09.05.202511:15
Oggi, 9 maggio, ricorre l’anniversario del ritrovamento del corpo di Aldo Moro. Era un martedì del 1978, e il corpo del presidente della Democrazia Cristiana fu scoperto intorno alle ore 13:00 in via Michelangelo Caetani, a Roma.
Roma trattiene il fiato. È una giornata grigia, irreale. Il traffico scorre lento, ma qualcosa nell’aria è cambiato. In via Michelangelo Caetani, una strada secondaria ma carica di simbolismo – collocata esattamente tra la sede della Democrazia Cristiana e quella del Partito Comunista Italiano – una Renault 4 rossa è parcheggiata da ore. All’interno, il corpo senza vita di Aldo Moro.
Non è solo un cadavere, è un messaggio - di Carmen Tortora
Per leggere l'articolo completo, clicca qui: https://sfero.me/article/aldo-moro-sacrificio-uomo-giusto
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Roma trattiene il fiato. È una giornata grigia, irreale. Il traffico scorre lento, ma qualcosa nell’aria è cambiato. In via Michelangelo Caetani, una strada secondaria ma carica di simbolismo – collocata esattamente tra la sede della Democrazia Cristiana e quella del Partito Comunista Italiano – una Renault 4 rossa è parcheggiata da ore. All’interno, il corpo senza vita di Aldo Moro.
Non è solo un cadavere, è un messaggio - di Carmen Tortora
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09.05.202504:01
L'Arabia Saudita,ufficialmente Regno dell'Arabia Saudita, è il più grande Stato della Penisola Arabica, con una superficie di oltre 2 milioni di chilometri quadrati. Fu unificata nel 1932 da Abdulaziz Ibn Saud, che riuscì a riunire sotto il suo dominio varie regioni tribali. Storicamente, il territorio ha ospitato antiche civiltà e importanti rotte commerciali, ma ha acquisito rilievo globale nel XX secolo grazie alla scoperta di immense riserve di petrolio. Oggi, l’Arabia Saudita ha un ruolo centrale nel mondo islamico, essendo custode delle due città sante dell’Islam, La Mecca e Medina, e rappresenta un attore chiave nello scenario geopolitico internazionale per la sua ricchezza energetica e le sue alleanze strategiche.
Buongiorno e buon venerdì a tutti!
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08.05.202513:05
Sánchez: "Che grande atto di cinismo è piangere le cinque vite che sono andate tristemente perse a causa del blackout e ignorare le più di 8.000 vite perse in Spagna a causa del cambiamento climatico".
https://x.com/DanMan_010101/status/1920146481845321819
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08.05.202504:01
Jennie Butchart,nata Jennie Foster Kennedy nel 1866 in Ontario, era la moglie di Robert Pim Butchart, un imprenditore nel settore del cemento. Fu proprio lei la mente e l’anima dietro la trasformazione della cava esausta in quello che oggi è conosciuto come Butchart Gardens.
Donna colta, appassionata di piante e di paesaggismo, Jennie iniziò il suo progetto all’inizio del Novecento, quando la cava di calcare che forniva materia prima alla cementeria del marito fu abbandonata. Invece di lasciarla a sé stessa, Jennie concepì l’idea di trasformare quel luogo spoglio in un giardino ornamentale. Fece trasportare tonnellate di terra fertile e coinvolse esperti giardinieri per realizzare il Sunken Garden, completato nel 1921. Negli anni successivi ampliò il progetto con altri giardini tematici, ricevendo visitatori da tutto il mondo già negli anni ’30.
Buongiorno e buon giovedì a tutti!
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07.05.202511:02
Ripete la solita litania sulla “leadership diplomatica”, mentre lascia carta bianca ai carnefici, ignora l’Asia che si incendia e serve al popolo americano la solita minestra di valori occidentali rancidi e menzogne ben confezionate.
La realtà è questa: la geopolitica occidentale è diventata una macchina impazzita, fatta di bombe, ipocrisia e propaganda. Una farsa tragica scritta da burocrati, recitata da burattini e pagata col sangue dei popoli.
E mentre il mondo va in pezzi, loro si applaudono da soli.
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E mentre il mondo va in pezzi, loro si applaudono da soli.
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07.05.202504:03
L’Islandaè una terra dalla storia affascinante, segnata da un clima tanto aspro quanto suggestivo. Situata al confine tra le placche tettoniche nordamericana ed euroasiatica, l’isola ha visto nascere e modellarsi il suo territorio attraverso eruzioni vulcaniche, glaciazioni e fenomeni geotermici unici al mondo. Fin dai tempi dei primi insediamenti vichinghi nel IX secolo, gli islandesi hanno imparato a convivere con un clima estremo: inverni lunghi e bui, estati brevi ma luminose, vento tagliente e un terreno spesso inospitale. Questo ambiente ha forgiato un popolo tenace e una cultura profondamente legata alla natura. Oggi, il clima insolito dell’Islanda, con le sue variazioni spettacolari e i suoi paesaggi scolpiti dal ghiaccio e dal fuoco, racconta una storia millenaria di adattamento, isolamento e bellezza selvaggia.
Buongiorno e buon mercoledì a tutti!
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09.05.202508:04
Fuori dall’OMS!”: la Svizzera si ribella. E l’Italia?
L’Unione Democratica Federale (UDF) ha depositato una petizione con oltre 34.000 firme per chiedere il ritiro immediato della Svizzera dall’OMS e la cessazione di ogni finanziamento. L’accusa è chiara: l’Organizzazione Mondiale della Sanità si occupa sempre meno di salute e sempre più di potere, controllo e centralizzazione, guidata da un'élite di funzionari non eletti. Il bersaglio principale è il patto pandemico globale e i recenti emendamenti al Regolamento Sanitario Internazionale (RSI), approvati nel 2024.
Secondo l’UDF, la cooperazione sanitaria internazionale è importante, ma non con un’OMS “invasiva” che punta a mettere gli Stati sotto tutela. Nessun beneficio per la Svizzera, anzi: si chiede di seguire l’esempio dell’amministrazione Trump e rompere con l’OMS al più presto.
Domanda provocatoria per Roma: mentre a Berna si discute di libertà sanitaria, in Italia chi ha il coraggio di porre la questione?
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L’Unione Democratica Federale (UDF) ha depositato una petizione con oltre 34.000 firme per chiedere il ritiro immediato della Svizzera dall’OMS e la cessazione di ogni finanziamento. L’accusa è chiara: l’Organizzazione Mondiale della Sanità si occupa sempre meno di salute e sempre più di potere, controllo e centralizzazione, guidata da un'élite di funzionari non eletti. Il bersaglio principale è il patto pandemico globale e i recenti emendamenti al Regolamento Sanitario Internazionale (RSI), approvati nel 2024.
Secondo l’UDF, la cooperazione sanitaria internazionale è importante, ma non con un’OMS “invasiva” che punta a mettere gli Stati sotto tutela. Nessun beneficio per la Svizzera, anzi: si chiede di seguire l’esempio dell’amministrazione Trump e rompere con l’OMS al più presto.
Domanda provocatoria per Roma: mentre a Berna si discute di libertà sanitaria, in Italia chi ha il coraggio di porre la questione?
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08.05.202518:24
Leone XIV: il papa “moderato” che non disturba troppo nessuno – ma nemmeno cambia davvero
Dopo 24 ore di conclave, con 133 cardinali intrappolati tra diplomazie vaticane e correnti incrociate, l’8 maggio 2025 è arrivata la fumata bianca: Robert Francis Prevost, agostiniano e americano, è stato eletto 267º papa della Chiesa cattolica con il nome di Leone XIV. Una scelta che accontenta (senza entusiasmare) tutti: l’uomo giusto per tenere tutto insieme senza far esplodere nulla.
Descritto come "figura di equilibrio", in realtà Leone XIV è un perfetto compromesso tra le spinte riformatrici e l’ansia di non turbare troppo le acque. Viene dagli Stati Uniti, ma ha lunga esperienza in Perù; è stato stretto collaboratore di Francesco, ma con toni più misurati e meno propenso ai colpi di teatro. Più funzionario ecclesiastico che profeta, più amministratore che rivoluzionario.
Sui temi progressisti? Una via di mezzo tra l’“apriamo tutto” e il “non se ne parla nemmeno”. Ha appoggiato la linea di Francesco su ambiente, migranti e poveri, e non ha fatto mancare dichiarazioni di rispetto verso le persone LGBT, ma nei fatti è rimasto saldo sul no a ordinazione femminile, matrimonio omosessuale e, naturalmente, benedizione delle coppie “irregolari”.
Nel 2024 aveva dichiarato che una Chiesa inclusiva non significa una Chiesa senza verità, sottolineando la necessità di accompagnare tutti “con carità e fermezza evangelica”. Tradotto: porte aperte, ma solo se non chiedi troppo. Non a caso aveva affermato che avrebbe negato la Comunione a Joe Biden, colpevole di sostenere il diritto all’aborto. Cioè: o la linea ufficiale o fuori.
