano con realtà internazionali ben più grandi ma meglio gestite.
A gonfiare il caos, c’è il boom incontrollato dell’immigrazione illegale:
A Bologna, il 60% dei rapinatori è straniero.
A Parma, il bollettino quotidiano parla di furti e aggressioni commessi da baby gang, spesso composte da minori stranieri non accompagnati.
A Milano e Roma, interi quartieri sono ormai fuori controllo: tra occupazioni, microcriminalità e traffico di droga, la situazione è una polveriera etnica e sociale.
E mentre i cittadini si barricano in casa, la sinistra gioca a fare l’accogliente, si oppone a ogni inasprimento delle pene, e chiama “razzismo” ogni tentativo di rimettere ordine.
Firenze? Da Nardella a Funaro, cambia il nome ma non la sostanza: retorica rassicurante, zero risultati. Torino? Il sindaco Lo Russo nega tutto e dà la colpa agli altri, mentre il centro storico si svuota e i cittadini scappano.
La domanda è semplice: è incapacità o progetto politico?
Perché a furia di predicare “inclusione” senza regole, la sinistra ha trasformato intere città in laboratori di anarchia urbana.
Ma non è solo caos: è una strategia deliberata per lucrare su emergenze che loro stessi hanno creato. Emergenze che poi usano per giustificare più fondi, più poteri, più sorveglianza. In poche parole: prima spalancano le porte al disordine, poi ci vendono il controllo come salvezza.
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Roma, Milano, Torino, Napoli: le quattro città più pericolose d’Italia secondo il 1° Rapporto Univ–Censis sono tutte amministrate dalla sinistra. Un primato da Guinness dell’incompetenza, che certifica ciò che molti cittadini vivono sulla propria pelle: dove governa il PD, la sicurezza è un miraggio.
I numeri non lasciano scampo:
Roma guida la classifica con 271.000 reati nel 2024 (+23,2% in 5 anni).
Milano registra 69,7 reati ogni 1.000 abitanti — peggior dato in assoluto.
Seguono Napoli (132.809) e Torino (128.919), entrambe con numeri allarmanti.Eppure nessuna di queste città è tra le più popolose d’Europa: la densità criminale è sproporzionata, specie se si confrontano con realtà internazionali ben più grandi ma meglio gestite.
A gonfiare il caos, c’è il boom incontrollato dell’immigrazione illegale:
A Bologna, il 60% dei rapinatori è straniero.
A Parma, il bollettino quotidiano parla di furti e aggressioni commessi da baby gang, spesso composte da minori stranieri non accompagnati.
A Milano e Roma, interi quartieri sono ormai fuori controllo: tra occupazioni, microcriminalità e traffico di droga, la situazione è una polveriera etnica e sociale.
E mentre i cittadini si barricano in casa, la sinistra gioca a fare l’accogliente, si oppone a ogni inasprimento delle pene, e chiama “razzismo” ogni tentativo di rimettere ordine.
Firenze? Da Nardella a Funaro, cambia il nome ma non la sostanza: retorica rassicurante, zero risultati. Torino? Il sindaco Lo Russo nega tutto e dà la colpa agli altri, mentre il centro storico si svuota e i cittadini scappano.
La domanda è semplice: è incapacità o progetto politico?
Perché a furia di predicare “inclusione” senza regole, la sinistra ha trasformato intere città in laboratori di anarchia urbana.
Ma non è solo caos: è una strategia deliberata per lucrare su emergenze che loro stessi hanno creato. Emergenze che poi usano per giustificare più fondi, più poteri, più sorveglianza. In poche parole: prima spalancano le porte al disordine, poi ci vendono il controllo come salvezza.
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14.05.202514:59
Big Pharma: Curriculum Criminale da 62 Miliardi e Promozione in FDA
Altro che “salute pubblica”: l’élite farmaceutica globale ha un passato da codice penale che farebbe impallidire certi cartelli. Secondo Public Citizen, tra il 1991 e il 2021 Big Pharma ha collezionato almeno 62 miliardi di dollari di sanzioni per pratiche illegali. E come premio? Un posto alla FDA.
GlaxoSmithKline, nel 2012, ha battuto tutti con una multa record di 3 miliardi per aver promosso farmaci in modo illecito e occultato dati. GSK è recidiva: 27 condanne per un totale di 9,7 miliardi.
