La storia presentata nei due libri dei Re copre un periodo temporale di oltre 400 anni, condensato in poco meno di 50 capitoli. È una storia illeggibile. Un’infedeltà dopo l'altra; a un re infedele succede un altro re infedele e i profeti che Dio invia misericordiosamente per richiamare il re e il popolo restano inascoltati e anzi vengono osteggiati e perseguitati. Ma pensate forse che questa sia solo la storia di Israele? E noi, dopo duemila anni di cristianesimo e Chiesa cattolica, come stiamo messi? In quale stato si trova la cristianità oggi? Non viviamo, forse, immersi nell' infedeltà più mostruosa, nel peccato più lurido, nell’idolatria più intollerabile? E i santi che Dio ha mandato alla Chiesa per parlare in nome suo, veri profeti, come sono stati trattati? Cosa si è fatto di un padre Pio o di un don Dolindo Ruotolo? Maltrattati e perseguitati, in vita e persino dopo morte!... ed etichettati come mistificatori e ingannatori del popolo, così come Acab etichettò Elia. Non facciamo l'errore di pensare: “Oh, quanto cattivo era il popolo d'Israele con i suoi re!”. Dicendo questo, in verità, ci diamo la “zappa sui piedi” e ci auto-condanniamo – giustamente – perché noi siamo anche peggio del popolo antico, avendo ricevuto la rivelazione piena nel Figlio di Dio incarnato, che ci ha parlato e ha donato il suo Sangue per salvarci dal peccato, dal diavolo e dall’inferno eterno. Di conseguenza, se vogliamo leggere bene queste pagine sacre, ad ogni capitolo ci dovremmo battere il petto perché – in realtà – stiamo narrando la nostra storia di infedeltà personale, familiare, ecclesiale e mondiale dalla quale ci dobbiamo urgentemente sollevare.
Dal momento che la storia viene considerata dal punto di vista religioso, tutti i re vengono giudicati secondo il principio di fedeltà all'alleanza. Questa tematica dominante a livello religioso fa si che l'autore non si intrattenga su questioni riguardanti i temi politici, sociali, economici, ecc., se non nella misura che servivano a mettere in rilievo la problematica teologica fondamentale. Da questa considerazione, emerge un messaggio importante anche per noi: davanti a Dio non conta quanto siamo ricchi, il ruolo sociale, il tipo di attività che facciamo. Il suo occhio ci guarda e ci giudica su un piano puramente teologico, religioso. L'UOMO È BUONO SE È FEDELE A DIO, È CATTIVO SE È INFEDELE A DIO. Tutto il resto sono solo circostanze più o meno secondarie o mezzi che devono condurre al fine ultimo della santità e della salvezza propria e altrui. Noi invece guardiamo e giudichiamo esattamente al contrario. Dovremmo avere, della nostra vita personale e di quella universale, una “visione teologica” ed invece adoperiamo un metro di giudizio totalmente ribaltato. Di conseguenza, questa prospettiva ci disgrega interiormente, ci pone nella cecità e nella insipienza e diventiamo incapaci di leggere la nostra storia e la storia del mondo.