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Carmen Tortora

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चैनल निर्माण की तिथिСерп 25, 2023
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FREEDOM CITIES: LA DISTOPIA LIBERTARIA IN VERSIONE PREMIUM
Quando la democrazia viene rottamata e la sovranità va in outsourcing a Silicon Valley

Nel marzo 2023 Donald Trump rispolvera le “Freedom Cities” con l’entusiasmo da televendita futurista: un mondo nuovo, supertecnologico, dove finalmente tutto funziona perché gestito da privati. Il sogno americano 2.0, aggiornato alla versione libertaria: niente più Stato, solo servizi. Paghi, accetti le condizioni, entri. Non paghi, ti sloggano. La verità? Non è un sogno. È un incubo in abbonamento mensile.

Dietro il packaging brillante c’è la solita vecchia truffa del potere privato mascherato da progresso. A spingere il carro ci sono i profeti del tecno-feudalesimo: Peter Thiel, Balaji Srinivasan, Curtis Yarvin. Gente che considera la democrazia un errore storico da archiviare, e la sovranità pubblica un bug da correggere. Nella loro visione, lo Stato è un’app obsoleta da disinstallare. Al suo posto? Una città-smart dove non sei un cittadino, ma un utente con password. Nessun diritto garantito: solo licenze d’uso revocabili.

Tutto è privatizzato: scuole, ospedali, sicurezza, giustizia, perfino la moneta. Il welfare? Rimosso per "incompatibilità con il nuovo sistema". Se ti ammali, paghi. Se non paghi, muori. La giustizia è un arbitrato privato. Le regole non le scrive il parlamento, ma il consiglio di amministrazione. Se protesti, il sistema ti chiude la sessione. Service denied.

E non finisce qui. I guru della Silicon Valley non si accontentano delle ZES tropicali: puntano alla Groenlandia. Sì, proprio quell’enorme blocco di ghiaccio strategico e minerario. Secondo un’inchiesta Reuters del 10 aprile, mentre l’amministrazione Trump giocava la carta dell’acquisizione—anche militare—dell’isola dalla Danimarca, alcuni investitori tecnologici promuovevano la Groenlandia come futura “città della libertà”. Un’utopia libertaria con regolazione aziendale al minimo sindacale: praticamente il paradiso fiscale su ghiaccio.

A guidare i contatti diplomatici c’era Ken Howery, co-fondatore insieme a Thiel di un fondo di venture capital e amico di Elon Musk. È lui che doveva trattare con i danesi per trasformare la Groenlandia nel primo prototipo planetario di governance aziendale totale. Nessuno lo dice esplicitamente, ma il piano è semplice: prendere un territorio strategico, scollegarlo dalla sovranità pubblica e trasformarlo in un’area di sperimentazione privata dove tutto è permesso, purché tu abbia il portafoglio giusto.

Altro che progresso. Le Freedom Cities sono la Disneyland del neoliberismo terminale, l’incarnazione della “libertà” come privilegio per pochi e condanna per tutti gli altri. Non sono il futuro. Sono il presente che si rivela per quello che è: un’operazione chirurgica per estirpare ogni residuo di sovranità popolare e rimpiazzarlo con piattaforme proprietarie.

Ti danno la “libertà” di scegliere il tuo piano tariffario. Basic, Silver o Platinum. Ma se rifiuti il contratto, non è che voti per cambiare le cose. Ti disconnettono e via.

Altro che città del futuro: sono gabbie d’oro per cavie del capitalismo. E il peggio? Le stiamo accogliendo a braccia aperte, confondendole per libertà.

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Auguro a tutti voi, e alle persone che amate, una Pasqua di verità, di cuore e di luce. Che possiate risorgere ogni giorno, nel silenzio del cuore e nella forza dell’anima.
Vi condivido la chiacchierata che avevo fatto con l’amico Francesco Tavoletta, una conversazione senza filtri su ciò che davvero si muove dietro le quinte della geopolitica e dell’economia globale. Spero la troviate interessante… e magari anche un po’ scomoda.

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Assange e l’arte raffinata dell’insabbiamento istituzionale – firmato Keir Starmer & Co.

Nel civilissimo Regno Unito, dove la democrazia è sempre “esportabile” e la libertà di stampa si sventola solo quando fa comodo, il caso Assange si è trasformato in un perfetto manuale di repressione soft-core. Nessuna tortura fisica, certo: bastano burocrazia tossica, cavilli legali e una “paralisi procedurale” studiata a tavolino. Il tocco di classe? A gestire il teatrino, all’epoca, c’era Keir Starmer, oggi Premier inglese, allora a capo della Crown Prosecution Service. Che strano, eh?

Secondo i documenti, fu proprio la CPS a “consigliare” alla Svezia di non archiviare, ma nemmeno procedere. Il piano era chiaro: tenere Assange inchiodato in una specie di limbo giudiziario infinito. Il risultato? Detenzione arbitraria, secondo le Nazioni Unite. Ma tranquilli, tutto con la benedizione delle istituzioni britanniche.

E mentre Assange cercava rifugio nell’ambasciata ecuadoriana, l’avvocato chiave della CPS, Paul Close, decideva di andare in pensione... e puff! Il suo account email – contenente tutte le comunicazioni tra Londra e Stoccolma – viene cancellato. “Routine”, dicono. Una routine che cancella documenti chiave in un’indagine internazionale ancora aperta. Comodo, vero?

Ci sono voluti dieci anni, due sentenze e la tenacia di Stefania Maurizi per ottenere qualche brandello di verità. E la risposta ufficiale della CPS? “Non sappiamo quando o perché siano state eliminate le email”. Tradotto: non ci ricordiamo chi ha premuto il tasto “delete” durante uno dei più controversi casi giudiziari della nostra epoca.

La verità è che l’operazione Assange è stata una guerra sporca condotta con guanti bianchi. Hanno disintegrato un giornalista nel nome della “sicurezza nazionale”, poi hanno fatto sparire le prove con la grazia impiegatizia di un click.

E oggi? Assange è libero, ma il crimine è stato perfezionato: la giustizia occidentale ha imparato a uccidere la verità senza lasciare impronte. Tutto “secondo protocollo”, naturalmente.

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Il Patto Pandemico: il Cavallo di Troia farmaceutico si traveste da accordo volontario

È ufficiale: i negoziatori del Pharmaceutical Hospital Emergency Industrial Complex (PHEIC) hanno messo nero su bianco il testo del nuovo “Accordo Pandemico” dell’OMS. Non è ancora legge, ma sarà discusso alla prossima Assemblea Mondiale della Sanità dal 17 al 26 maggio 2025. E, naturalmente, ogni nazione sarà “libera” di firmarlo. Libera come un pollo nel pollaio di Amadori.

Tra le perle del documento:

I “prodotti sanitari pandemici” includono TUTTO ciò che Big Pharma ha da offrire: dai test PCR ai ventilatori, fino a terapie geniche e “altre tecnologie sanitarie” non meglio specificate. La porta è spalancata alla solita pioggia di brevetti e profitti.

Si istituisce un Coordinating Financial Mechanism, una specie di mega-cassaforte globale per sostenere le spese del nuovo ordine sanitario mondiale. Ovviamente “inclusiva, trasparente e sostenibile” – traduzione: governi col cappello in mano, mentre le multinazionali raccolgono dividendi.

I finanziamenti saranno coordinati dalla Conference of the Parties (COP – non quella sul clima, ma una sorella gemella). Sarà questo organo a decidere cosa conta come “emergenza” e dove piovono i soldi. Chi controlla la COP? Indovinate.

Il colpo di scena? L’articolo 24 ribadisce che l’OMS non potrà imporre lockdown, obblighi vaccinali o chiusure. Ma tranquilli, ci penseranno i nostri tiranni locali, con il plauso del nuovo trattato e una montagna di soldi freschi in arrivo.

Insomma, non è un patto per la salute. È un contratto perenne di subordinazione sanitaria, finanziaria e industriale. Ma siccome non è “obbligatorio”, potete continuare a dormire tranquilli. Almeno finché non arriva la prossima “emergenza”.