Pfizer, la beniamina pandemica, ha fatto la sua parte:
2,3 miliardi (2009) per uso off-label e tangenti ai medici.
430 milioni (2004) per truffa sull’antiepilettico Neurontin.
60 milioni (2012) per corruzione in Europa e Asia.
59,7 milioni (2023) per una frode a Medicare.Insomma, un curriculum perfetto per dettare “linee guida”.
Novartis? Specializzata in tangenti accademiche: 214 milioni di euro per aver comprato prescrizioni in Grecia e gonfiato i prezzi. In America ha chiuso con 345 milioni.
Johnson & Johnson, non paga solo shampoo:
572 milioni (2019) per disinformazione sugli oppioidi.
5 miliardi (2021) in risarcimenti dentro un maxi-accordo da 26 miliardi.
Purdue Pharma, madre dell’OxyContin e della crisi oppioidi, ha dichiarato bancarotta con 8,3 miliardi di “mea culpa”: una confessione a saldo zero.
Insys Therapeutics? Un cartello in camice bianco. Il CEO John Kapoor condannato per aver creato pazienti tossicodipendenti a colpi di bustarelle e fentanyl.
E infine Martin Shkreli, il “Pharma Bro”: il Robin Hood al contrario. Ha pompato il Daraprim da 13 a 750 dollari a pillola e si è beccato un ban a vita dal settore.
Conclusione? Un esercito di multinazionali colpevoli di omicidi legali, truffe sistemiche e manipolazione sanitaria, premiato con accessi illimitati ai centri decisionali globali. Chiamiamolo pure crimine autorizzato, con bollino blu OMS.
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GlaxoSmithKline, nel 2012, ha battuto tutti con una multa record di 3 miliardi per aver promosso farmaci in modo illecito e occultato dati. GSK è recidiva: 27 condanne per un totale di 9,7 miliardi.
Pfizer, la beniamina pandemica, ha fatto la sua parte:
2,3 miliardi (2009) per uso off-label e tangenti ai medici.
430 milioni (2004) per truffa sull’antiepilettico Neurontin.
60 milioni (2012) per corruzione in Europa e Asia.
59,7 milioni (2023) per una frode a Medicare.Insomma, un curriculum perfetto per dettare “linee guida”.
Novartis? Specializzata in tangenti accademiche: 214 milioni di euro per aver comprato prescrizioni in Grecia e gonfiato i prezzi. In America ha chiuso con 345 milioni.
Johnson & Johnson, non paga solo shampoo:
572 milioni (2019) per disinformazione sugli oppioidi.
5 miliardi (2021) in risarcimenti dentro un maxi-accordo da 26 miliardi.
Purdue Pharma, madre dell’OxyContin e della crisi oppioidi, ha dichiarato bancarotta con 8,3 miliardi di “mea culpa”: una confessione a saldo zero.
Insys Therapeutics? Un cartello in camice bianco. Il CEO John Kapoor condannato per aver creato pazienti tossicodipendenti a colpi di bustarelle e fentanyl.
E infine Martin Shkreli, il “Pharma Bro”: il Robin Hood al contrario. Ha pompato il Daraprim da 13 a 750 dollari a pillola e si è beccato un ban a vita dal settore.
Conclusione? Un esercito di multinazionali colpevoli di omicidi legali, truffe sistemiche e manipolazione sanitaria, premiato con accessi illimitati ai centri decisionali globali. Chiamiamolo pure crimine autorizzato, con bollino blu OMS.
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10.05.202505:05
Mentre l’Occidente recita la parte del buono, il mondo cambia canale
A Kiev, commemorare la vittoria sul nazifascismo è diventato un crimine. Una vecchina viene fermata per aver deposto fiori al Parco della Gloria con un cappello dell’Armata Rossa. Un'altra donna è colpevole di aver osato suonare “Giorno della Vittoria”. Risultato: identificate, molestate, silenziate. Il revisionismo ora si fa con la polizia, e l’unico ricordo tollerato è quello conforme alla narrativa NATO.