Il motto scelto – In Illo uno unum (“In Colui che è uno, siamo uno”) – fa riferimento alla spiritualità agostiniana, che parla di unità, interiorità e comunità. Ma anche qui: nulla di realmente audace o destabilizzante. Il suo stile sembra tagliato su misura per garantire continuità nella calma apparente.
Certo, non mancano le ombre. Due vicende legate a casi di abusi sessuali del clero lo hanno toccato da vicino: una risalente ai primi anni 2000, quando – da provinciale a Chicago – ospitò un sacerdote già condannato per pedofilia; l’altra durante l’episcopato a Chiclayo, in Perù, dove venne criticato per la gestione poco trasparente di accuse interne. La difesa ufficiale? “Ha seguito le procedure”. Fine del discorso.
Nel frattempo, Donald Trump si è affrettato a congratularsi su X: “Grande onore per il nostro Paese”. Come se il Papa fosse un Oscar nazionale.
Ora resta da capire se con Leone XIV la Chiesa entrerà in una nuova fase o semplicemente continuerà a oscillare tra prudenza e sopravvivenza. Le intenzioni sono buone, ma l’impressione è che la rivoluzione sia ancora rimandata a data da destinarsi.
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Dopo 24 ore di conclave, con 133 cardinali intrappolati tra diplomazie vaticane e correnti incrociate, l’8 maggio 2025 è arrivata la fumata bianca: Robert Francis Prevost, agostiniano e americano, è stato eletto 267º papa della Chiesa cattolica con il nome di Leone XIV. Una scelta che accontenta (senza entusiasmare) tutti: l’uomo giusto per tenere tutto insieme senza far esplodere nulla.
Descritto come "figura di equilibrio", in realtà Leone XIV è un perfetto compromesso tra le spinte riformatrici e l’ansia di non turbare troppo le acque. Viene dagli Stati Uniti, ma ha lunga esperienza in Perù; è stato stretto collaboratore di Francesco, ma con toni più misurati e meno propenso ai colpi di teatro. Più funzionario ecclesiastico che profeta, più amministratore che rivoluzionario.
Sui temi progressisti? Una via di mezzo tra l’“apriamo tutto” e il “non se ne parla nemmeno”. Ha appoggiato la linea di Francesco su ambiente, migranti e poveri, e non ha fatto mancare dichiarazioni di rispetto verso le persone LGBT, ma nei fatti è rimasto saldo sul no a ordinazione femminile, matrimonio omosessuale e, naturalmente, benedizione delle coppie “irregolari”.
Nel 2024 aveva dichiarato che una Chiesa inclusiva non significa una Chiesa senza verità, sottolineando la necessità di accompagnare tutti “con carità e fermezza evangelica”. Tradotto: porte aperte, ma solo se non chiedi troppo. Non a caso aveva affermato che avrebbe negato la Comunione a Joe Biden, colpevole di sostenere il diritto all’aborto. Cioè: o la linea ufficiale o fuori.
Il motto scelto – In Illo uno unum (“In Colui che è uno, siamo uno”) – fa riferimento alla spiritualità agostiniana, che parla di unità, interiorità e comunità. Ma anche qui: nulla di realmente audace o destabilizzante. Il suo stile sembra tagliato su misura per garantire continuità nella calma apparente.
Certo, non mancano le ombre. Due vicende legate a casi di abusi sessuali del clero lo hanno toccato da vicino: una risalente ai primi anni 2000, quando – da provinciale a Chicago – ospitò un sacerdote già condannato per pedofilia; l’altra durante l’episcopato a Chiclayo, in Perù, dove venne criticato per la gestione poco trasparente di accuse interne. La difesa ufficiale? “Ha seguito le procedure”. Fine del discorso.
Nel frattempo, Donald Trump si è affrettato a congratularsi su X: “Grande onore per il nostro Paese”. Come se il Papa fosse un Oscar nazionale.
Ora resta da capire se con Leone XIV la Chiesa entrerà in una nuova fase o semplicemente continuerà a oscillare tra prudenza e sopravvivenza. Le intenzioni sono buone, ma l’impressione è che la rivoluzione sia ancora rimandata a data da destinarsi.
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08.05.202511:06
2025–2028: la grande resa dei conti – per Armstrong ci aspettano guerra, default e un nuovo ordine globale
Secondo Martin Armstrong, il 2025 segnerà l’inizio del collasso, ma sarà il 2028 l'anno dello schianto definitivo: il fondo della recessione globale, il momento in cui tutte le bolle – finanziarie, politiche e sociali – esploderanno contemporaneamente.
Il suo sistema predittivo “Socrates” prevede una depressione maggiore in Europa, una recessione violenta in Cina, e un’America scossa ma ancora in piedi, pronta ad accogliere i capitali in fuga da un’Europa in fiamme e in bancarotta.
Per Armstrong, il meccanismo è semplice e cinico: i governi lo sanno, sanno che il debito è impagabile, che la fiducia è finita, e che la gente li spazzerà via se non inventano un diversivo. E quel diversivo si chiama guerra. Il bersaglio è la Russia, troppo ricca di risorse e troppo resistente per non essere "riorganizzata". Secondo i contatti di Armstrong, l’élite europea pensa davvero di poterla smembrare e controllare. Ma sarà un boomerang: “La terza volta non sarà quella buona. L’Europa perderà, e l’euro scomparirà”.
La guerra in Ucraina, dice, esploderà dopo il 15 maggio 2025 e proseguirà fino al 2026, in una spirale che coinvolgerà Cina, Russia, NATO e forse anche India e Pakistan, con il rischio reale di un miliardo di morti e feriti.
Ma cosa accadrà dopo il 2028, quando la crisi avrà toccato il fondo?
Armstrong non promette salvezze facili. Prevede un reset sistemico:
l’abbandono di vecchi partiti politici, come la disgregazione dei Democratici USA,
l’ascesa di nuove potenze regionali,
nuove valute ancorate alle materie prime (oro, energia, risorse reali),
e una ridefinizione brutale delle alleanze geopolitiche.
Chi avrà riserve reali – energia, oro, terre rare – sopravvivrà. Chi avrà solo debiti e parole, sparirà dalla mappa del potere.
Il mondo post-2028, insomma, non sarà un ritorno alla normalità, ma l’inizio di un nuovo paradigma, dove gli imperi di carta saranno spazzati via. E questa volta, non ci sarà quantitative easing che tenga.
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Secondo Martin Armstrong, il 2025 segnerà l’inizio del collasso, ma sarà il 2028 l'anno dello schianto definitivo: il fondo della recessione globale, il momento in cui tutte le bolle – finanziarie, politiche e sociali – esploderanno contemporaneamente.
Il suo sistema predittivo “Socrates” prevede una depressione maggiore in Europa, una recessione violenta in Cina, e un’America scossa ma ancora in piedi, pronta ad accogliere i capitali in fuga da un’Europa in fiamme e in bancarotta.
Per Armstrong, il meccanismo è semplice e cinico: i governi lo sanno, sanno che il debito è impagabile, che la fiducia è finita, e che la gente li spazzerà via se non inventano un diversivo. E quel diversivo si chiama guerra. Il bersaglio è la Russia, troppo ricca di risorse e troppo resistente per non essere "riorganizzata". Secondo i contatti di Armstrong, l’élite europea pensa davvero di poterla smembrare e controllare. Ma sarà un boomerang: “La terza volta non sarà quella buona. L’Europa perderà, e l’euro scomparirà”.
La guerra in Ucraina, dice, esploderà dopo il 15 maggio 2025 e proseguirà fino al 2026, in una spirale che coinvolgerà Cina, Russia, NATO e forse anche India e Pakistan, con il rischio reale di un miliardo di morti e feriti.
Ma cosa accadrà dopo il 2028, quando la crisi avrà toccato il fondo?
Armstrong non promette salvezze facili. Prevede un reset sistemico:
l’abbandono di vecchi partiti politici, come la disgregazione dei Democratici USA,
l’ascesa di nuove potenze regionali,
nuove valute ancorate alle materie prime (oro, energia, risorse reali),
e una ridefinizione brutale delle alleanze geopolitiche.
Chi avrà riserve reali – energia, oro, terre rare – sopravvivrà. Chi avrà solo debiti e parole, sparirà dalla mappa del potere.
Il mondo post-2028, insomma, non sarà un ritorno alla normalità, ma l’inizio di un nuovo paradigma, dove gli imperi di carta saranno spazzati via. E questa volta, non ci sarà quantitative easing che tenga.