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Bruxelles comanda, i sovrani obbediscono: la nuova Europa in stile NATO

Addio sogni di libertà: se il presidente serbo Aleksandar Vučić metterà piede a Mosca il 9 maggio per la Parata della Vittoria, l’Unione Europea gli chiuderà la porta in faccia. Il messaggio, lanciato da un funzionario del ministero degli Esteri estone al Telegraph, è limpido come un ultimatum mafioso: “Alcune decisioni comportano delle responsabilità”. Tradotto: se osi salutare i russi, dimentica Bruxelles.

Non è un caso isolato. Pochi giorni prima, il premier slovacco Robert Fico aveva annunciato con disinvoltura la sua partecipazione alla stessa parata. Apriti cielo. L’Europa, per bocca della solita Kaja Kallas, è esplosa in anatemi e minacce. Ecco la “libera” Unione: puoi viaggiare, certo, ma solo se è verso Washington.

Altro che Unione dei popoli, diritti e sovranità: quella che si sta costruendo è una fortezza elitista, selettiva, ipocrita. Dove il diritto di voto non è più un diritto, ma una concessione. Se segui la linea NATO-compatibile, bene. Se no, ti silenziano e ti cancellano.

L’Estonia, del resto, è già il prototipo perfetto di questa distopia. Da poco ha approvato una legge per escludere dal voto centinaia di migliaia di residenti russi e bielorussi. Il reato? Essere nati dal lato sbagliato della storia. E mentre vietano il voto a chi non si genuflette, cercano di espellere Viktor Orban con l’articolo 7, reo di avere ancora una propria opinione.

L’ipocrisia non finisce lì. In Estonia si sta eliminando la lingua russa, si distruggono i ponti culturali, si abbatte ogni forma di pluralismo in nome della sicurezza. Un’epurazione sistematica, etichettata come “difesa della democrazia”. Ovviamente quella brevettata dalla NATO.

Ma l’Estonia non è sola. Romania e Moldavia seguono il copione come da manuale: governi fotocopia, ONG telecomandate da Bruxelles e Washington, repressione travestita da progresso. Chi prova a dissentire viene bollato come “filorusso”, “sovversivo”, “nemico della libertà”. Orwell si starà chiedendo perché non ha messo il copyright.

E i Balcani? Sempre sul filo. La Serbia prova a galleggiare tra il richiamo panslavista e le promesse farlocche dell’Europa, ma Bruxelles non perdona chi esce dai binari. O sei allineato, oppure sei escluso. Non c’è spazio per i neutrali. In questa UE devi essere pro-qualcosa: pro-guerra, pro-sanzioni, pro-servilismo.

Nel frattempo, mentre l’Est viene risucchiato nel delirio e l’Ovest si blinda dietro cortine di censura, le élite europee tremano. Hanno paura. Dei popoli, della libertà, della realtà. E allora reagiscono come ogni regime che si rispetti: repressione legale, propaganda istituzionale, criminalizzazione del dissenso.

E poi c’è la Germania, ormai la caricatura di se stessa. Terra del “mai più totalitarismi”, oggi mette a processo chi osa fare satira. David Bendels lo ha scoperto a sue spese: sette mesi di pena sospesa per aver preso in giro la ministra Nancy Faeser. La stessa Faeser che intanto chiede di epurare la polizia da chi simpatizza per l’AfD. L’AfD che, per inciso, ha superato la CDU nei sondaggi. Ma che importa? Tanto non gli sarà mai concesso governare.

La libertà, in Germania come altrove, è diventata un privilegio concesso su base selettiva. Un teatrino in cui la repressione veste bene, si esprime in linguaggio inclusivo e viene venduta come tutela della democrazia.

Questa è l’Europa del 2025: puoi votare, parlare, ridere… ma solo se lo fai come dicono loro. Altrimenti, ti puniscono. Poi ti guardano negli occhi e ti dicono che è per il tuo bene. Per proteggerti dalla disinformazione.

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Quando serve una sentenza per dire che l’acqua è bagnata

Nel Regno Unito ormai talmente “woke” da perdere il contatto con la realtà, serve la più Alta Corte per stabilire che no, le donne transgender non sono legalmente donne. Non identità fluide, non “genere percepito”, ma roba concreta: il sesso biologico.

La Corte Suprema britannica, con una sentenza di ben 88 pagine (per spiegare l’ovvio, ci vuole pazienza), ha ribadito che nella legge del 2010 per “donna” si intende una donna nata tale. Sì, davvero, siamo arrivati a questo punto.

Applausi (e sollievo) da parte di JK Rowling, ormai diventata l’oracolo del buon senso in tempi di confusione fluida. Anche Kemi Badenoch ha brindato: "Fine dell’era Starmer in cui le donne possono avere il pene". Serve aggiungere altro?

Nel frattempo, il NHS sta pensando di aggiornare le sue linee guida, finora così “inclusive” da far dormire donne biologiche nei reparti con uomini che si identificano come tali. Magari adesso qualcuno riaccende il cervello.

E il governo scozzese? Altro giro, altra negazione della realtà: non si scusa, difende la “buona fede” e ribadisce di voler rimanere “inclusivo”. L’importante è non discriminare… la logica.

Morale della favola? Quando la propaganda ideologica riesce a cancellare persino il significato della parola “donna”, c’è bisogno della Corte Suprema per ristabilirlo. Ma almeno, per una volta, ha vinto il buonsenso. Anche se, a quanto pare, va difeso come una specie in via d’estinzione.

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Convergenza Elettronica: Il Grande Ritorno della Guerra Fredda in Salsa AI

Nel deserto della California, l’esercito americano ha rispolverato i fantasmi della Guerra Fredda, aggiornandoli con qualche algoritmo e chiamando il tutto “Project Convergence Capstone 5”. Obiettivo: dimostrare che la guerra elettronica non è affatto morta, ma è viva, modulare, “interoperabile” e perfettamente allineata con la nuova narrativa da guerra globale su larga scala.

Soldati e tecnocrati hanno giocato a fare i cacciatori di segnali, geolocalizzando tutto ciò che emette radiofrequenze, mentre schiere di analisti e sviluppatori caricavano “carichi utili modulari” (ovvero attacchi digitali su misura) su sistemi pronti a colpire in tempo reale — tutto naturalmente "non cinetico", perché si sa, l’informazione è la nuova arma. Il tutto condito con frasi altisonanti come “ecosistema reattivo” e “Rapid Effects Generation Enterprise” — un modo elegante per dire che stanno costruendo la versione militare della suite Adobe, ma per la guerra.

Nel frattempo, l’Europa — o meglio, Berlino — non sta a guardare. Il ministro tedesco Pistorius ha annunciato una coalizione ad hoc per l’electromagnetic warfare a favore dell’Ucraina, mettendo sul piatto 11 miliardi di euro entro il 2029. Droni, jammer, sistemi IRIS-T, Patriot, Leopard e una montagna di nuove dottrine: è la NATO 2.0, dove la guerra non si combatte solo con i carri armati, ma anche con il Wi-Fi.

Tutto molto smart, tutto molto interoperabile. Ma a leggere tra le righe, è solo l’ennesimo upgrade di un conflitto perenne: la battaglia per il controllo dello spettro — e della narrativa.

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Dal cuore della terra sale un respiro incandescente. Il Fagradalsfjall erutta. L’Islanda si trasforma in un altare cosmico. La lava scorre come sangue degli abissi.

Il vulcano si apre come un sigillo. Il portale tra visibile e invisibile si spalanca. Il fuoco afferma la sua forza. La materia si piega. La trasformazione si compie.

Il fuoco consacra. Illumina. Purifica. Brucia l’ignoranza. Rivela. Trasforma l’uomo. Accende lo spirito. Risveglia la coscienza.

Ogni colata incandescente mostra l’Uomo che si lascia ardere per rinascere. Il fuoco custodisce la soglia. L’anima attraversa. La terra parla. L’anima ascolta.

Buongiorno e buon giovedì a tutti!

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Colpevoli su presunzione: la giustizia predittiva del Regno Unito

Nel Regno Unito il crimine non è più una condizione, è una previsione. Basta il sospetto calcolato da un algoritmo e la sorveglianza parte. Il Ministero della Giustizia ha portato a termine nel dicembre 2024 un progetto che, se chiamato con il suo vero nome, si sarebbe tradotto in "Minority Report versione Crown". Per mantenere le apparenze, è stato ripulito e ribattezzato con una locuzione burocratica tanto inutile quanto ambigua: "Sharing Data to Improve Risk Assessment". L’etichetta giusta per nascondere l’odore acre di schedatura preventiva.

Dietro la facciata di efficienza si muove la solita alleanza tossica tra la Greater Manchester Police, la Metropolitan Police, il Ministero dell’Interno e l’instancabile Ministero della Giustizia. Obiettivo: schedare fino a mezzo milione di cittadini, inclusi quelli senza reati alle spalle. Il tutto con un’architettura di profiling costruita sull’Offender Assessment System, già ampiamente criticato per le sue distorsioni. Ora lo si vuole ampliare, integrando nuovi dati e moltiplicando i punti di controllo. Il risultato non è prevenzione, è sorveglianza di massa travestita da scienza esatta.

Nel mirino, la fascia demografica più sacrificabile nella narrazione identitaria del Regno Unito post-2020: l’uomo bianco britannico. Troppo normale, troppo colpevole per definizione. Il Sentencing Council aveva perfino provato a introdurre linee guida a doppio standard, in cui le minoranze ottenevano privilegi su cauzione rispetto agli uomini bianchi. La misura è saltata, ma non per un sussulto etico: semplicemente perché la destra ha cominciato a usare le stesse armi legali della sinistra. Il pregiudizio però resta intatto, stratificato nella struttura stessa del potere giudiziario.

Le critiche non mancano, ma vengono archiviate come rumore di fondo. Sofia Lyall di Statewatch ha definito il progetto per quello che è: agghiacciante e distopico. Gli algoritmi non stanno prevenendo reati, stanno creando bersagli. Nessuna autorità giudiziaria può verificare il funzionamento di una scatola nera piena di variabili opache, ma intanto si profila, si valuta, si seleziona. Il crimine non è più un atto, è un punteggio.

Nel frattempo, tutto prosegue senza dibattito, senza consenso, senza controllo pubblico. La narrazione ufficiale lo chiama ancora "fase di ricerca", ma la macchina è pronta e aspetta solo di partire. Nessuna fretta, il meccanismo si stringe lentamente, con la calma tipica delle strette ben progettate.

Chi vuole continuare a illudersi può farlo. Gli altri farebbero bene a rimanere collegati a chi ancora nomina l’elefante nella stanza. Perché il prossimo nome nell’elenco dell’algoritmo potrebbe essere già stato assegnato.

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Vaia a Forum: meno obblighi, più propaganda – il vaccino spiegato dalla TV

Francesco Vaia, ex direttore della Prevenzione al Ministero della Salute e oggi paladino dei diritti dei disabili, approda a Forum per impartire l’ennesima omelia vaccinale in stile paternalista: niente obbligo, ma “convincimento”, ovviamente non basato su fatti, trasparenza o dibattito, bensì sull’eterno catechismo televisivo. Per Vaia, infatti, “fa molto di più una trasmissione TV delle leggi”. Parola d’esperto. Di comunicazione, s’intende.

A ispirare questa perla di saggezza è il caso di una madre che non vuole vaccinare il figlio e che, nel teatrino televisivo, viene dipinta come un’isterica da redimere. Occasione perfetta per Vaia per recitare il mantra: la gente rifiuta i vaccini solo perché li si obbliga. Non perché magari ha qualche dubbio legittimo, no, ma perché non li si accompagna abbastanza.

E qui scatta la nostalgia per la legge Lorenzin del 2017, quella che “ha solo alzato l’asticella” delle immunizzazioni. Poverina, non era abbastanza empatica. Ora la ricetta è: cittadini trattati come incapaci da guidare per mano verso la siringa, magari dopo una puntata ben fatta di Forum o un talk show coi soliti esperti a senso unico.

Ovviamente, nessun accenno – nemmeno per sbaglio – al fatto che questi vaccini, se tutto va bene, immunizzano per pochi mesi, e sempre sperando che non lascino strascichi più o meno gravi nel breve o lungo periodo. Ma questa parte non entra mai nella “buona comunicazione”: troppo scomoda, troppo vera.

Insomma, il cittadino ideale secondo Vaia è maturo solo se anestetizzato dalla propaganda, sedato dalla TV, e guidato come un minore non emancipato. E guai a uscire dal coro, che poi finisci pure a Forum come caso clinico.

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Crolli, maschere e paradossi: l’Occidente si sgretola tra rivolte, prestiti e psicosi

La facciata dell’ordine globale inizia a cedere, e lo fa con scene che sembrano uscite da un copione grottesco. In Ucraina, Zelensky licenzia l’ennesimo ufficiale dopo l’attacco russo a Sumy. Volodymyr Artyukh fa le valigie, ma il problema non è lui: è l’intero apparato che scricchiola. Il sindaco di Konotop parla di negligenza, mentre Kiev tenta disperatamente di spacciare epurazioni tattiche per strategia. Sumy, città dell'Ucraina nord-orientale al confine con la Russia, è finita sotto attacco diretto, con danni pesanti e popolazione in fuga. Quando non si può vincere, si cerca qualcuno da scaricare.

A migliaia di chilometri, l’idolo dei libertari Javier Milei abbandona il dogma e tende la mano proprio a quell’organismo che dovrebbe odiare: il Fondo Monetario Internazionale. Venti miliardi di dollari in prestito, chiesti da chi predica la morte dello Stato ma si inginocchia davanti alla banca centrale del mondo. L’Argentina si conferma il cliente fisso del Fondo, seguita da Ucraina, Egitto ed Ecuador: il club delle nazioni “libere” con il cappio al collo.

Negli Stati Uniti, intanto, la realtà deraglia. Un diciassettenne, Nikita Casap, uccide madre e patrigno per rubare il denaro necessario a finanziare un piano di attentato contro Donald Trump, pianificando l'acquisto di droni ed esplosivi per colpire il presidente e rovesciare il governo. Un mix tossico di ideologia deviata, neonazismo e sogni di fuga in Ucraina. L’FBI parla di “odio politico”, ma nessuno si chiede da dove venga questo odio, chi lo alimenti, chi lo normalizzi a colpi di omissioni mediatiche e polarizzazione tossica. L’unico dato certo: anche stavolta, l’obiettivo è Trump. E anche stavolta, ci si finge sorpresi.

Mentre l’Occidente finge di proteggere diritti, l’Ungheria di Orbán rovescia il tavolo: legge approvata, niente più Pride né raduni LGBTQ+. La motivazione ufficiale? Protezione dei minori. Quella reale? Resistenza aperta al diktat culturale imposto da Bruxelles. L’UE congela fondi, Budapest congela ideologie. Da una parte lo “stato di diritto” come mantra, dall’altra la sovranità nazionale come barricata. Chi vince? Dipende da che parte si guarda. O da cosa si è disposti a difendere.

Quattro episodi, un’unica traiettoria: la maschera del progresso globale si incrina, la retorica cede, i nodi vengono al pettine. Tra licenziamenti d’emergenza, prestiti ideologici, adolescenti in guerra con lo Stato e governi che sfidano l’ortodossia arcobaleno, il sistema vacilla. E sotto il cerone, resta solo un volto confuso che non sa più che direzione chiamare “democrazia”.

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Guerre eterne, confini chiusi e scienziati caduti: il nuovo ordine si fa strada tra dazi, droni e dogmi

Mentre l’Occidente gioca a ridisegnare il mondo con le ruspe della geopolitica e i compassi del potere armato, Zelensky firma l’ennesimo decreto per prorogare la mobilitazione in Ucraina. Altri 90 giorni a partire dal 9 maggio. Un’altra stagione di carne da cannone. La pace? Nemmeno contemplata. Non serve, non conviene, non rende. Il Parlamento ucraino obbedisce, la macchina bellica continua a divorare figli, speranze e futuro.

Dall’altra parte del Mediterraneo, Netanyahu risponde a Macron con l’usuale arroganza blindata. Uno Stato palestinese? “Incoraggerebbe il terrorismo”. Come dire che ogni idea di coesistenza è già un attentato. La linea resta quella di sempre: terra sì, diritti no. Perché ogni centimetro ceduto viene letto come cedimento, e ogni riconoscimento come pericolo. La narrativa israeliana è scolpita nel granito: o controllo totale o caos.

Intanto, Trump torna alla carica con la sua ricetta dazi e patriottismo economico. In un’intervista spiega che i dazi potrebbero tornare a essere la principale fonte di entrate per gli Stati Uniti, proprio come a fine Ottocento. Il sogno è chiaro: tornare al protezionismo totale, eliminare l’imposta sul reddito e finanziare lo Stato col commercio blindato. Una nazione forte e ricca perché chiusa, armata e selettiva. America first, anche nel fisco.