Nel frattempo, Zelensky — circondato da leader europei a Leopoli, tutti lì per sventolare i soliti assegni — chiede a gran voce l’istituzione di un tribunale internazionale per i crimini di aggressione russa. Gli rispondono con 1,9 miliardi di euro, un bel bottino destinato perlopiù a munizioni, armi e difesa aerea. Altro che ricostruzione: si continua a investire nella guerra, con la benedizione di Bruxelles.
Intanto, il fronte vero si scalda: un drone ucraino colpisce l'amministrazione regionale di Belgorod, Mosca denuncia oltre 5.000 violazioni del cessate il fuoco. E da Washington arriva un “avvertimento” per un possibile attacco massiccio su Kiev. Ma tranquilli, tutto è sotto controllo: la guerra va avanti, purché con linguaggio inclusivo e fondi europei.
Nel frattempo, a Mosca va in scena la parata per l’80° della vittoria. Ci vanno 27 leader mondiali: da Xi Jinping a Lula, passando per Vietnam, Serbia, Venezuela, Armenia. L’Occidente? Invitato a casa sua, ma nessuno si presenta. La stampa americana commenta con amarezza: “Putin ha vinto. L’isolamento della Russia è fallito”. Fine dell’illusione.
E non finisce qui. Il premier slovacco Robert Fico ha detto in faccia a Putin che le sanzioni UE “non funzionano e danneggiano l’Europa”. Applausi e strette di mano.
Dall’altra parte dell’oceano, gli Stati Uniti di Trump riscrivono anche loro le priorità: il Pentagono si appresta a licenziare i militari transgender e ha dato 30 giorni agli “indecisi” per scegliere “da che parte stanno”. Ma non è tutto: l’amministrazione si prepara ad accogliere afrikaner bianchi dal Sudafrica come “rifugiati”, perché discriminati dalla nuova legge di esproprio dei terreni. Curioso: chi possiede il 72% delle terre è ora presentato come vittima.
Nel frattempo, nessun abbassamento dei dazi contro la Cina, e nessuna apertura agli accordi bilaterali USA-UE: lo ha detto il cancelliere Merz, che nel caos globale riesce solo a ribadire ciò che conta davvero per Berlino: “La Germania non accetterà mai un debito comune europeo”, e per fortuna, aggiungiamo noi, altrimenti la follia redistributiva dell’UE verrebbe scolpita nel bilancio per sempre.
Peccato che mentre Merz si vanta del suo rigore contabile, la Germania affonda: a febbraio +15,9% di fallimenti aziendali, 9 miliardi di euro di crediti evaporati. Le PMI chiudono, il settore logistico è in ginocchio, ma l’unica emergenza che preoccupa il governo tedesco è quella ai confini. I problemi veri? Meglio ignorarli.
E per non farsi mancare nulla, la Germania ha ritirato in silenzio il comunicato in cui classificava l’AfD come estrema destra. Forse per non disturbare l’elettorato in crescita, forse perché alla fine chi grida più forte ha sempre ragione.
Insomma: la memoria è vietata, la guerra finanziata, il gas trattato sottobanco, i fallimenti ignorati, e il debito comune – per fortuna – ancora respinto. L’Occidente è diventato uno sketch distopico in cui tutti recitano, ma nessuno ascolta.
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A Kiev, commemorare la vittoria sul nazifascismo è diventato un crimine. Una vecchina viene fermata per aver deposto fiori al Parco della Gloria con un cappello dell’Armata Rossa. Un'altra donna è colpevole di aver osato suonare “Giorno della Vittoria”. Risultato: identificate, molestate, silenziate. Il revisionismo ora si fa con la polizia, e l’unico ricordo tollerato è quello conforme alla narrativa NATO.
Nel frattempo, Zelensky — circondato da leader europei a Leopoli, tutti lì per sventolare i soliti assegni — chiede a gran voce l’istituzione di un tribunale internazionale per i crimini di aggressione russa. Gli rispondono con 1,9 miliardi di euro, un bel bottino destinato perlopiù a munizioni, armi e difesa aerea. Altro che ricostruzione: si continua a investire nella guerra, con la benedizione di Bruxelles.
Intanto, il fronte vero si scalda: un drone ucraino colpisce l'amministrazione regionale di Belgorod, Mosca denuncia oltre 5.000 violazioni del cessate il fuoco. E da Washington arriva un “avvertimento” per un possibile attacco massiccio su Kiev. Ma tranquilli, tutto è sotto controllo: la guerra va avanti, purché con linguaggio inclusivo e fondi europei.
Nel frattempo, a Mosca va in scena la parata per l’80° della vittoria. Ci vanno 27 leader mondiali: da Xi Jinping a Lula, passando per Vietnam, Serbia, Venezuela, Armenia. L’Occidente? Invitato a casa sua, ma nessuno si presenta. La stampa americana commenta con amarezza: “Putin ha vinto. L’isolamento della Russia è fallito”. Fine dell’illusione.
E non finisce qui. Il premier slovacco Robert Fico ha detto in faccia a Putin che le sanzioni UE “non funzionano e danneggiano l’Europa”. Applausi e strette di mano.
Dall’altra parte dell’oceano, gli Stati Uniti di Trump riscrivono anche loro le priorità: il Pentagono si appresta a licenziare i militari transgender e ha dato 30 giorni agli “indecisi” per scegliere “da che parte stanno”. Ma non è tutto: l’amministrazione si prepara ad accogliere afrikaner bianchi dal Sudafrica come “rifugiati”, perché discriminati dalla nuova legge di esproprio dei terreni. Curioso: chi possiede il 72% delle terre è ora presentato come vittima.
Nel frattempo, nessun abbassamento dei dazi contro la Cina, e nessuna apertura agli accordi bilaterali USA-UE: lo ha detto il cancelliere Merz, che nel caos globale riesce solo a ribadire ciò che conta davvero per Berlino: “La Germania non accetterà mai un debito comune europeo”, e per fortuna, aggiungiamo noi, altrimenti la follia redistributiva dell’UE verrebbe scolpita nel bilancio per sempre.
Peccato che mentre Merz si vanta del suo rigore contabile, la Germania affonda: a febbraio +15,9% di fallimenti aziendali, 9 miliardi di euro di crediti evaporati. Le PMI chiudono, il settore logistico è in ginocchio, ma l’unica emergenza che preoccupa il governo tedesco è quella ai confini. I problemi veri? Meglio ignorarli.
E per non farsi mancare nulla, la Germania ha ritirato in silenzio il comunicato in cui classificava l’AfD come estrema destra. Forse per non disturbare l’elettorato in crescita, forse perché alla fine chi grida più forte ha sempre ragione.
Insomma: la memoria è vietata, la guerra finanziata, il gas trattato sottobanco, i fallimenti ignorati, e il debito comune – per fortuna – ancora respinto. L’Occidente è diventato uno sketch distopico in cui tutti recitano, ma nessuno ascolta.
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15.05.202515:06
Singapore, Stato Siringa: vaccino o prigione (e senza diritto di lamentarsi)
Nel piccolo laboratorio autoritario chiamato Singapore, il governo ha deciso che chi rifiuta l’iniezione obbligatoria diventa automaticamente un criminale. Grazie alle modifiche apportate nel 2023 e 2024 all’Infectious Diseases Act, chi non si conforma alla profilassi ordinata potrà finire in carcere per sei mesi, con tanto di multa da 10.000 dollari – oppure entrambe le sanzioni, così impari a dubitare del sacro siero.
Il meccanismo è semplice: basta un “sospetto focolaio” e il Direttore Generale della Sanità può ordinare la vaccinazione di “qualsiasi persona o categoria di persone”. Nessuna epidemia in corso? Poco importa, basta che sembri imminente.
E se non ti fai marchiare dalla siringa? Multa, prigione, o entrambe. Alla seconda infrazione, la pena raddoppia. Un incentivo gentile, con il bastone e senza la carota.
Ma c’è di meglio: la Sezione 67 garantisce totale immunità legale alle autorità. Se ti danneggiano, muori o sviluppi effetti collaterali devastanti: non puoi fare causa. Lo Stato ti ordina cosa fare col tuo corpo, e in cambio ti toglie ogni diritto di difenderti. Un affare da manuale distopico.
A denunciare l’assurdità del provvedimento è stato Derrick Sim del People’s Power Party, che ha definito pubblicamente questa legge un abuso gravissimo. Ma nell’isola ipercontrollata, chi osa alzare la voce viene isolato e screditato.
Durante il regime sanitario del COVID-19, Singapore ha già imposto la vaccinazione a lavoratori, religiosi e fedeli. Anche andare a Messa richiedeva il lasciapassare immunitario. I danni da vaccino? Ignorati. Il dibattito pubblico? Censurato.