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07.05.202518:03
Cervelli in fuga e propaganda in giacca blu: l’UE scopre il talento, ma solo se è woke
Dopo decenni di sonno profondo sull’esodo dei propri giovani più brillanti verso lidi più meritocratici, l’Unione Europea si sveglia di colpo. Ma non per difendere il merito o invertire davvero la rotta: a muovere Bruxelles e Parigi è il solito riflesso ideologico. Con Trump che taglia i fondi alla ricerca americana più intrisa di “diversity, equity and inclusion”, Macron e Von der Leyen colgono la palla al balzo per lanciare il progetto “Choose Europe for Science”: un salvagente dorato per accademici globalisti e woke rimasti orfani di finanziamenti a stelle e strisce.
La sceneggiata, degna di un convegno ONU per influencer in cerca di finanziamento, si è consumata alla Sorbona, tra fanfare europeiste e promesse da 600 milioni di euro. Ma nessuno ha avvisato l’Italia, che ha scoperto solo all’ultimo minuto che l’evento non era un tè fra amici ma l’annuncio di un piano europeo che pretende di “trattenere” i cervelli… non proprio quelli italiani però, visto che siamo stati esclusi anche dal palco.
Il governo italiano — un po’ indignato, un po’ sorpreso — fa notare che mentre Parigi e Bruxelles fanno marketing geopolitico sotto mentite spoglie accademiche, Roma ha già lanciato (senza troppe fanfare) un bando da 50 milioni per riportare a casa i giovani emigrati. Ma il problema è enorme: oltre 690 mila giovani tra i 18 e i 34 anni hanno lasciato l’Italia negli ultimi 13 anni, spesso laureati o specializzati. Un’emorragia da 134 miliardi in capitale umano, con l’Italia fanalino di coda tra le mete più appetibili. E ora l’Europa, invece di risolvere il disastro sistemico, si dedica a reclutare personale per l’industria ideologica a trazione progressista, quella che Trump ha deciso di disinnescare.
Insomma, la battaglia non è per il sapere, ma per la narrativa. L’Europa non vuole tanto trattenere i cervelli, quanto riempirli delle idee giuste. E se poi parlano inglese con accento woke, meglio ancora.
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Dopo decenni di sonno profondo sull’esodo dei propri giovani più brillanti verso lidi più meritocratici, l’Unione Europea si sveglia di colpo. Ma non per difendere il merito o invertire davvero la rotta: a muovere Bruxelles e Parigi è il solito riflesso ideologico. Con Trump che taglia i fondi alla ricerca americana più intrisa di “diversity, equity and inclusion”, Macron e Von der Leyen colgono la palla al balzo per lanciare il progetto “Choose Europe for Science”: un salvagente dorato per accademici globalisti e woke rimasti orfani di finanziamenti a stelle e strisce.
La sceneggiata, degna di un convegno ONU per influencer in cerca di finanziamento, si è consumata alla Sorbona, tra fanfare europeiste e promesse da 600 milioni di euro. Ma nessuno ha avvisato l’Italia, che ha scoperto solo all’ultimo minuto che l’evento non era un tè fra amici ma l’annuncio di un piano europeo che pretende di “trattenere” i cervelli… non proprio quelli italiani però, visto che siamo stati esclusi anche dal palco.
Il governo italiano — un po’ indignato, un po’ sorpreso — fa notare che mentre Parigi e Bruxelles fanno marketing geopolitico sotto mentite spoglie accademiche, Roma ha già lanciato (senza troppe fanfare) un bando da 50 milioni per riportare a casa i giovani emigrati. Ma il problema è enorme: oltre 690 mila giovani tra i 18 e i 34 anni hanno lasciato l’Italia negli ultimi 13 anni, spesso laureati o specializzati. Un’emorragia da 134 miliardi in capitale umano, con l’Italia fanalino di coda tra le mete più appetibili. E ora l’Europa, invece di risolvere il disastro sistemico, si dedica a reclutare personale per l’industria ideologica a trazione progressista, quella che Trump ha deciso di disinnescare.
Insomma, la battaglia non è per il sapere, ma per la narrativa. L’Europa non vuole tanto trattenere i cervelli, quanto riempirli delle idee giuste. E se poi parlano inglese con accento woke, meglio ancora.
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07.05.202509:04
Credit Suisse: dalla Seconda Guerra Mondiale a Singapore, quando il crimine è istituzionale e la banca lo firma
Altro giro, altra multa da collezione nel casinò bancario globale. Stavolta tocca a Credit Suisse, che – come se il patteggiamento miliardario del 2014 non fosse bastato – ci ricasca, aiutando contribuenti americani a nascondere oltre 4 miliardi di dollari in conti offshore, stavolta a Singapore. Ma tranquilli: paga UBS, che ha inglobato il cadavere tossico nel 2023 e ora recita la parte della banca moralizzatrice: “Noi tolleranza zero per l’evasione”, dice, mentre firma senza vergogna l’ennesimo patteggiamento da 511 milioni di dollari.
Il Dipartimento di Giustizia USA parla chiaro: documenti falsi, donazioni fittizie, conti senza alcuna conformità fiscale e, ovviamente, banchieri che “non sapevano nulla”. Il solito copione. Il tutto in barba all’accordo del 2014 che teoricamente avrebbe dovuto chiudere la stagione del furto legalizzato. In pratica, hanno continuato fino al 2023. Solo dopo la fusione, UBS ha improvvisamente "scoperto" i conti illegali e si è affrettata ad autodenunciarsi, sperando in uno sconto comitiva.
Ma non è una novità. Credit Suisse è recidiva storica. Durante la Seconda Guerra Mondiale, la banca svizzera mantenne conti bancari legati al regime nazista, aiutando ufficiali delle SS e altre figure del Terzo Reich a conservare beni saccheggiati e a gestire transazioni illecite in tutta Europa. Secondo il Comitato per il Bilancio del Senato USA, alcuni di questi conti sono rimasti attivi fino al XXI secolo, e la banca ha attivamente nascosto informazioni su di essi.
Nel 1998, Credit Suisse ha dovuto sborsare 1,25 miliardi di dollari in un accordo con i sopravvissuti all’Olocausto, ma non ha mai raccontato tutta la verità: ha omesso di divulgare interamente il suo ruolo come cassaforte del Reich, e ha custodito conti e fondi di gerarchi nazisti per decenni.
Morale della favola? Nessuno va in galera. Nessun manager viene processato. Nessun politico si scandalizza davvero. Le banche sono i veri truffatori seriali. Non solo facilitano frodi fiscali e nascondono patrimoni di criminali, ma finanziano regimi, guerre e terrorismo, oggi come ieri. E poi pretendono anche di spiegarci cosa sia la “trasparenza”.
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Altro giro, altra multa da collezione nel casinò bancario globale. Stavolta tocca a Credit Suisse, che – come se il patteggiamento miliardario del 2014 non fosse bastato – ci ricasca, aiutando contribuenti americani a nascondere oltre 4 miliardi di dollari in conti offshore, stavolta a Singapore. Ma tranquilli: paga UBS, che ha inglobato il cadavere tossico nel 2023 e ora recita la parte della banca moralizzatrice: “Noi tolleranza zero per l’evasione”, dice, mentre firma senza vergogna l’ennesimo patteggiamento da 511 milioni di dollari.
Il Dipartimento di Giustizia USA parla chiaro: documenti falsi, donazioni fittizie, conti senza alcuna conformità fiscale e, ovviamente, banchieri che “non sapevano nulla”. Il solito copione. Il tutto in barba all’accordo del 2014 che teoricamente avrebbe dovuto chiudere la stagione del furto legalizzato. In pratica, hanno continuato fino al 2023. Solo dopo la fusione, UBS ha improvvisamente "scoperto" i conti illegali e si è affrettata ad autodenunciarsi, sperando in uno sconto comitiva.
Ma non è una novità. Credit Suisse è recidiva storica. Durante la Seconda Guerra Mondiale, la banca svizzera mantenne conti bancari legati al regime nazista, aiutando ufficiali delle SS e altre figure del Terzo Reich a conservare beni saccheggiati e a gestire transazioni illecite in tutta Europa. Secondo il Comitato per il Bilancio del Senato USA, alcuni di questi conti sono rimasti attivi fino al XXI secolo, e la banca ha attivamente nascosto informazioni su di essi.
Nel 1998, Credit Suisse ha dovuto sborsare 1,25 miliardi di dollari in un accordo con i sopravvissuti all’Olocausto, ma non ha mai raccontato tutta la verità: ha omesso di divulgare interamente il suo ruolo come cassaforte del Reich, e ha custodito conti e fondi di gerarchi nazisti per decenni.
Morale della favola? Nessuno va in galera. Nessun manager viene processato. Nessun politico si scandalizza davvero. Le banche sono i veri truffatori seriali. Non solo facilitano frodi fiscali e nascondono patrimoni di criminali, ma finanziano regimi, guerre e terrorismo, oggi come ieri. E poi pretendono anche di spiegarci cosa sia la “trasparenza”.
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06.05.202517:08
Poveri noi e poveri tedeschi. Friedrich Merz ce l’ha fatta solo al secondo turno, diventando il primo cancelliere tedesco della storia a fallire al primo tentativo. Eletto per il rotto della cuffia con 325 voti su 316 richiesti. Ottimo inizio per chi vorrebbe fare il duro d’Europa.
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09.05.202505:01
Il Movimento Sinarchico e la Religione del Nuovo Ordine Mondiale: Il Caso Astana
Nel sottosuolo della storia ufficiale si agita da oltre un secolo un progetto che ambisce a fondere politica, religione e potere economico in un’unica sintesi: il movimento sinarchico. Nato dalle ceneri dell’occultismo massonico francese, il sinarchismo non è una teoria, ma un piano d’azione, tracciato in documenti riservati come il Pacte Synarchique degli anni ’30, che proponevano l'eliminazione delle democrazie parlamentari a favore di una tecnocrazia autoritaria, guidata da élite illuminate e sovranazionali.
Se in passato le religioni servivano a delimitare identità e territori, nel progetto sinarchico diventano strumenti di sintesi e controllo. Il pluralismo teologico viene superato da un sincretismo funzionale: non la verità, ma la coesistenza apparente, finalizzata all’obbedienza globale. Non a caso, il cuore pulsante di questa religione mondialista ha trovato espressione architettonica ad Astana (oggi Nur-Sultan), capitale simbolo del nuovo ordine eurasiatico: una città costruita come tempio esoterico, in cui la Piramide della Pace ospita il Congresso dei Leader delle Religioni Mondiali e Tradizionali, organismo nato all'inizio degli anni 2000 ma concettualmente radicato nei congressi degli anni '90 sul federalismo mondiale e sulla "modialità", termine allora usato per definire la transizione verso un'unità planetaria, superando le sovranità e le ideologie nazionali.
Astana è quindi il manifesto visibile della fede sinarchica, dove religione, politica e simbolismo si fondono. Costruita nel Kazakistan centrale, su territori un tempo abitati da tribù turco-nomadi, rappresenta oggi la materializzazione di una visione globale in cui il sacro è assorbito dall’architettura del potere, funzionale a un progetto tecnospirituale di governance mondiale. La città è stata progettata secondo una simbologia esoterica precisa, con assi urbanistici che richiamano le linee della tradizione massonica e architetture rituali pensate per evocare armonia e sottomissione collettiva.
Nel cuore di questa simbologia si trova la Bayterek Tower, rappresentazione dell’albero cosmico e della ciclicità della storia, e il Palazzo Presidenziale in asse con la Piramide della Pace, a significare l’unione tra potere spirituale e secolare. La presenza simultanea di luoghi di culto, edifici amministrativi e simboli universali rappresenta un’anticipazione di ciò che il sinarchismo persegue: la religione dell’Umanità, unificata, post-metafisica e regolata da un’élite che opera “per il bene comune”.
Con la fine della Guerra Fredda e l'apparente tramonto delle ideologie, non è la pace ad aver trionfato, ma il loro superamento strategico. I conflitti si sono trasfigurati in guerre di cultura e guerre di religione, dove identità fluide e diritti contrapposti diventano armi di frammentazione. È in questo vuoto che la religione mondialista sinarchica si propone come sintesi salvifica: una fede post-dogmatica, cosmopolita, compatibile con la tecnocrazia, ecumenica solo nella forma, ma autoritaria nella sostanza.
L'Unione Europea stessa, nella sua genesi, porta l'impronta sinarchica, come sostenuto da alcune opere critiche come quella di Philippe de Villiers (J'ai tiré sur le fil du mensonge et tout est venu, 2019), che descrive il ruolo di figure chiave come Jean Monnet in un progetto tecnocratico sovranazionale ispirato a logiche non democratiche e potenzialmente sinarchiche. Più che un progetto di integrazione tra popoli, è stata concepita come un laboratorio post-statale, dove le decisioni cruciali vengono demandate a organi non eletti, fedeli a un’agenda di governo transnazionale, apparentemente razionale, ma intrisa di visione escatologica secolare. La “sintesi” finale non è solo politica: è spirituale. Non si tratta più di governare gli uomini, ma di riscriverne l’anima, portandoli dolcemente verso un’unica liturgia civile globale. Dalla Torre...https://t.me/carmen_tortora1
Nel sottosuolo della storia ufficiale si agita da oltre un secolo un progetto che ambisce a fondere politica, religione e potere economico in un’unica sintesi: il movimento sinarchico. Nato dalle ceneri dell’occultismo massonico francese, il sinarchismo non è una teoria, ma un piano d’azione, tracciato in documenti riservati come il Pacte Synarchique degli anni ’30, che proponevano l'eliminazione delle democrazie parlamentari a favore di una tecnocrazia autoritaria, guidata da élite illuminate e sovranazionali.
Se in passato le religioni servivano a delimitare identità e territori, nel progetto sinarchico diventano strumenti di sintesi e controllo. Il pluralismo teologico viene superato da un sincretismo funzionale: non la verità, ma la coesistenza apparente, finalizzata all’obbedienza globale. Non a caso, il cuore pulsante di questa religione mondialista ha trovato espressione architettonica ad Astana (oggi Nur-Sultan), capitale simbolo del nuovo ordine eurasiatico: una città costruita come tempio esoterico, in cui la Piramide della Pace ospita il Congresso dei Leader delle Religioni Mondiali e Tradizionali, organismo nato all'inizio degli anni 2000 ma concettualmente radicato nei congressi degli anni '90 sul federalismo mondiale e sulla "modialità", termine allora usato per definire la transizione verso un'unità planetaria, superando le sovranità e le ideologie nazionali.
Astana è quindi il manifesto visibile della fede sinarchica, dove religione, politica e simbolismo si fondono. Costruita nel Kazakistan centrale, su territori un tempo abitati da tribù turco-nomadi, rappresenta oggi la materializzazione di una visione globale in cui il sacro è assorbito dall’architettura del potere, funzionale a un progetto tecnospirituale di governance mondiale. La città è stata progettata secondo una simbologia esoterica precisa, con assi urbanistici che richiamano le linee della tradizione massonica e architetture rituali pensate per evocare armonia e sottomissione collettiva.
Nel cuore di questa simbologia si trova la Bayterek Tower, rappresentazione dell’albero cosmico e della ciclicità della storia, e il Palazzo Presidenziale in asse con la Piramide della Pace, a significare l’unione tra potere spirituale e secolare. La presenza simultanea di luoghi di culto, edifici amministrativi e simboli universali rappresenta un’anticipazione di ciò che il sinarchismo persegue: la religione dell’Umanità, unificata, post-metafisica e regolata da un’élite che opera “per il bene comune”.
Con la fine della Guerra Fredda e l'apparente tramonto delle ideologie, non è la pace ad aver trionfato, ma il loro superamento strategico. I conflitti si sono trasfigurati in guerre di cultura e guerre di religione, dove identità fluide e diritti contrapposti diventano armi di frammentazione. È in questo vuoto che la religione mondialista sinarchica si propone come sintesi salvifica: una fede post-dogmatica, cosmopolita, compatibile con la tecnocrazia, ecumenica solo nella forma, ma autoritaria nella sostanza.
L'Unione Europea stessa, nella sua genesi, porta l'impronta sinarchica, come sostenuto da alcune opere critiche come quella di Philippe de Villiers (J'ai tiré sur le fil du mensonge et tout est venu, 2019), che descrive il ruolo di figure chiave come Jean Monnet in un progetto tecnocratico sovranazionale ispirato a logiche non democratiche e potenzialmente sinarchiche. Più che un progetto di integrazione tra popoli, è stata concepita come un laboratorio post-statale, dove le decisioni cruciali vengono demandate a organi non eletti, fedeli a un’agenda di governo transnazionale, apparentemente razionale, ma intrisa di visione escatologica secolare. La “sintesi” finale non è solo politica: è spirituale. Non si tratta più di governare gli uomini, ma di riscriverne l’anima, portandoli dolcemente verso un’unica liturgia civile globale. Dalla Torre...https://t.me/carmen_tortora1
08.05.202518:04
The Big Catch-up”: Chelsea Clinton suona la campana del Grande Recupero vaccinale (che nessuno ha chiesto)
Chelsea Clinton è tornata a fare la voce grossa nel teatro della salute globale, proclamando con solennità l’inizio del “Grande Recupero” in materia di vaccinazioni. La nuova crociata, battezzata “The Big Catch-up”, nasce in collaborazione con i soliti noti: OMS, UNICEF, Gavi, la Fondazione Gates e tutta la compagnia dell’immunizzazione a tappeto.
Il pretesto? Una “preoccupazione profonda” per l’esitazione vaccinale e per l’intollerabile rifiuto della scienza che – a sentire Clinton – si starebbe diffondendo come un virus nella mente delle masse, soprattutto da quel famigerato gennaio 2020, quando la fiducia cieca in scienziati ed esperti ha cominciato a sgretolarsi sotto il peso delle loro stesse contraddizioni. Ma anziché chiedersi perché la fiducia è crollata, Clinton preferisce mobilitare il carro armato mediatico della “ricostruzione”.
A dar fastidio, evidentemente, è il fatto che troppe persone non si inchinano più all’altare della Scienza™ con la “S” maiuscola. Persone che mettono in dubbio la narrazione unica, che osano parlare di effetti avversi, che ricordano le pressioni, le menzogne, le imposizioni camuffate da “protezione”. Un affronto intollerabile per chi pensa che il progresso si misuri in dosi somministrate.
Clinton, con tono paternalistico, ha anche bacchettato le iniziative politiche che cercano di ridurre i poteri emergenziali delle agenzie sanitarie, perché si sa: quando il popolo pretende di riprendersi un minimo di sovranità, per loro è sempre “un problema da risolvere”. Ha poi esortato il settore privato a comunicare meglio i dogmi scientifici, magari con un bel packaging narrativo, ammettendo candidamente che sì, la scienza è incerta — ma guai a dirlo troppo forte, altrimenti la gente potrebbe iniziare a pensare.
“The Big Catch-up”, ci viene detto, sarà il più grande sforzo di vaccinazione infantile della storia. Una marcia globale all’insegna del “riacchiappare” tutti quei bambini sfuggiti all’ago in tempi di lockdown, sospensione, o semplice rifiuto dei genitori. E tutto, ovviamente, per il loro bene. Come sempre.
Il video dell’intervento è stato pubblicato su X (ex Twitter), scatenando l’ovvia polarizzazione: da un lato gli irriducibili della fede vaccinale, dall’altro chi ormai ha capito che dietro parole come “salute pubblica” e “preparazione globale” si cela una precisa architettura di potere, controllo e conformismo obbligatorio.
In sintesi, il “Grande Recupero” non è altro che l’ennesimo tentativo di rimettere in riga un’umanità sempre meno obbediente, e che – nonostante la propaganda – comincia finalmente a farsi domande. Ma per i Clinton, i Gates e i plenipotenziari dell’OMS, la libertà di pensiero è solo un bug del sistema. Da correggere. Urgentemente.
Per restare sempre in contatto senza censure, seguite il mio canale Telegram: https://t.me/carmen_tortora1
Chelsea Clinton è tornata a fare la voce grossa nel teatro della salute globale, proclamando con solennità l’inizio del “Grande Recupero” in materia di vaccinazioni. La nuova crociata, battezzata “The Big Catch-up”, nasce in collaborazione con i soliti noti: OMS, UNICEF, Gavi, la Fondazione Gates e tutta la compagnia dell’immunizzazione a tappeto.
Il pretesto? Una “preoccupazione profonda” per l’esitazione vaccinale e per l’intollerabile rifiuto della scienza che – a sentire Clinton – si starebbe diffondendo come un virus nella mente delle masse, soprattutto da quel famigerato gennaio 2020, quando la fiducia cieca in scienziati ed esperti ha cominciato a sgretolarsi sotto il peso delle loro stesse contraddizioni. Ma anziché chiedersi perché la fiducia è crollata, Clinton preferisce mobilitare il carro armato mediatico della “ricostruzione”.
A dar fastidio, evidentemente, è il fatto che troppe persone non si inchinano più all’altare della Scienza™ con la “S” maiuscola. Persone che mettono in dubbio la narrazione unica, che osano parlare di effetti avversi, che ricordano le pressioni, le menzogne, le imposizioni camuffate da “protezione”. Un affronto intollerabile per chi pensa che il progresso si misuri in dosi somministrate.
Clinton, con tono paternalistico, ha anche bacchettato le iniziative politiche che cercano di ridurre i poteri emergenziali delle agenzie sanitarie, perché si sa: quando il popolo pretende di riprendersi un minimo di sovranità, per loro è sempre “un problema da risolvere”. Ha poi esortato il settore privato a comunicare meglio i dogmi scientifici, magari con un bel packaging narrativo, ammettendo candidamente che sì, la scienza è incerta — ma guai a dirlo troppo forte, altrimenti la gente potrebbe iniziare a pensare.
“The Big Catch-up”, ci viene detto, sarà il più grande sforzo di vaccinazione infantile della storia. Una marcia globale all’insegna del “riacchiappare” tutti quei bambini sfuggiti all’ago in tempi di lockdown, sospensione, o semplice rifiuto dei genitori. E tutto, ovviamente, per il loro bene. Come sempre.
Il video dell’intervento è stato pubblicato su X (ex Twitter), scatenando l’ovvia polarizzazione: da un lato gli irriducibili della fede vaccinale, dall’altro chi ormai ha capito che dietro parole come “salute pubblica” e “preparazione globale” si cela una precisa architettura di potere, controllo e conformismo obbligatorio.
In sintesi, il “Grande Recupero” non è altro che l’ennesimo tentativo di rimettere in riga un’umanità sempre meno obbediente, e che – nonostante la propaganda – comincia finalmente a farsi domande. Ma per i Clinton, i Gates e i plenipotenziari dell’OMS, la libertà di pensiero è solo un bug del sistema. Da correggere. Urgentemente.
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08.05.202507:53
"Se esiste anche solo un dubbio, è nostro dovere indagare. Per il bene dei nostri figli. Per un futuro libero dalla paura e pieno di verità. E per fare finalmente giustizia verso milioni di danneggiati. È evidente che le cause dell’autismo sono complesse e non ancora completamente comprese: la ricerca suggerisce una combinazione di fattori genetici, neurobiologici e, in alcuni casi, ambientali. Ma proprio perché la scienza stessa ammette di non avere ancora certezze assolute, aprire nuovi studi sui vaccini è non solo legittimo, ma necessario" - di Pietro Di Martino.
Per leggere l'articolo completo, clicca qui: https://sfero.me/article/kennedy-vaccini-autismo-coraggio-approfondire
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07.05.202515:02
Londra prepara la guerra immaginaria: bunker, bugie e déjà-vu imperiali
Nel Regno Unito si respira di nuovo l’aria stantia dei tempi peggiori, quelli in cui si fabbricano conflitti prima nei gabinetti ministeriali che sui campi di battaglia. Con il governo Starmer in affanno, il Telegraph annuncia con tono grave che la Russia potrebbe attaccare direttamente la patria. Prove? Nessuna. Ma la macchina propagandistica funziona a pieno regime, proprio come alla vigilia delle due guerre mondiali.
È sempre lo stesso copione: creare il nemico assoluto, agitare lo spettro dell’invasione, costruire consenso attorno a piani “di emergenza” che, guarda caso, giustificano spese militari record e limitazioni civili. I bunker sono pronti, come nel 1939. I piani segreti si aggiornano, come nel 1914. E anche i media si prestano al gioco, evocando scenari catastrofici per galvanizzare un’opinione pubblica ormai stanca, ma facilmente manipolabile.
Il nuovo “piano di difesa” del governo britannico prevede di tutto: cyberattacchi, sabotaggi, blackout, distruzione delle ferrovie e della TV pubblica, fino all’evacuazione dei ministri nei bunker antiatomici. Perfino una “Cupola di Ferro” all’inglese per pararsi da un attacco missilistico che, manco a dirlo, non esiste. Una riproposizione aggiornata del “preparatevi” lanciato da Churchill nel ’40, ma senza nemici reali all’orizzonte.
E per alimentare ancora un po’ la farsa, arrivano i dettagli su presunti “sensori spia russi” rinvenuti nelle acque territoriali britanniche: secondo New York Post, servirebbero a monitorare i sottomarini nucleari di Sua Maestà. Il sospetto, ovviamente, diventa certezza nei titoli, e il clima da caccia alla talpa assume toni grotteschi.
La Russia, ovviamente, parla di provocazione. La Germania sbuffa e chiede moderazione. Ma intanto la paura è già penetrata nelle coscienze: secondo YouGov, il 55% dei britannici teme una guerra mondiale entro i prossimi dieci anni. Percentuali simili anche in Francia, Italia, Spagna, Germania e negli stessi Stati Uniti. Esattamente come nel 1913 e nel 1938: si fabbrica l’incubo e lo si semina con metodo.
Così, mentre i veri pericoli vengono ignorati, l’Occidente si avvita nella sua solita spirale bellica: sanzioni, arsenali, propaganda. Il tutto condito con il linguaggio dei “valori da difendere” e del “pericolo autoritario”. In realtà è solo un vecchio trucco imperiale per mantenere il controllo, rafforzare l’apparato di sicurezza e soffocare il dissenso.
La storia non si ripete, ma si copia. Male, e con arroganza. E stavolta, senza nemmeno il coraggio di dichiarare guerra apertamente.
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Nel Regno Unito si respira di nuovo l’aria stantia dei tempi peggiori, quelli in cui si fabbricano conflitti prima nei gabinetti ministeriali che sui campi di battaglia. Con il governo Starmer in affanno, il Telegraph annuncia con tono grave che la Russia potrebbe attaccare direttamente la patria. Prove? Nessuna. Ma la macchina propagandistica funziona a pieno regime, proprio come alla vigilia delle due guerre mondiali.
È sempre lo stesso copione: creare il nemico assoluto, agitare lo spettro dell’invasione, costruire consenso attorno a piani “di emergenza” che, guarda caso, giustificano spese militari record e limitazioni civili. I bunker sono pronti, come nel 1939. I piani segreti si aggiornano, come nel 1914. E anche i media si prestano al gioco, evocando scenari catastrofici per galvanizzare un’opinione pubblica ormai stanca, ma facilmente manipolabile.
Il nuovo “piano di difesa” del governo britannico prevede di tutto: cyberattacchi, sabotaggi, blackout, distruzione delle ferrovie e della TV pubblica, fino all’evacuazione dei ministri nei bunker antiatomici. Perfino una “Cupola di Ferro” all’inglese per pararsi da un attacco missilistico che, manco a dirlo, non esiste. Una riproposizione aggiornata del “preparatevi” lanciato da Churchill nel ’40, ma senza nemici reali all’orizzonte.
E per alimentare ancora un po’ la farsa, arrivano i dettagli su presunti “sensori spia russi” rinvenuti nelle acque territoriali britanniche: secondo New York Post, servirebbero a monitorare i sottomarini nucleari di Sua Maestà. Il sospetto, ovviamente, diventa certezza nei titoli, e il clima da caccia alla talpa assume toni grotteschi.
La Russia, ovviamente, parla di provocazione. La Germania sbuffa e chiede moderazione. Ma intanto la paura è già penetrata nelle coscienze: secondo YouGov, il 55% dei britannici teme una guerra mondiale entro i prossimi dieci anni. Percentuali simili anche in Francia, Italia, Spagna, Germania e negli stessi Stati Uniti. Esattamente come nel 1913 e nel 1938: si fabbrica l’incubo e lo si semina con metodo.
Così, mentre i veri pericoli vengono ignorati, l’Occidente si avvita nella sua solita spirale bellica: sanzioni, arsenali, propaganda. Il tutto condito con il linguaggio dei “valori da difendere” e del “pericolo autoritario”. In realtà è solo un vecchio trucco imperiale per mantenere il controllo, rafforzare l’apparato di sicurezza e soffocare il dissenso.
La storia non si ripete, ma si copia. Male, e con arroganza. E stavolta, senza nemmeno il coraggio di dichiarare guerra apertamente.
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07.05.202507:04
Picierno contro la libertà di stampa: la moralista con lo scheletro nel tailleur
Pina Picierno, vicepresidente del Parlamento Europeo e volto impomatato del Partito Democratico, ha avuto l’illuminante idea di presentare un’interrogazione alla Commissione UE contro Byoblu. La colpa? Aver ospitato il giornalista russo Vladimir Solovyev. Secondo la Picierno, si tratterebbe nientemeno che di “propaganda del Cremlino”. E dunque, giù con l’accusa di violazione delle sanzioni UE.
Peccato che la stessa Picierno sia quella che pochi mesi fa ha partecipato di nascosto a un incontro con l’Israel Defense and Security Forum (IDSF), un think tank israeliano di estrema destra noto per sostenere insediamenti illegali nei territori occupati. Incontro non dichiarato, avvenuto nel novembre 2024, e rivelato solo dopo uno scandalo internazionale. Ma a quanto pare, se l’estremismo è pro-Israele e non pro-Russia, allora va tutto bene.
Insomma, coerenza a targhe alterne: si attacca una piattaforma scomoda in nome dell’antiputinismo di facciata, mentre si coltivano rapporti oscuri e si portano dietro ombre diplomatiche. Ma a Bruxelles, si sa, la doppia morale è pane quotidiano.
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Pina Picierno, vicepresidente del Parlamento Europeo e volto impomatato del Partito Democratico, ha avuto l’illuminante idea di presentare un’interrogazione alla Commissione UE contro Byoblu. La colpa? Aver ospitato il giornalista russo Vladimir Solovyev. Secondo la Picierno, si tratterebbe nientemeno che di “propaganda del Cremlino”. E dunque, giù con l’accusa di violazione delle sanzioni UE.
Peccato che la stessa Picierno sia quella che pochi mesi fa ha partecipato di nascosto a un incontro con l’Israel Defense and Security Forum (IDSF), un think tank israeliano di estrema destra noto per sostenere insediamenti illegali nei territori occupati. Incontro non dichiarato, avvenuto nel novembre 2024, e rivelato solo dopo uno scandalo internazionale. Ma a quanto pare, se l’estremismo è pro-Israele e non pro-Russia, allora va tutto bene.
Insomma, coerenza a targhe alterne: si attacca una piattaforma scomoda in nome dell’antiputinismo di facciata, mentre si coltivano rapporti oscuri e si portano dietro ombre diplomatiche. Ma a Bruxelles, si sa, la doppia morale è pane quotidiano.
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04.05.202519:29
Per chi non l’avesse vista, vi ripropongo la chiacchierata che ho fatto con Mat del canale Telegram "NoDigitalMan".
Le valute digitali delle banche centrali (CBDC) stanno per cambiare per sempre il nostro rapporto con il denaro.Ma dietro la facciata della “modernizzazione” si nasconde un progetto di controllo totale?
In questo video sveliamo il lato oscuro delle CBDC, tra:
sorveglianza finanziaria,
restrizioni sulle spese,
e il rischio di una nuova forma di schiavitù digitale.
https://www.youtube.com/watch?v=6gnVxS6VP5Q
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Le valute digitali delle banche centrali (CBDC) stanno per cambiare per sempre il nostro rapporto con il denaro.Ma dietro la facciata della “modernizzazione” si nasconde un progetto di controllo totale?
In questo video sveliamo il lato oscuro delle CBDC, tra:
sorveglianza finanziaria,
restrizioni sulle spese,
e il rischio di una nuova forma di schiavitù digitale.
https://www.youtube.com/watch?v=6gnVxS6VP5Q
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09.05.202505:01
Dalla Torre di Babele alle torri gemelle, ogni simbolo ha la sua funzione nella narrazione sinarchica. E nella corsa verso un ordine mondiale tecnospirituale, Astana emerge come stazione chiave di una nuova via iniziatica per il potere globale, dove il sacro non viene più temuto, ma amministrato.
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08.05.202515:07
Vision Zero, la favola del traffico sicuro si schianta a Bologna: più incidenti, più controllo, zero risultati
Nata in Svezia negli anni ’90, Vision Zero è l’utopia tecnocratica secondo cui bisognerebbe azzerare i morti e i feriti gravi sulle strade, trasformando le città in spazi a misura di pedone, ciclista e, in prospettiva, auto senza conducente. Un obiettivo nobile in apparenza, ma che nella realtà si sta traducendo in una manovra di ingegneria sociale, dove il cittadino deve abituarsi a camminare, obbedire e farsi tracciare.
Il modello, sposato da organismi sovranazionali e calato nei piani urbanistici europei attraverso l’Agenda 2030, è ormai una direttrice obbligata: città a velocità ridotta, capillarità dei mezzi pubblici, eliminazione progressiva dell’auto privata, raccolta continua di dati, sorveglianza digitale e controllo predittivo della mobilità. Si chiama sostenibilità, ma assomiglia sempre di più a una rieducazione forzata dello spazio urbano.
Bologna è il laboratorio italiano di questo esperimento. Con il progetto “Città 30” – ovvero limiti di velocità generalizzati a 30 km/h, piste ciclabili ovunque, carreggiate ristrette, marciapiedi più larghi e controlli elettronici a tappeto – il Comune sperava di dare il buon esempio. Ma mentre i tecnocrati sognano città "smart" e senza auto, la realtà li ha svegliati di colpo: incidenti gravi continuano a verificarsi anche dove le regole sono già in vigore.
Un uomo investito da un furgone su un attraversamento ciclabile. Un’anziana travolta da una moto sulle strisce. Un ciclista colpito a un incrocio. Tre casi gravi in meno di due settimane. E i promotori di Bologna30, piuttosto che rivedere il modello, chiedono più dossi, più telelaser, più infovelox e più restringimenti, come se la sorveglianza fosse la panacea di ogni male.
Il punto è chiaro: Vision Zero non è mai stato solo un piano per la sicurezza. È un piano per il controllo totale della mobilità. Limitare la libertà di movimento, disincentivare l’uso dell’auto privata, preparare la transizione a un mondo dove ci si sposta solo su mezzi pubblici o in veicoli automatizzati connessi in tempo reale con la centrale di comando.
E intanto, i cittadini continuano a farsi male. Ma guai a dire che Vision Zero è un fallimento: la colpa sarà sempre vostra, mai del sistema.
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Nata in Svezia negli anni ’90, Vision Zero è l’utopia tecnocratica secondo cui bisognerebbe azzerare i morti e i feriti gravi sulle strade, trasformando le città in spazi a misura di pedone, ciclista e, in prospettiva, auto senza conducente. Un obiettivo nobile in apparenza, ma che nella realtà si sta traducendo in una manovra di ingegneria sociale, dove il cittadino deve abituarsi a camminare, obbedire e farsi tracciare.
Il modello, sposato da organismi sovranazionali e calato nei piani urbanistici europei attraverso l’Agenda 2030, è ormai una direttrice obbligata: città a velocità ridotta, capillarità dei mezzi pubblici, eliminazione progressiva dell’auto privata, raccolta continua di dati, sorveglianza digitale e controllo predittivo della mobilità. Si chiama sostenibilità, ma assomiglia sempre di più a una rieducazione forzata dello spazio urbano.
Bologna è il laboratorio italiano di questo esperimento. Con il progetto “Città 30” – ovvero limiti di velocità generalizzati a 30 km/h, piste ciclabili ovunque, carreggiate ristrette, marciapiedi più larghi e controlli elettronici a tappeto – il Comune sperava di dare il buon esempio. Ma mentre i tecnocrati sognano città "smart" e senza auto, la realtà li ha svegliati di colpo: incidenti gravi continuano a verificarsi anche dove le regole sono già in vigore.
Un uomo investito da un furgone su un attraversamento ciclabile. Un’anziana travolta da una moto sulle strisce. Un ciclista colpito a un incrocio. Tre casi gravi in meno di due settimane. E i promotori di Bologna30, piuttosto che rivedere il modello, chiedono più dossi, più telelaser, più infovelox e più restringimenti, come se la sorveglianza fosse la panacea di ogni male.
Il punto è chiaro: Vision Zero non è mai stato solo un piano per la sicurezza. È un piano per il controllo totale della mobilità. Limitare la libertà di movimento, disincentivare l’uso dell’auto privata, preparare la transizione a un mondo dove ci si sposta solo su mezzi pubblici o in veicoli automatizzati connessi in tempo reale con la centrale di comando.
E intanto, i cittadini continuano a farsi male. Ma guai a dire che Vision Zero è un fallimento: la colpa sarà sempre vostra, mai del sistema.
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08.05.202505:05
Il villaggio globale vi guarda dall’alto: benvenuti nella gabbia orbitale
Ci hanno venduto il sogno di un “villaggio globale”, dove saremmo stati tutti connessi, collaborativi, parte di una grande famiglia planetaria unita dalla tecnologia. Marshall McLuhan parlava di estensione dei sensi, di empatia elettronica. Klaus Schwab e soci, invece, l’hanno trasformato in un incubo tecnocratico impacchettato come progresso: un mondo iperconnesso, sì, ma sotto osservazione perenne. Un panopticon digitale dove tu sei sempre il sorvegliato, mai il sorvegliante.
Il Progetto Blackjack della DARPA è la perfetta incarnazione di questa mutazione. Altro che condivisione globale: qui si parla di costruire una rete orbitale di controllo militare. Una costellazione di piccoli satelliti in orbita bassa, capaci di processare dati direttamente dallo spazio, connessi tra loro, autonomi, sempre attivi. Altro che infrastruttura civile: questa è una griglia di sorveglianza militare planetaria mascherata da innovazione.
I satelliti Blackjack non si limiteranno a guardare: capteranno segnali, tracceranno movimenti, rileveranno lanci missilistici, gestiranno comunicazioni criptate e invieranno tutto – già elaborato – ai centri di comando. E se qualcosa va storto? Nessun problema: la rete è ridondante, resiliente, pronta a coprire ogni falla. E mentre ci dicono che la sicurezza è il fine ultimo, ciò che stanno realmente costruendo è una macchina orbitale di dominio continuo.
I satelliti LEO scelti dalla DARPA, piccoli e leggeri, costano poco, si lanciano in massa, reagiscono in tempo reale e, soprattutto, sono ovunque. Il primo test ne prevede una ventina, ma il piano è arrivare a duecento e oltre. Ognuno sarà un nodo di una rete pensante, dove il centro operativo, con poche persone, potrà lasciarli funzionare anche per un mese in totale autonomia. Nessun bisogno di intervento umano. L’intelligenza orbitante decide. Elabora. Agisce.
Così, mentre ci intrattengono con discorsi zuccherosi sulla "transizione digitale" e "l’umanità interconnessa", ci stanno chiudendo in una gabbia senza sbarre, dove ogni gesto può essere osservato, archiviato, valutato. Il villaggio globale è diventato un laboratorio sorvegliato. La sua piazza virtuale è piena di occhi che non puoi vedere. E no, non si tratta di cospirazione: è tutto scritto nei documenti ufficiali, nei contratti con Lockheed Martin, nei programmi DARPA.
È la governance algoritmica del pianeta, fatta non da popoli che cooperano, ma da sensori, calcoli predittivi, e occhi elettronici in orbita che vegliano su un’umanità trattata come biomassa da monitorare. Nessuno ha chiesto il permesso. Nessuno ha votato. Ma ci siete dentro. E anche se non li vedete, loro stanno guardando voi.
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Ci hanno venduto il sogno di un “villaggio globale”, dove saremmo stati tutti connessi, collaborativi, parte di una grande famiglia planetaria unita dalla tecnologia. Marshall McLuhan parlava di estensione dei sensi, di empatia elettronica. Klaus Schwab e soci, invece, l’hanno trasformato in un incubo tecnocratico impacchettato come progresso: un mondo iperconnesso, sì, ma sotto osservazione perenne. Un panopticon digitale dove tu sei sempre il sorvegliato, mai il sorvegliante.
Il Progetto Blackjack della DARPA è la perfetta incarnazione di questa mutazione. Altro che condivisione globale: qui si parla di costruire una rete orbitale di controllo militare. Una costellazione di piccoli satelliti in orbita bassa, capaci di processare dati direttamente dallo spazio, connessi tra loro, autonomi, sempre attivi. Altro che infrastruttura civile: questa è una griglia di sorveglianza militare planetaria mascherata da innovazione.
I satelliti Blackjack non si limiteranno a guardare: capteranno segnali, tracceranno movimenti, rileveranno lanci missilistici, gestiranno comunicazioni criptate e invieranno tutto – già elaborato – ai centri di comando. E se qualcosa va storto? Nessun problema: la rete è ridondante, resiliente, pronta a coprire ogni falla. E mentre ci dicono che la sicurezza è il fine ultimo, ciò che stanno realmente costruendo è una macchina orbitale di dominio continuo.
I satelliti LEO scelti dalla DARPA, piccoli e leggeri, costano poco, si lanciano in massa, reagiscono in tempo reale e, soprattutto, sono ovunque. Il primo test ne prevede una ventina, ma il piano è arrivare a duecento e oltre. Ognuno sarà un nodo di una rete pensante, dove il centro operativo, con poche persone, potrà lasciarli funzionare anche per un mese in totale autonomia. Nessun bisogno di intervento umano. L’intelligenza orbitante decide. Elabora. Agisce.
Così, mentre ci intrattengono con discorsi zuccherosi sulla "transizione digitale" e "l’umanità interconnessa", ci stanno chiudendo in una gabbia senza sbarre, dove ogni gesto può essere osservato, archiviato, valutato. Il villaggio globale è diventato un laboratorio sorvegliato. La sua piazza virtuale è piena di occhi che non puoi vedere. E no, non si tratta di cospirazione: è tutto scritto nei documenti ufficiali, nei contratti con Lockheed Martin, nei programmi DARPA.
È la governance algoritmica del pianeta, fatta non da popoli che cooperano, ma da sensori, calcoli predittivi, e occhi elettronici in orbita che vegliano su un’umanità trattata come biomassa da monitorare. Nessuno ha chiesto il permesso. Nessuno ha votato. Ma ci siete dentro. E anche se non li vedete, loro stanno guardando voi.
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07.05.202511:02
Ordine Globale in Frantumi: bugie, bombe e bandiere bruciate
Trump proclama a gran voce la fine degli attacchi agli Houthi, sbandierando una resa che nessuno ha visto. In realtà, è solo l’ennesima ritirata strategica spacciata per vittoria, dopo mesi di bombardamenti falliti e miliardi evaporati nel Mar Rosso. I colloqui segreti mediati dall’Oman, svelati dalla CNN, dicono la verità: Washington ha perso e cerca un’uscita di scena decorosa, con tanto di fanfara e polvere negli occhi dell’opinione pubblica.
Gli Houthi non solo non si arrendono, ma alzano la posta. Le operazioni nel Mar Rosso continueranno finché Gaza non sarà liberata. Israele, lasciato libero di agire, continua a mietere vittime tra i civili: il 6 maggio, due bombardamenti consecutivi su una scuola-rifugio a al-Bureij hanno ucciso 31 persone, tra cui molti bambini. La solita scusa: “centro di comando di Hamas”. Ma a morire, ancora una volta, sono gli innocenti.
Poi arriva il colpo di teatro: Netanyahu annuncia un “nuovo piano” per Gaza. Tradotto: invasione, deportazione dei civili e smantellamento dell’ONU nella gestione degli aiuti. Al suo posto? Aziende private, ovviamente sotto bandiera USA. Smotrich, ministro delle Finanze, gongola e proclama orgoglioso l’“occupazione duratura”. Maschere cadute, apartheid in diretta mondiale.
Le Nazioni Unite parlano di catastrofe imminente. L’Unione Europea, come da copione, balbetta qualche parola “preoccupata” tra un cocktail e l’altro a Bruxelles, salvo poi continuare a vendere armi, finanziare ONG “umanitarie” e firmare accordi con chi bombarda ospedali. La Francia osa timidamente parlare di violazioni del diritto internazionale, ma il resto dell’UE preferisce il silenzio. L’Europa, ancora una volta, si rivela vassalla pavida: incapace di opporsi, pronta solo a ratificare i disastri altrui.
Hamas taglia i ponti. E dentro Israele monta la rabbia: proteste, ostaggi dimenticati, e un governo che ignora tutto mentre la guerra dilaga.
E mentre Gaza brucia, Israele esporta il caos in Yemen. L’annuncio arriva secco: “Evacuate subito l’aeroporto di Sanaa. Stiamo per attaccare”. Ed è esattamente ciò che accade. Il terminal viene raso al suolo, i voli sospesi. Poi tocca alla centrale elettrica di Dhabban e alla fabbrica di cemento di Amran. Gli Houthi, armati dall’Iran, replicano con minacce apocalittiche: “Faremo saltare i vostri reattori nucleari.”
Nel frattempo, il Pentagono regala un altro episodio da farsa bellica: un caccia F/A-18 Super Hornet finisce in mare per un “guasto ai freni”. Piloti espulsi, aereo perduto, credibilità sotto il livello del mare.
In Sudan si rompe l’ultima parvenza di diplomazia: Khartoum accusa apertamente gli Emirati Arabi Uniti di essere “Stato aggressore” per aver armato i ribelli e bombardato infrastrutture civili. L’ennesimo “partner per la pace” che si rivela sponsor del caos.
E nel subcontinente indiano il termometro segna guerra. L’India lancia l’operazione “Sindoor”, nove raid in Pakistan, 24 morti confermati, 70 “militanti eliminati” secondo New Delhi. Il Pakistan risponde con missili, chiude lo spazio aereo, e la polveriera nucleare trabocca. Ma tutti fanno finta di niente.
Israele intanto non si ferma: colpisce anche Libano e Siria. L’Iran minaccia ritorsioni. L’intero Medio Oriente rischia di saltare in aria mentre a Washington si gioca a Risiko con la benzina in mano e Bruxelles si limita a commentare, indignata ma complice.
Negli Stati Uniti, intanto, esplodono i campus universitari. Washington University in fiamme, occupazioni, slogan, fuochi accesi: gli studenti protestano contro la complicità delle loro università con Israele e il massacro a Gaza. La gioventù americana si ribella, mentre la politica si copre le orecchie e continua a finanziare l’orrore.
E la Casa Bianca? ...
Telegram: https://t.me/carmen_tortora1
Trump proclama a gran voce la fine degli attacchi agli Houthi, sbandierando una resa che nessuno ha visto. In realtà, è solo l’ennesima ritirata strategica spacciata per vittoria, dopo mesi di bombardamenti falliti e miliardi evaporati nel Mar Rosso. I colloqui segreti mediati dall’Oman, svelati dalla CNN, dicono la verità: Washington ha perso e cerca un’uscita di scena decorosa, con tanto di fanfara e polvere negli occhi dell’opinione pubblica.
Gli Houthi non solo non si arrendono, ma alzano la posta. Le operazioni nel Mar Rosso continueranno finché Gaza non sarà liberata. Israele, lasciato libero di agire, continua a mietere vittime tra i civili: il 6 maggio, due bombardamenti consecutivi su una scuola-rifugio a al-Bureij hanno ucciso 31 persone, tra cui molti bambini. La solita scusa: “centro di comando di Hamas”. Ma a morire, ancora una volta, sono gli innocenti.
Poi arriva il colpo di teatro: Netanyahu annuncia un “nuovo piano” per Gaza. Tradotto: invasione, deportazione dei civili e smantellamento dell’ONU nella gestione degli aiuti. Al suo posto? Aziende private, ovviamente sotto bandiera USA. Smotrich, ministro delle Finanze, gongola e proclama orgoglioso l’“occupazione duratura”. Maschere cadute, apartheid in diretta mondiale.
Le Nazioni Unite parlano di catastrofe imminente. L’Unione Europea, come da copione, balbetta qualche parola “preoccupata” tra un cocktail e l’altro a Bruxelles, salvo poi continuare a vendere armi, finanziare ONG “umanitarie” e firmare accordi con chi bombarda ospedali. La Francia osa timidamente parlare di violazioni del diritto internazionale, ma il resto dell’UE preferisce il silenzio. L’Europa, ancora una volta, si rivela vassalla pavida: incapace di opporsi, pronta solo a ratificare i disastri altrui.
Hamas taglia i ponti. E dentro Israele monta la rabbia: proteste, ostaggi dimenticati, e un governo che ignora tutto mentre la guerra dilaga.
E mentre Gaza brucia, Israele esporta il caos in Yemen. L’annuncio arriva secco: “Evacuate subito l’aeroporto di Sanaa. Stiamo per attaccare”. Ed è esattamente ciò che accade. Il terminal viene raso al suolo, i voli sospesi. Poi tocca alla centrale elettrica di Dhabban e alla fabbrica di cemento di Amran. Gli Houthi, armati dall’Iran, replicano con minacce apocalittiche: “Faremo saltare i vostri reattori nucleari.”
Nel frattempo, il Pentagono regala un altro episodio da farsa bellica: un caccia F/A-18 Super Hornet finisce in mare per un “guasto ai freni”. Piloti espulsi, aereo perduto, credibilità sotto il livello del mare.
In Sudan si rompe l’ultima parvenza di diplomazia: Khartoum accusa apertamente gli Emirati Arabi Uniti di essere “Stato aggressore” per aver armato i ribelli e bombardato infrastrutture civili. L’ennesimo “partner per la pace” che si rivela sponsor del caos.
E nel subcontinente indiano il termometro segna guerra. L’India lancia l’operazione “Sindoor”, nove raid in Pakistan, 24 morti confermati, 70 “militanti eliminati” secondo New Delhi. Il Pakistan risponde con missili, chiude lo spazio aereo, e la polveriera nucleare trabocca. Ma tutti fanno finta di niente.
Israele intanto non si ferma: colpisce anche Libano e Siria. L’Iran minaccia ritorsioni. L’intero Medio Oriente rischia di saltare in aria mentre a Washington si gioca a Risiko con la benzina in mano e Bruxelles si limita a commentare, indignata ma complice.
Negli Stati Uniti, intanto, esplodono i campus universitari. Washington University in fiamme, occupazioni, slogan, fuochi accesi: gli studenti protestano contro la complicità delle loro università con Israele e il massacro a Gaza. La gioventù americana si ribella, mentre la politica si copre le orecchie e continua a finanziare l’orrore.
E la Casa Bianca? ...
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07.05.202505:04
Guadagno di funzione? Solo una finta sospensione. E solo se lo fanno gli altri.
Donald Trump firma un ordine esecutivo per “mettere fine” alla pericolosa ricerca sul guadagno di funzione, quella che trasforma virus normalmente innocui in armi potenziali da pandemia. Ma leggendo bene, emerge l’ennesima sceneggiata politica: non si tratta di un divieto totale, ma solo di una sospensione parziale e condizionata. E, soprattutto, non riguarda gli Stati Uniti, che continuano tranquillamente a portare avanti lo stesso tipo di esperimenti, purché finanziati con soldi “non federali”.
Vediamo i punti salienti:
Solo una “sospensione”. Non c’è alcun divieto definitivo: si ordina di sospendere temporaneamente i finanziamenti federali a certe condizioni, e solo “fino al completamento di una nuova policy”. Il che, in linguaggio burocratico, significa che tutto può riprendere tra qualche mese, con una nuova etichetta e una firma diversa.
Solo per i laboratori stranieri (cioè la Cina). Il blocco dei fondi si applica agli enti esteri in “Paesi interessati” (la Cina è citata esplicitamente), dove non ci sarebbe una supervisione adeguata secondo gli standard USA. Quindi il problema non è tanto che cosa si fa, ma dove lo si fa. E se la stessa ricerca si conduce in un laboratorio americano, magari privato, ma ben regolamentato? Allora va benissimo.
Gli USA continuano a finanziare laboratori ovunque. