POINT ME AT THE SKY
Point Me At The Sky è l’ennesimo singolo pubblicato dalla band nel dicembre del 1968.
Era il lato A di un 45 giri che conteneva nel lato B Careful With That Axe Eugene, destinata ad assumere un’importanza capitale negli anni a venire.
Il singolo Point Me At The Sky rappresenta le prime prove tecniche di collaborazione tra Waters e Gilmour, impegnati nella loro prima scrittura a quattro mani:operazione ad uso e consumo della EMI, che scalpitava imperterrita per ottenere un singolo capace di scalare le alte vette dei primi capolavori barrettiani.
Ai due occorse tempo per amalgamarsi, con mesi di studio reciproco volti ad armonizzare le caratteristiche di ognuno. Inizialmente a David venne chiesto di “fare il Syd” ma un po’ alla volta, sentendosi sempre più parte del gruppo, riuscì ad essere libero di imporre il suo stile chitarristico. Il risultato finale è ancora parzialmente acerbo e certo non confortato dalla pessima risposta in termini di vendite: l’ennesimo obiettivo fallito, al punto che il gruppo, abbracciando un’idea già serpeggiante in epoca barrettiana, abbandonò di fatto (e senza rimpianti) la produzione di canzoni appositamente confezionate per il mercato dei singoli.
Point Me At The Sky è l’ultimo brano di quel periodo a immergersi in tematiche intrise di fantascienza e, come nel caso di Set The Control For The Heart Of The Sun, ripropone voli di fantasia legati ad un viaggio immaginifico. La vicenda narra di un tale Henry McLean che invita l’amata Gene (da non confondersi con Eugene, uomo, protagonista del lato B) sulla fantastica macchina volante che ha appena finito di costruire. L’invocazione “puntami verso il cielo e fammi volare” risuona come un desiderio di alienazione dal quotidiano e di affidamento alle imperscrutabili logiche del destino, per quanto non si escluda che la tematica del brano possa sottintendere altri tipi di fuga.
Roger Waters compie i suoi primi passi verso una ricerca d’identità come autore; i concetti rimandano a squilibrio mentale, esistenzialismo, problemi di comunicazione e assenza/morte, futuri cavalli di battaglia delle sue opere più riuscite. Dal lato musicale, invece, il brano è ancora permeato di umori barrettiani.
Si sviluppa in un crescendo introdotto dalla voce suadente di Gilmour, unita a pennellate di chitarra slide a cui si mescolano con efficacia il sognante organo di Wright e una vibrante sezione ritmica. La strofa successiva è cantata da Waters con nuovi inserimenti di Gilmour e una sezione corale alla Beach Boys. Lo stesso impasto vocale viene ripetuto una seconda volta, fino a quando il climax sonoro muta in una sottile rivisitazione di una sezione di Apples And Oranges, seguita dalla strofa finale cantata da Waters.
Point Me At The Sky sembra ispirarsi nelle sonorità a due classici dei Beatles: Hello Goodbye (sospetto quel “Goodbye” finale ripetuto all’infinito) e Lucy In The Sky With Diamonds: ”Point me at the sky and let it fly” ha curiosamente la stessa metrica del titolo in questione.
Il video promozionale del brano,di poco superiore ai tre minuti, alterna immagini casalinghe del gruppo (come Wright in poltrona intento ad accarezzare un gatto nero)a quelle di un biplano Tiger Moth giallo in volo. Waters compare solo per pochi secondi all’inizio, mentre David, Nick e Rick sono visibili con capelli al vento.
In realtà non è accertato se abbiano realmente volato in quell’occasione ma, considerata la loro passione per i motori (soprattutto nel caso di Mason), non è improbabile.
Del set esistono fotografie promozionali con i musicisti vestiti da aviatori; il luogo delle riprese, poi riutilizzato per gli scatti del retrocopertina di Ummagumma, è il campo di volo londinese di Biggin Hill.