Ora la dittatura sanitaria si è fatta codice penale. La morale è chiara: ti vaccini, taci e ringrazi. Altrimenti ti chiudono dentro. E buttano via la chiave… sanitaria.
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Nel piccolo laboratorio autoritario chiamato Singapore, il governo ha deciso che chi rifiuta l’iniezione obbligatoria diventa automaticamente un criminale. Grazie alle modifiche apportate nel 2023 e 2024 all’Infectious Diseases Act, chi non si conforma alla profilassi ordinata potrà finire in carcere per sei mesi, con tanto di multa da 10.000 dollari – oppure entrambe le sanzioni, così impari a dubitare del sacro siero.
Il meccanismo è semplice: basta un “sospetto focolaio” e il Direttore Generale della Sanità può ordinare la vaccinazione di “qualsiasi persona o categoria di persone”. Nessuna epidemia in corso? Poco importa, basta che sembri imminente.
E se non ti fai marchiare dalla siringa? Multa, prigione, o entrambe. Alla seconda infrazione, la pena raddoppia. Un incentivo gentile, con il bastone e senza la carota.
Ma c’è di meglio: la Sezione 67 garantisce totale immunità legale alle autorità. Se ti danneggiano, muori o sviluppi effetti collaterali devastanti: non puoi fare causa. Lo Stato ti ordina cosa fare col tuo corpo, e in cambio ti toglie ogni diritto di difenderti. Un affare da manuale distopico.
A denunciare l’assurdità del provvedimento è stato Derrick Sim del People’s Power Party, che ha definito pubblicamente questa legge un abuso gravissimo. Ma nell’isola ipercontrollata, chi osa alzare la voce viene isolato e screditato.
Durante il regime sanitario del COVID-19, Singapore ha già imposto la vaccinazione a lavoratori, religiosi e fedeli. Anche andare a Messa richiedeva il lasciapassare immunitario. I danni da vaccino? Ignorati. Il dibattito pubblico? Censurato.
Ora la dittatura sanitaria si è fatta codice penale. La morale è chiara: ti vaccini, taci e ringrazi. Altrimenti ti chiudono dentro. E buttano via la chiave… sanitaria.
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12.05.202505:04
La Farsa PREP‑tende: Europa sotto commissariamento militare fino al 2029?
Le e-mail trapelate dall’EMA nel 2020 raccontano una storia che non è mai stata chiusa: quella di un’Europa trasformata in laboratorio militare e zona franca normativa, grazie a una versione fittizia del PREP Act americano. E mentre gli attori in scena fingevano di “autorizzare” farmaci sperimentali, qualcuno – molto sopra le loro teste – spianava la strada per una sospensione del diritto a tempo indefinito.
Ursula von der Leyen ha fatto firmare ai 27 Stati membri contratti predatori, rinunciando a ogni tutela nazionale e promettendo la finta garanzia del CMA (autorizzazione condizionata all’immissione in commercio). In realtà, ha solo impedito agli Stati di usare l’articolo 5(2), l’unico strumento che avrebbe permesso loro di dire “no”. È stato un inganno istituzionale: le regole non erano fatte per essere rispettate, ma per essere svuotate.
Nel frattempo, Pfizer stravolgeva il processo produttivo, EMA veniva bullizzata via SMS, e i vaccini venivano distribuiti dalla Bundeswehr – non da enti sanitari – ma da un centro logistico militare tedesco. Altro che salute pubblica: questa era e resta un’operazione militare camuffata.
E qui arriva il punto che ritorna, come un mantra inquietante: 2029. L’autrice ricorda che lo stato d’emergenza negli Stati Uniti è stato prorogato fino almeno al 31 dicembre 2029. Finché è in vigore, nessuna legge farmaceutica normale può essere applicata. Niente obblighi, niente trasparenza, niente responsabilità. La macchina può girare a vuoto finché non si decide di spegnerla. Ma chi ha il dito sull’interruttore?
Perché proprio il 2029? Perché questa data ricorre sempre nei documenti, nelle dichiarazioni pubbliche, nei piani a medio termine? È davvero una “fine stimata” o solo una tappa intermedia di un programma già scritto? Ci stanno dicendo che ci aspettano altri quattro anni di stato d’eccezione? Cosa verrà giustificato in nome dell’“emergenza” da qui ad allora?
La verità è che il PREP Act sintetico europeo non è mai finito. È solo diventato invisibile. Come il virus, come la giustizia. L’Europa è entrata in una zona grigia dove il diritto è sospeso e le decisioni vengono prese altrove, forse a Bruxelles, forse a Langley, forse nelle chat cifrate tra un commissario europeo e un CEO con l’immunità di guerra.
E mentre si parla di “approvazioni” e “sicurezza”, ci si dimentica il punto centrale: non c’è crimine se non c’è legge. E non c’è legge se lo stato d’emergenza è permanente.
Quindi la domanda è inevitabile: che cos’è il 2029? La fine? Un inizio? O solo un checkpoint sulla strada verso qualcosa di molto più inquietante?
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Le e-mail trapelate dall’EMA nel 2020 raccontano una storia che non è mai stata chiusa: quella di un’Europa trasformata in laboratorio militare e zona franca normativa, grazie a una versione fittizia del PREP Act americano. E mentre gli attori in scena fingevano di “autorizzare” farmaci sperimentali, qualcuno – molto sopra le loro teste – spianava la strada per una sospensione del diritto a tempo indefinito.
Ursula von der Leyen ha fatto firmare ai 27 Stati membri contratti predatori, rinunciando a ogni tutela nazionale e promettendo la finta garanzia del CMA (autorizzazione condizionata all’immissione in commercio). In realtà, ha solo impedito agli Stati di usare l’articolo 5(2), l’unico strumento che avrebbe permesso loro di dire “no”. È stato un inganno istituzionale: le regole non erano fatte per essere rispettate, ma per essere svuotate.
Nel frattempo, Pfizer stravolgeva il processo produttivo, EMA veniva bullizzata via SMS, e i vaccini venivano distribuiti dalla Bundeswehr – non da enti sanitari – ma da un centro logistico militare tedesco. Altro che salute pubblica: questa era e resta un’operazione militare camuffata.
E qui arriva il punto che ritorna, come un mantra inquietante: 2029. L’autrice ricorda che lo stato d’emergenza negli Stati Uniti è stato prorogato fino almeno al 31 dicembre 2029. Finché è in vigore, nessuna legge farmaceutica normale può essere applicata. Niente obblighi, niente trasparenza, niente responsabilità. La macchina può girare a vuoto finché non si decide di spegnerla. Ma chi ha il dito sull’interruttore?
Perché proprio il 2029? Perché questa data ricorre sempre nei documenti, nelle dichiarazioni pubbliche, nei piani a medio termine? È davvero una “fine stimata” o solo una tappa intermedia di un programma già scritto? Ci stanno dicendo che ci aspettano altri quattro anni di stato d’eccezione? Cosa verrà giustificato in nome dell’“emergenza” da qui ad allora?
La verità è che il PREP Act sintetico europeo non è mai finito. È solo diventato invisibile. Come il virus, come la giustizia. L’Europa è entrata in una zona grigia dove il diritto è sospeso e le decisioni vengono prese altrove, forse a Bruxelles, forse a Langley, forse nelle chat cifrate tra un commissario europeo e un CEO con l’immunità di guerra.
E mentre si parla di “approvazioni” e “sicurezza”, ci si dimentica il punto centrale: non c’è crimine se non c’è legge. E non c’è legge se lo stato d’emergenza è permanente.
Quindi la domanda è inevitabile: che cos’è il 2029? La fine? Un inizio? O solo un checkpoint sulla strada verso qualcosa di molto più inquietante?
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09.05.202515:05
ReArm Europe: la NATO sbraita e l’UE si mette l’elmetto
Mark Rutte, segretario della NATO, ha appena lanciato la proposta che dice tutto: il 5% del PIL degli Stati membri dovrà essere sacrificato sull’altare della macchina bellica. Esattamente quella soglia che Draghi aveva già messo nero su bianco nel suo rapporto del 2024. Di questi, il 3,5% servirà per le solite reliquie di distruzione — missili, tank, eserciti — mentre un “modesto” 1,5% sarà destinato alle guerre ibride: cyberspazio, propaganda, controllo mentale e “resilienza sociale”. Non solo bombe, insomma, ma anche lavaggio del cervello. Gli USA? Ovviamente applaudono. L’Europa che si autodistrugge e si trasforma in una fortezza militarizzata.
E mentre si alzano i tamburi, Guido Crosetto, travestito da profeta apocalittico alla AeroSpace Power Conference, ci annuncia che “Viviamo in un momento difficile, sempre più difficile, drammatico, il più difficile degli ultimi 70 anni” dove “la forza conterà più delle conquiste sociali e dei valori” e “questo cambia tutto”. Tradotto: scordatevi libertà, diritti, sovranità. L’unico metro sarà il potere di annientare. Chi ha più armi, più soldi e più controllo, vince. E poiché gli eserciti tradizionali non bastano più, bisogna “rivoluzionarli” per inseguire ossessivamente “l’evoluzione tecnologica”. Spoiler: non per difendere i cittadini, ma per tenerli sotto pressione.
Il tutto confezionato sotto il nome ormai ufficiale di ReArm Europe. E attenzione: non è solo Bruxelles a mettere l’elmetto. Il mondo intero si sta blindando. La terza guerra mondiale si combatte a rate, e ciascuno sta lucidando il proprio arsenale. Solo che in Europa, lo fanno raccontandoci che è per la “pace”.
E i soldi? Ma da chi vuoi che li prendano. Da noi, ovvio. Con nuove tasse, prelievi forzosi, patrimoniali, saccheggi legalizzati dei risparmi privati. Il messaggio è chiaro: pagate il riarmo, inchinatevi al tamburo.
La verità, ormai lampante, è questa: ci stanno trascinando in una guerra sistemica mascherata da stabilità, un conflitto permanente costruito negli anni e venduto come necessità. La nuova normalità non è la pace, ma l’addestramento alla crisi, l’obbedienza alla guerra, la sottomissione programmata.
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Mark Rutte, segretario della NATO, ha appena lanciato la proposta che dice tutto: il 5% del PIL degli Stati membri dovrà essere sacrificato sull’altare della macchina bellica. Esattamente quella soglia che Draghi aveva già messo nero su bianco nel suo rapporto del 2024. Di questi, il 3,5% servirà per le solite reliquie di distruzione — missili, tank, eserciti — mentre un “modesto” 1,5% sarà destinato alle guerre ibride: cyberspazio, propaganda, controllo mentale e “resilienza sociale”. Non solo bombe, insomma, ma anche lavaggio del cervello. Gli USA? Ovviamente applaudono. L’Europa che si autodistrugge e si trasforma in una fortezza militarizzata.
E mentre si alzano i tamburi, Guido Crosetto, travestito da profeta apocalittico alla AeroSpace Power Conference, ci annuncia che “Viviamo in un momento difficile, sempre più difficile, drammatico, il più difficile degli ultimi 70 anni” dove “la forza conterà più delle conquiste sociali e dei valori” e “questo cambia tutto”. Tradotto: scordatevi libertà, diritti, sovranità. L’unico metro sarà il potere di annientare. Chi ha più armi, più soldi e più controllo, vince. E poiché gli eserciti tradizionali non bastano più, bisogna “rivoluzionarli” per inseguire ossessivamente “l’evoluzione tecnologica”. Spoiler: non per difendere i cittadini, ma per tenerli sotto pressione.
Il tutto confezionato sotto il nome ormai ufficiale di ReArm Europe. E attenzione: non è solo Bruxelles a mettere l’elmetto. Il mondo intero si sta blindando. La terza guerra mondiale si combatte a rate, e ciascuno sta lucidando il proprio arsenale. Solo che in Europa, lo fanno raccontandoci che è per la “pace”.
E i soldi? Ma da chi vuoi che li prendano. Da noi, ovvio. Con nuove tasse, prelievi forzosi, patrimoniali, saccheggi legalizzati dei risparmi privati. Il messaggio è chiaro: pagate il riarmo, inchinatevi al tamburo.
La verità, ormai lampante, è questa: ci stanno trascinando in una guerra sistemica mascherata da stabilità, un conflitto permanente costruito negli anni e venduto come necessità. La nuova normalità non è la pace, ma l’addestramento alla crisi, l’obbedienza alla guerra, la sottomissione programmata.
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