E poi c’è la Cina, dove qualcosa non torna tra le quinte della superpotenza digitale. Negli ultimi anni, una serie di scienziati legati all’Intelligenza Artificiale, alla tecnologia militare e alla sanità avanzata è improvvisamente sparita. Morti improvvise, silenzi tombali. Song Jian, Feng Yanghe, Tang Xiao’ou, He Zhi. Tutti giovani, tutti al vertice, tutti scomparsi nel giro di tre anni. Troppa IA, troppi segreti, troppo potere in mano a chi forse stava capendo troppo in fretta.

In questo scenario, dove si intrecciano guerra infinita, colonialismo di nuova generazione, protezionismo spinto e misteri letali sotto la maschera della scienza, il disegno si chiarisce. Il futuro non è più da scrivere: è già stato scritto. E chi prova a leggerlo troppo a fondo, smette di comparire nei titoli di testa.

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Francia in fiamme: rivolte coordinate nelle carceri, e se fosse solo l'inizio?

Nove penitenziari attaccati nella stessa notte, colpi d’arma automatica contro il carcere di Tolone, auto del personale date alle fiamme, muri imbrattati con slogan organizzati. Altro che semplice rivolta: quello che si è visto in Francia somiglia più a un’operazione militare su piccola scala. E, come da copione, il ministro Darmanin accorre sul posto con l’aria di chi ha tutto sotto controllo, mentre tutto gli esplode in faccia.

Le autorità parlano di risposta criminale alle misure contro il narcotraffico. Forse. Ma c’è un dettaglio che stona: il livello di coordinazione, la simultaneità, la scelta di bersagli precisi, il simbolismo dei messaggi lasciati. Troppo ordinato per essere solo un'esplosione di rabbia. Troppo sincronizzato per non far pensare a un test.

Sì, un test. Perché viene il sospetto – e non da oggi – che qualcuno stia misurando la tenuta del sistema penitenziario francese, il tempo di reazione delle forze dell’ordine, la capacità dello Stato di contenere un attacco interno. E se queste carceri fossero solo il laboratorio? Se si stesse sperimentando un metodo per generare caos e insicurezza su scala urbana?

Non sarebbe la prima volta. Far vacillare la sicurezza interna è l’anticamera perfetta per lanciare nuove misure eccezionali, vendere più sorveglianza, militarizzare la società, rafforzare l’apparato. Ma per farlo serve prima la crisi, la paura, il nemico visibile. Che oggi si chiama narcotraffico, domani sarà il “terrorismo interno”, dopodomani chiunque non si allinei.

Questa notte francese non è solo un allarme. È un segnale. E chi lo ignora o lo banalizza sta solo facendo il gioco di chi sa bene dove vuole arrivare.

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Due papà, una penna e nessun permesso: l’infanzia come campo di rieducazione

Nelle scuole elementari della provincia di Asti arriva in classe il fumetto “Perché hai due papà”, distribuito senza che nessuno pensasse di dover avvisare i genitori. La maestra lo dà ai bambini come fosse un qualunque libro illustrato, ma dentro c’è molto di più: il messaggio che due uomini possono avere un figlio “comprandolo” da una donna. Un'idea normalizzata tra le righe colorate, servita sotto forma di favola ai più piccoli, nella fascia d’età in cui la fiducia negli adulti è cieca e totale.

A segnalare il caso è Rossano Sasso, deputato e capogruppo in commissione Cultura. Ma non serve essere politici per capire la gravità del gesto. Basta essere genitori. Perché quando l’infanzia diventa terreno di indottrinamento e il banco di scuola un laboratorio ideologico, non si tratta più di apertura mentale, ma di imposizione. Subdola, silenziosa, calcolata. Niente dibattito, niente consenso informato. Solo l’ennesima penetrazione culturale travestita da “educazione”.

Le famiglie vengono aggirate, messe da parte, trattate come un ostacolo da superare. Chi decide cosa è “giusto” dire a un bambino di sette anni? Chi stabilisce che il modello familiare va ridefinito nei corridoi scolastici, senza nemmeno consultare chi quei bambini li ha messi al mondo?

L’operazione ha una firma chiara: attivismo ideologico travestito da inclusività, con l’appoggio di maestre che troppo spesso si trasformano in portavoce di una pedagogia ideologica. Sasso annuncia che se i fatti verranno confermati, denuncerà i responsabili. Ma nel frattempo, il seme è stato piantato.

Si chiama “educazione”, ma non c’è né libertà né trasparenza. Solo una mano invisibile che riscrive la realtà a misura di dogma, iniziando dai più piccoli. E la domanda non è “perché hai due papà?”. La domanda vera è: perché lo decidono loro, cosa devono pensare i nostri figli?Per restare sempre in contatto senza censure, seguite il mio canale Telegram: https://t.me/carmen_tortora1

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Auguro a tutti voi, e alle persone che amate, una Pasqua di verità, di cuore e di luce. Che possiate risorgere ogni giorno, nel silenzio del cuore e nella forza dell’anima.
24.03.202509:20
DPI: Il Gulag Digitale dei Globalisti

Pensavate che i lockdown fossero l’incubo peggiore? Illusi. Quello era solo l’antipasto. Ora arriva il piatto forte: l’Infrastruttura Pubblica Digitale (DPI) – un meccanismo di sorveglianza travestito da progresso, orchestrato da un’élite di burocrati non eletti, globalisti rampanti e aziende affamate di dati. Una tecnocrazia mascherata da bene pubblico, che punta al controllo totale – economico, sanitario, ambientale, sociale – su ogni essere umano dal primo vagito fino alla bara.

La DPI si articola in tre componenti apparentemente “civiche”, ma in realtà da incubo orwelliano:

Identità digitale obbligatoria, il tuo biglietto per l’inferno burocratico.

Pagamenti digitali programmabil
i, per decidere cosa puoi comprare e quando.

Scambio di dati costante tra governi e corporazioni, ovvero una macchina spia globale.

La pandemia come scusa, l’India come laboratorio

Ovviamente il COVID – la loro benedetta “crisi” – è stato il pretesto perfetto. La Banca Mondiale si pavoneggia dichiarando che i paesi con DPI hanno gestito meglio l’emergenza, dimenticando di dire che hanno semplicemente spento i diritti umani con un clic. L’India, prototipo perfetto di schiavitù digitale, ha schedato oltre un miliardo di persone con Aadhaar, le ha tracciate e vaccinate con l’aiuto di intelligenza artificiale, che altro non era che il cane da caccia del governo.

Sotto la vernice di “distribuzione equa dei vaccini” si nasconde un sistema per individuare chi non era stato punto e forzarlo alla puntura. Niente passaporto vaccinale? Niente diritti.

Peccato che la Corte Suprema indiana, nel 2022, abbia smentito tutta la narrazione, definendo le vaccinazioni forzate incostituzionali e contrarie all’integrità fisica. Troppo tardi: il danno è stato fatto e il modello esportato.

Il futuro? Un incubo programmabile

Con il DPI in funzione, non ci sarà più bisogno di pretesti pandemici. Una crisi vale l’altra. Cambiamento climatico? Razzismo? Disinformazione? Ogni emergenza sarà una scusa per limitare la tua mobilità, i tuoi acquisti, la tua esistenza.

Se parli fuori dal coro? Bannato, demonetizzato, silenziato.

Se superi la tua quota di carbonio? Niente benzina, niente carne, o prezzi che solo un oligarca può permettersi.

Se il tuo ID digitale dice che hai opinioni non conformi? Discriminato, bloccato, escluso.

E non serve nemmeno che lo faccia il governo. Le corporazioni faranno il lavoro sporco, applicando regole tramite “termini di servizio” che nessuno legge, ma tutti subiscono. È il sogno bagnato di ogni tecnocrate: uno Stato corporativo in cui legge pubblica e politica aziendale si fondono per creare un regime fascista 2.0.

“Inclusione” e “protezione dei dati”? La solita farsa


La Banca Mondiale – con il suo linguaggio da pubblicità per ONG – parla di “inclusione” e “tutela della privacy”. Ma il loro vero obiettivo è includerti nel loro zoo digitale, dove ogni tuo movimento è tracciato e valutato in tempo reale.

E se vivi in zone dove
elettricità e internet sono instabili? Nessun problema: stanno già lavorando per “collegarti”, mica per aiutarti. L’obiettivo non è il benessere, ma la presa totale sulla tua esistenza. Sempre con il sorriso e lo slogan: “per non lasciare indietro nessuno” – come se fosse una minaccia velata.

Il vero volto del DPI

Il DPI non nasce dal basso. Nessun popolo l’ha chiesto. È un costrutto autoritario calato dall’alto, partorito in qualche think tank elitario, sostenuto da governi compiacenti e imprese fameliche, in nome della sicurezza, dell’efficienza e – ovviamente – del bene comune.

È il passo decisivo verso un governo mondiale invisibile ma onnipresente, senza frontiere fisiche, ma con barriere digitali invalicabili. Un sistema che decide chi sei, cosa puoi fare, cosa puoi comprare, e se puoi partecipare alla società.

Dalla culla alla tomba, ogni tua scelta sarà filtrata da algoritmi, approvata da server, e registrata in database che non dormono mai.

Benvenuti nel gulag digitale.

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04.04.202511:04
GEOINGEGNERIA: IL GRANDE INGANNO CLIMATICO FIRMATO ONU

Tra moratorie farsa e business del clima, ecco cosa sta succedendo davvero


Mentre a ogni conferenza sul clima i funzionari dell’ONU ripetono il solito ritornello della "moratoria precauzionale", nella realtà si stanno già conducendo esperimenti su larga scala per manipolare il clima, gli oceani, l’atmosfera e, di conseguenza, la vita stessa sul pianeta. A farlo non sono solo università o enti pubblici, ma decine di aziende private che si stanno spartendo un nuovo mercato: quello della geoingegneria commerciale, nascosto dietro la maschera della lotta al cambiamento climatico.

Le
40 aziende del business del cielo

Secondo l’ETC Group, almeno quaranta aziende stanno già conducendo o pianificando esperimenti di geoingegneria marina in mare aperto. Tra queste:

Aspiration Tech – startup focalizzata sulla rimozione di CO2 tramite nuove tecnologie di cattura diretta, sostenuta da fondi venture capital statunitensi come Social Capital.

Blue Dot Change – società con progetti pilota di fertilizzazione oceanica, supportata da investitori privati del settore ambientale e da capitali filantropici provenienti da fondazioni accademiche e ONG ambientali minori.

Running Tide – azienda statunitense sostenuta da Venrock (fondo VC legato a Rockefeller), Lowercarbon Capital (fondata da Chris Sacca), e da fondi collegati a Breakthrough Energy.

Carbon Collect – supportata da fondi di innovazione ambientale, ha collaborazioni con la Arizona State University e riceve sostegno da EIT Climate-KIC (programma UE).

Arca Climate – impresa canadese finanziata da Breakthrough Energy Ventures, il fondo climatico di Bill Gates, con la partecipazione di Bezos Earth Fund e Soros Economic Development Fund.

Climeworks – azienda svizzera con finanziamenti da Microsoft Climate Innovation Fund, Swiss Re, John Doerr, Partners Group e varie banche verdi europee.

Heirloom Carbon – startup americana sostenuta anch’essa da Breakthrough Energy Ventures, Stripe Climate, Shopify Sustainability Fund e Lowercarbon Capital.

Planetary Technologies – finanziata da Sustainable Development Technology Canada (fondo pubblico) e da fondi privati del Canada Green Fund, con donazioni provenienti anche dal Grantham Environmental Trust.

Captura Corp – spin-off del Caltech finanziato da Equinor Ventures, dal fondo Schmidt Futures (di Eric Schmidt, ex Google) e da Future Planet Capital.

Ocean-based Climate Solutions – supportata da donazioni e capitali filantropici legati a network accademici, in particolare da fondazioni universitarie USA, dal David and Lucile Packard Foundation e da The ClimateWorks Foundation.


Molte di queste stanno già vendendo crediti di carbonio nei mercati volontari, pur senza alcuna prova concreta che le loro tecnologie rimuovano davvero il carbonio in modo permanente. Ma il business va avanti lo stesso. E gli effetti sugli ecosistemi marini, sulle comunità costiere e sulla biodiversità sono del tutto trascurati o ignorati.

Gli esperimenti climatici in corso

Queste sono alcune delle tecniche che vengono già sperimentate o proposte:

Iniezione di aerosol nella stratosfera:
si spruzza solfato di zolfo per riflettere la luce solare e raffreddare il pianeta, col rischio di danneggiare lo strato di ozono.

Fertilizzazione degli oceani: si scaricano sali di ferro per stimolare il fitoplancton che assorbe CO2.

Rilascio di minerali per modificare la chimica degli oceani.

Schiarimento delle nuvole marine: si spruzzano particelle per aumentare la riflettività delle nuvole.

Spargimento di perline sintetiche riflettenti sull’Artico.

Mega coltivazioni di alghe geneticamente modificate da affondare nei mari.

Affondamento di biomassa e detriti organici negli abissi oceanici.

Alcuni di questi esperimenti sono già stati condotti, come quello di Russ George nel 2011 nel Pacifico. Altri, come il progetto SCoPEx dell’Università di Harvard finanziato da Bill Gates, sono stati sospesi solo dopo le proteste delle popolazioni indigene.

Moratorie per finta, sperimentazioni reali
06.04.202508:59
Check-in distopico: la vacanza inizia col riconoscimento facciale

Con le vacanze di primavera alle porte, orde di viaggiatori si riverseranno negli aeroporti come ai bei tempi... solo che ora, prima di salire sull’aereo, dovranno fare un bel sorriso alla macchina. Niente più carta d’imbarco: una scansione del volto e sei schedato come si deve.

Arizona, Ohio, Colorado? Avanguardia del controllo: qui puoi persino usare il tuo ID digitale per passare i controlli come un bravo cittadino del futuro. Tutto comodo, tutto “fluido”. Peccato che nel frattempo la tua identità venga digitalizzata, analizzata, registrata e (forse) cancellata, dicono loro.

Lezione n.1: Se è comodo, nessuno si lamenta

I dati dicono che il 90% dei passeggeri americani è favorevole alla biometria purché si risparmino 10 minuti in fila. La privacy? Secondaria. Il nuovo mantra è: “se mi fai passare più in fretta, puoi pure scattarmi una TAC”.

Lezione n.2: Insegna, addestra, assuefa

Il riconoscimento facciale è partito in sordina nel 2019, ora è in oltre 230 aeroporti. Il trucco? Implementazione graduale, linguaggio rassicurante e tanta collaborazione pubblico-privato. E così si porta a casa il consenso per trasformare ogni aeroporto in una zona ad alta densità algoritmica.

Lezione n.3: La trasparenza è una promessa… opzionale

Certo, la TSA ci tiene a far sapere che i dati non verranno usati per la sorveglianza (giurano), che tutto sarà cancellato (forse), e che puoi rifiutarti (ma non conviene). Sì, puoi scegliere la “modalità alternativa”. Come no. Come “volere il contante” in un mondo cashless.

Messaggio finale per le aziende:

Guardate gli aeroporti: hanno abbracciato il futuro, hanno trasformato la sicurezza in un esperimento di massa sulla biometria, e ora ci dicono che tutto è più veloce, più sicuro, più efficiente. Ma soprattutto, più controllato.

Benvenuti nell’esperienza di viaggio post-umana. Il biglietto lo hai già pagato. La faccia, quella, l’hai regalata gratis.

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02.04.202517:59
Non guardare il dito (l’OMS), guarda la gabbia: il Regolamento Sanitario Internazionale

Mentre tutti gridano “Trattato pandemico!” come se fosse l’unico problema, nessuno, e dico nessuno, parla del vero cappio che ci stanno stringendo intorno al collo: il Regolamento Sanitario Internazionale.Una riforma silenziosa, tecnica, in apparenza innocua... ma che se non verrà rigettata entro luglio 2025, ci consegnerà definitivamente a uno scenario perfino peggiore delle misure pandemiche che abbiamo già vissuto. Altro che green pass: qui si rischia il green guinzaglio.

Tutti a puntare il dito contro l’OMS, come se fosse un’entità astratta maligna. Ma il problema non è tanto che “l’OMS non serve a nulla” – su quello siamo d’accordo – quanto che ora serve ad altro: non più a contenere epidemie (quella era roba da telegrafo nel 1948), ma a concentrare potere sanitario globale nelle mani di pochi.

E chi finanzia questo carrozzone mondiale? Gli Stati membri? Ma neanche per sogno. I veri padroni sono Bill Gates, Big Pharma, e le loro creaturine come GAVI Alliance, cioè la finanza internazionale. Risultato: chi paga, comanda. E chi comanda, detta la cura. A prescindere dalla diagnosi.

Nel frattempo, i nostri paladini dell’informazione ignorano che già oggi, con le modifiche approvate al RSI (Regolamento Sanitario Internazionale), basta una dichiarazione dell’OMS per imporre restrizioni globali, lockdown, pass sanitari e “raccomandazioni vincolanti” senza nemmeno dover firmare un trattato.

Il direttore Tedros Ghebreyesus, col passato da ministro in un partito comunista e le ottime relazioni con Gates, siede su un trono fatto di stipendi esentasse, consulenze opache, viaggi da nababbi e zero accountability. L’Italia intanto versa 100 milioni l’anno in questa fornace, e quando il Parlamento osa convocarli in audizione, l’OMS risponde picche: "non vogliamo compromettere la nostra imparzialità". Che barzelletta.

E mentre si distraggono tutti con il trattato pandemico, il regolamento sanitario lo modificano sotto il naso, in silenzio, nelle commissioni tecniche dell’ONU. E lì nessuno urla. Nessuno twitta. Nessuno “si indigna”.

Quindi sì: bisogna non firmare il trattato pandemico. Ma ancora di più, bisogna bloccare gli emendamenti al Regolamento Sanitario Internazionale entro luglio, altrimenti la prossima “emergenza globale” – climatica, informatica o alimentare che sia – ci troverà già chiusi nella gabbia. Con il lucchetto chiuso dall’interno.

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03.04.202504:59
OMS latitante: imparziali… ma solo a casa loro

La Commissione Covid chiama, l’OMS risponde: no, grazie. Invitata in audizione da tutti i gruppi parlamentari per fare chiarezza sulla gestione della pandemia, l’Organizzazione Mondiale della Sanità si è rifiutata con un elegante pretesto: difendere la propria “imparzialità e oggettività”. Peccato che proprio quelle siano messe in discussione da più parti, persino dai suoi stessi finanziatori.

Fratelli d’Italia, partito del presidente della commissione Marco Lisei, accusa l’OMS di alimentare i dubbi e minare la propria credibilità. Difficile dargli torto, considerando che l’Organizzazione è finanziata, tra gli altri, dalla Fondazione Gates – seconda solo agli USA per contributi versati – mentre promuoveva senza sosta vaccini a mRna e green pass globali. Coincidenze, naturalmente.

Nel frattempo, si ricorda che un rapporto OMS sul disastroso piano pandemico italiano fu fatto sparire su pressione politica. E mentre anche Trump accusa l’OMS di incapacità e annunciava il ritiro degli USA, in Italia si pretende chiarezza… ma l’OMS ha già chiuso la porta. Con garbo, certo. Ma l’ha chiusa.

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04.04.202507:59
Xylella: la truffa mascherata da emergenza

Altro che “lotta al batterio”, la gestione della Xylella in Puglia è stata – parola della polizia giudiziaria, non dei soliti “negazionisti” – un colossale raggiro ai danni della popolazione e degli agricoltori. Migliaia di pagine d’indagine rivelano una verità scomoda: l’epidemia, nota dal 2005 ma tenuta ben nascosta fino al 2013, è stata il pretesto perfetto per costruire un gigantesco affare.

Un affare che si è articolato su più livelli: in primis l’accesso a ingenti finanziamenti pubblici destinati alla gestione dell’emergenza, in larga parte convogliati verso enti, consorzi e soggetti privati ben inseriti nei circuiti istituzionali. L’Istituto Agronomico Mediterraneo di Bari (CIHEAM) e il CNR, beneficiari di fondi per milioni di euro per progetti di ricerca e contenimento, mentre l’Arif (Agenzia Regionale per le Attività Irrigue e Forestali) ha gestito direttamente abbattimenti e piani di monitoraggio. Anche soggetti privati come l’Università di Bari, attraverso convenzioni, e aziende fornitrici di servizi e analisi hanno beneficiato della filiera emergenziale.

Poi la corsa ai brevetti legati a metodi di rilevazione e contenimento del batterio, come quelli registrati da gruppi di ricerca vicini all’Università di Bari e a enti regionali, che hanno permesso la commercializzazione di kit diagnostici e prodotti per il trattamento fitosanitario, trasformando la crisi in un’opportunità di guadagno brevettuale.

Sul fronte territoriale, le speculazioni immobiliari si sono affacciate in parallelo alla distruzione del patrimonio olivicolo: abbattimenti mirati, espianti giustificati come misure di contenimento, rientrano in un quadro di trasformazione del paesaggio agricolo. Alcuni appezzamenti liberati dagli olivi sono stati convertiti in impianti fotovoltaici, lottizzazioni turistiche e persino progetti di riqualificazione paesaggistica finanziati da fondi europei. Il tutto sotto l’ombrello della “ricostruzione territoriale”, divenuta parola d’ordine per ridisegnare intere porzioni di territorio pugliese secondo logiche economiche estranee agli interessi degli agricoltori e della popolazione locale.

Un danno incalcolabile al patrimonio olivicolo, pianificato e mantenuto nel tempo da “strutture e apparati” che oggi si scoprono ben lontani dalla difesa dell’ambiente. Insomma, la narrativa ufficiale cade a pezzi: chi aveva sollevato dubbi e protestato – piccoli agricoltori, associazioni, attivisti – aveva semplicemente ragione.

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04.04.202511:04
La moratoria dell’UNEP del 2010, ribadita più volte fino alla COP16 del 2024, non ha alcun potere vincolante. Gli Stati Uniti non l’hanno nemmeno ratificata. Nel frattempo, le aziende operano indisturbate, grazie all’assenza di leggi chiare e alla copertura dei mercati volontari del carbonio. La Convenzione di Londra, che vieta solo la fertilizzazione oceanica, è un’eccezione. Ma anche quella è sistematicamente aggirata.

Controllo climatico e profitto


L’UNFCCC, l’organismo delle Nazioni Unite incaricato di vigilare sull’Accordo di Parigi, sta ora considerando di includere queste tecnologie nel nuovo mercato globale del carbonio.Questo significherebbe istituzionalizzare ciò che oggi è solo tollerato. Un modo elegante per far diventare il cielo una merce da comprare, vendere e sfruttare.

Conclusione

L’ONU ha creato un circo normativo in cui da una parte finge di vietare la geoingegneria, e dall’altra prepara la strada per legalizzarla. Le multinazionali, i fondi d’investimento, i laboratori universitari e i grandi nomi della finanza si muovono senza ostacoli, mentre l’opinione pubblica resta all’oscuro o distratta. E mentre ci si preoccupa della bolletta del gas o del termostato, c’è chi sta giocando con quello del pianeta intero.

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25.03.202516:02
Oggi metto da parte un mio post per dare spazio a un blogger che seguo da anni.
L’ho sempre ritenuto affidabile, anche se finora si è concentrato esclusivamente su economia, finanza e investimenti. Mai un cenno ai temi che affronto da tempo, nemmeno durante il biennio Covid. Sentirlo parlarne adesso fa un certo effetto.

Alla fine del suo intervento condivide anche dei consigli.
A questi ne aggiungo uno fondamentale: imparate a usare la blockchain e Bitcoin.

Perché, se davvero questi folli arriveranno a scatenare guerre aperte dopo il 2030, potrebbe diventare l’unico strumento per spostarsi, sopravvivere e proteggere i propri risparmi. Al di là delle origini di queste tecnologie – che conoscete bene e su cui sapete cosa penso – è evidente che possono rivelarsi strumenti cruciali.

Sì, lo so, lascia perplessa anche me. Ma, come vi ripeto da tempo, non esiste una soluzione collettiva, per quanto abbiano cercato di convincervi del contrario.

Esistono invece soluzioni individuali, costruite su misura, in base alla capacità di osservare, intuire e mantenere lucidità.

Chi saprà guardare meglio, comprendere più in fretta e con occhi liberi…sarà pronto.

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27.03.202515:43
Mary Poppins va alla guerra: il kit della UE tra ridicolo e disperazione

Ah, povera Europa. La speranza – ingenua ma umanissima – era che fosse uno scherzo, magari una parodia generata dall’intelligenza artificiale. Una delle tante. E invece no: è tutto vero. Tragicamente, disperatamente vero.

L’Unione Europea, quella che ormai si agita come una nonna isterica alla finestra al primo rumore di cosacchi immaginari, ha tirato fuori dal cilindro l’ennesima trovata geniale: un video educativo – pardon, un tutorial tragicomico – con protagonista Hadja Lahbib, commissaria europea per la parità, la preparazione e la gestione della crisi. Una carica che suona già come uno sketch di Crozza.

Nel video, la solenne signora Lahbib, con fare da babysitter ansiosa e sorriso da commedia americana, spiega cosa dovrebbe fare ogni famiglia dell’UE: prepararsi a sopravvivere per 72 ore in caso di crisi. Sì, “crisi”. Così, vaga, fluida, ambigua. Non guerra, non attacco nucleare, no. Una crisi, qualsiasi cosa significhi. Dopo le 72 ore? Non è dato sapere. Ma non fatevi prendere dall’ansia, c’è la borsa magica!

Eh sì, perché la commissaria, novella Mary Poppins della NATO, estrae dalla sua valigetta occhiali, fiammiferi, torce, coltellini svizzeri, documenti e snack. Manca solo il peluche antipanico e il kit per colorare, e poi siamo pronti. Pronti a cosa? Non si sa, ma pronti.

La parte più sublime – nel senso tragicamente sublime – arriva quando si invita ad avere contanti in casa. Proprio loro, i contanti, demonizzati fino all’altro ieri come mezzo di evasione e crimine, ora improvvisamente rivalutati perché "se salta il bancomat, la carta è solo plastica". Ma dai? Ci voleva una crisi per capirlo?

E poi via, con medicine “perché non si sa mai”, il caricabatterie “anche se tanto il segnale salta”, e – colpo di genio – le carte da gioco, per affrontare le ore buie con un sorriso ebete e qualche partita a scala quaranta, mentre fuori il mondo brucia.

Le reazioni? Tra il raccapriccio e l’ilarità. Una parte della stampa si sforza di restare seria, l’altra ridacchia nervosamente, come chi ride a un funerale per non urlare. E noi, spettatori attoniti, non possiamo che assistere a questa tragicommedia con compassione sprezzante, come si guarda un parente ormai fuori di testa che gioca alla guerra con la bambola di pezza e la bottiglia dell’acqua.

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07.04.202511:03
Dalla Regina ai CEO – Il Regno Unito è ora una start-up a capitale straniero

Il Regno Unito ha smesso di fingere: con 74 Zone Economiche Speciali e 12 porti franchi deregolamentati, ha ceduto il controllo del proprio apparato statale alle multinazionali, a cominciare da BlackRock. Il governo Starmer ha formalizzato il passaggio dallo Stato democratico alla SovCorp: società private dotate di poteri pubblici. Una mutazione istituzionale che si inserisce in un progetto globale già in fase avanzata.

Curtis Yarvin, Peter Thiel e Balaji Srinivasan hanno costruito, ciascuno dal proprio ambito – filosofia politica, finanza tecnologica, ingegneria dei sistemi – un modello comune: la sovranità tecnologica elitaria. Yarvin propone la sostituzione della democrazia con un sistema guidato da competenza tecnica e autorità centralizzata. Lo Stato dovrebbe essere riscritto come software, governato da un CEO sovrano, in una rete di micro-sovranità in concorrenza.

Thiel lavora a una secessione funzionale: finanzia enclavi autonome come le Free Private Cities, sponsorizza candidati post-democratici e forma élite fuori dal sistema educativo. Le sue iniziative mirano a erodere lo Stato creando territori e comunità autoregolate.

Srinivasan, invece, punta sul digitale: propone i Network State, comunità nate online e rese sovrane tramite blockchain, identità digitali e smart contracts (vedi il video Gaia di Casaleggio e soci). Qui la cittadinanza è un abbonamento e la governance è affidata a protocolli automatizzati.

Il risultato è un modello in cui la legittimità si basa sull'efficienza tecnica e sulla proprietà privata. La cittadinanza è selettiva, la governance automatizzata, e l'autorità concentrata in enclave fuori dal controllo democratico. I cittadini diventano utenti e la politica viene sostituita dal codice.

Le ZES sono il cavallo di Troia perfetto per tutto questo. Apparentemente strumenti per attrarre investimenti, sono in realtà spazi dove si sperimenta la dissoluzione dello Stato. In Italia ne esistono diverse: Adriatica, Ionica, Campania, Sicilia, Abruzzo, Sardegna, Calabria e la ZES Unica del Sud. In Cina, Shenzhen e Pudong sono l'archetipo. Negli Emirati Arabi, ogni distretto è un paradiso fiscale autonomo. In India ce ne sono oltre 350. In Honduras, le ZEDES vanno oltre: città-Stato aziendali con leggi private.

Si passa dal welfare state al cloud state.
Dalla cittadinanza al contratto. Dalla rappresentanza alla profilazione. Il potere non si vota più: si sottoscrive. Chi non è compatibile con il sistema, viene semplicemente disconnesso.

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26.03.202506:01
Operazione Guerra Mentale: come si addestra una popolazione all’inevitabile

Ci vogliono dai 5 ai 10 anni per preparare psicologicamente una società intera ad accettare la guerra come “normalità”. Ma nel frattempo, le menti devono essere educate, addomesticate, guidate.

Le tecniche sono rodate, sempre le stesse, sempre efficaci:

Saturazione mediatica del pericolo: guerra, pandemia, crisi climatica. Un’emergenza al giorno leva il pensiero critico di torno.

Addestramento comportamentale: “fai scorte”, “preparati”, “chiudi le porte”, “non uscire”, “non pensare”.

Lessico anestetizzante: parlano di “resilienza” invece di sopravvivenza, di “mobilitazione civile” invece di leva, di “difesa europea” invece di occupazione mentale.

Nemico variabile: oggi Mosca, domani la CO2, dopodomani un virus mutante. Non importa chi sia il nemico, importa che ci sia.

Legittimazione dell’obbedienza: chi esegue è un eroe. Chi dubita è un pericolo pubblico.

E ora, la messa in scena si fa esplicita:

La Commissione Europea lancia il suo protocollo: scorte per 72 ore, batterie, medicine (1).

La Francia distribuisce manuali di sopravvivenza casa per casa. (2)

L’Olanda sonda i giovani: “Vuoi arruolarti?” (3)

La Lituania si prepara a minare i confini (4). 

In Germania le riviste mettono in copertina la nuova domanda sacra: “Andresti a combattere per la tua nazione?” (5)

Ecco servita la nuova campagna: non ti portano alla guerra, ti convincono che è giusto andarci. Come per il Covid, prima ti spaventano, poi ti danno la soluzione… e infine ti chiedono il sacrificio.

La guerra vera è già cominciata:
è una guerra contro la tua lucidità.Non ti bombardano con missili, ma con parole, simboli, paure e messaggi continui. È una guerra mentale, e il primo che la perde è chi non si accorge di starci dentro.

Chi non la vede è già sotto ipnosi. Chi si fida è già arruolato. Chi resta in silenzio è già complice.


E quando cominceranno davvero a chiamare, sarà tardi per dire “non lo sapevo”.


Fonti:

(1) https://elpais.com/internacional/2025-03-25/bruselas-pide-que-los-hogares-europeos-almacenen-suministros-de-emergencia-por-si-llega-una-crisis-climatica-o-una-guerra.html

(3) https://www.metronieuws.nl/in-het-nieuws/binnenland/2025/03/defensie-zoekt-mensen-23-miljoen-jongeren-krijgen-oproep/

(4) https://fr.euronews.com/culture/2025/03/20/un-manuel-de-survie-sera-envoye-a-tous-les-menages-francais-avant-lete?utm_source=feedhub&utm_campaign=google_showcase&utm_medium=feedrss

(5) https://www.facebook.com/profile.php?id=61568792593700&locale=it_IT

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30.03.202511:05
Il gas russo? Non lo vogliamo… ma intanto ce lo beviamo a litri.

Va tutto bene, tranquilli. Il ministro Pichetto Fratin giura che non ci serve. L’AD di ENI, Descalzi, assicura che non tornerà. E poi abbiamo l’Algeria, no? Siamo indipendenti, liberi, green, fieri... e intanto l’Italia è in cima alla classifica per import di gas russo nel 2024.

Lo dice Ember, un think tank energetico che evidentemente non ha ricevuto il memo della propaganda. I dati parlano chiaro: +18% di gas russo in Europa, +11% solo a febbraio, e l’Italia in pole position con 4 miliardi di metri cubi in più. Altro che indipendenza energetica: abbiamo solo cambiato maschera al fornitore, facendo arrivare il gas liquefatto da Mosca via “navi fantasma” e triangolazioni creative con porti terzi. Una pantomima geopolitica degna di Netflix.

E mentre Bruxelles prometteva l’addio al gas russo entro il 2027, indovinate un po’? Rinviato il piano, ovviamente. Perché chiudere i rubinetti a Putin è bello nei tweet, ma costa troppo nella realtà. Anche perché, tanto per peggiorare il quadro, i prezzi del gas sono aumentati del 59% nel 2024 e nel 2025 saranno il doppio rispetto ai livelli pre-crisi.

Ma shhh… non ditelo in giro. Continuiamo a raccontarci la favola dell’autonomia energetica, mentre ci riscaldiamo con il metano made in Russia e ci facciamo belli con le etichette dei nuovi partner “etici”. La morale? Il gas russo non lo vogliamo, ma intanto ce lo beviamo col cucchiaino.

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28.03.202517:59
EUROPA VA ALLA GUERRA – MA NON SA CONTRO CHI

Vladimir Putin, con la solita calma glaciale, si è concesso una gita a Murmansk — nord estremo della Federazione Russa — per ricordare al mondo che, mentre l’Occidente sbraita isterico, lui continua a giocare a scacchi con la mappa dell’Ucraina. “Andiamo avanti, forse non a razzo, ma con decisione”, ha detto, con la disinvoltura di uno che sta potando le rose e non conducendo una guerra. E già che c’era, ha rilanciato con l’idea brillante del giorno: un’amministrazione transitoria targata ONU per indire elezioni “democratiche” nel Paese invaso. Per poi trattare la pace, ovviamente, con un governo nuovo di zecca — e possibilmente più incline a dire “sì, signore” al Cremlino.

Mentre l’Europa si incarta tra regolamenti, gender strategy e bollini ecologici, e gli Stati Uniti si scaldano per l’ennesimo round di dazi, Putin resta lì, impassibile, a fissare il fronte come un professore di liceo che osserva la classe in piena ricreazione. Fa pure l’occhiolino a Trump, definendolo un interlocutore valido per mettere fine alla guerra — il che la dice lunga sul livello attuale della diplomazia internazionale. Intanto Parigi e Londra, in pieno revival napoleonico, inviano truppe a Kiev con la stessa leggerezza con cui un tempo si lanciavano in crociate. Poi si indignano se Mosca parla di guerra aperta con la NATO.

Oltreoceano, il solito Trump spara la sua verità genetica: “Uomo sei e uomo resti, punto”. I suoi applaudono, l’arcobaleno si infuria, e il mondo si avvicina di un passo all’implosione culturale. Ma il vero colpo di teatro arriva dalla Groenlandia: JD Vance e comitiva americana sbarcano con la scusa della visita culturale, ma l’obiettivo è chiaro — annettere il ghiaccio. “La Groenlandia ci serve”, dicono, e il resto è folklore geopolitico. Putin osserva e annuncia: l’Artico si arma. Nuove rotte, nuovi gas, nuovi guai.

Nel frattempo, da Washington parte una bordata commerciale: dazi fino al 200% sul vino europeo. L’Italia, col suo tesoro da 2 miliardi di euro in bottiglia, si sveglia di soprassalto. I produttori sono nel panico, gli scaffali USA si svuotano, ma niente paura: Lollobrigida, dal Vinitaly, ci illumina. Il vero problema, ci spiega, non sono i dazi, ma “l’aggressione culturale al vino”. Poetico, ma poco utile se il Brunello resta bloccato in dogana.

Intanto a Bruxelles si continua a filosofeggiare: accise, etichette, lotta al cancro alcolico. Per la Commissione europea, il problema non è il baratro geopolitico ma il bicchiere mezzo pieno. Hadja Lahbib, commissaria alle crisi (sì, esiste), ci spiega con serietà distopica cosa fare in caso di attacco: tenersi pronti con un kit, documenti, e carte da gioco — per non impazzire, dicono. No, non è satira. È l’Europa nel 2025.

Nel bel mezzo del disastro, Giorgia Meloni fa la voce grossa al Financial Times: “L’Europa si è persa. Trump ha ragione.” Ma tranquilli, aggiunge, non dovremo scegliere tra Stati Uniti e Unione Europea. Forse perché qualcuno, quella scelta, l’ha già fatta sotto banco.

L’Europa va alla guerra — ma contro chi, e per cosa, nessuno lo sa. Nel dubbio, ci resta solo un bicchiere… vuoto.

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29.03.202512:05
La grande rapina globale (con l’oro tedesco, la farsa ucraina e il coltellino svizzero)

Mentre a Bruxelles distribuiscono tutorial su come sopravvivere alla guerra con una borsa da campeggio, un coltellino multiuso e – perché no – una copia aggiornata della Costituzione Europea da usare come carta igienica, i nostri leader, serissimi, si avviano a passo lento ma deciso verso l’abisso.
Tajani, col sorriso da eterno studente fuori corso, ripete che “la guerra non è dietro l’angolo”. Peccato che l’angolo in questione sia già saltato in aria.

Nel frattempo, qualcuno si ricorda che la Germania ha ancora l’oro parcheggiato negli Stati Uniti. Michael Jaeger propone di riportarlo a casa, prima che gli americani lo fondano per farci le medaglie al merito democratico. Si chiama "fase di cambio di potere globale", ma tranquilli: è solo il modo elegante di dire che stanno facendo a pezzi l’Occidente con la firma dei suoi stessi amministratori.

Orban rompe il copione

Mentre tutti recitano a memoria la sceneggiatura della NATO, Viktor Orban salta una battuta e dice qualcosa di logico: che la Russia non vuole attaccare, ma forse qualcuno si sta preparando per colpire per primo. In un mondo normale, sarebbe una riflessione. Nell’Europa del 2025, è un atto sovversivo.

Ucraina, la miniera dei miracoli (per gli americani)

Nel cuore delle rovine, Zelensky firma contratti come se fossero autografi, promettendo agli Stati Uniti terre rare, litio, gas e perfino l’anima dei suoi nipoti, in cambio degli “aiuti”. Tutto da rimborsare, ovviamente.

Peccato che:

I giacimenti siano nei territori occupati dai russi.

Le infrastrutture per estrarre quei minerali esistano solo nei PowerPoint del Pentagono.

Gli esperti dicano che
non conviene scavare nemmeno per scherzo.

E l’unica miniera americana...
mandi tutto in Cina.

Ma niente può fermare l’avidità mascherata da aiuto umanitario. E se l’Ucraina affoga, poco importa: ciò che conta è che qualcuno possa vendere le salvagenti a caro prezzo.

Guerra per il litio, non per la libertà

Dietro ai manifesti con le bandiere e le strette di mano sudate, la vera guerra è per il sottosuolo. Litio, titanio, uranio, terre rare. Più la zona è instabile, più ci si fiondano sopra come sciacalli in cerca di carcasse.

Il grande “accordo di ricostruzione” non è altro che una confisca preventiva, un colonialismo aggiornato col logo della cooperazione. Washington riscuote, Mosca occupa, Bruxelles dorme. L’Ucraina? Firma, paga e sorride per la foto.

Conclusione: verità optional, retorica obbligatoria

Ormai nessuno pretende più verità, solo slogan comodi e qualche bandiera ben piegata.

Si firma tutto, si svende tutto, si dice tutto. Tranne quello che conta. E chi ancora prova a capire è fuori tempo massimo.

Non c’è bisogno di cospirazioni. C’è solo un copione, recitato malissimo, dove l’assurdo è diventato procedura e la miseria geopolitica, prassi.

La verità? Non serve più. Tanto lo spettacolo continua, e il pubblico applaude.

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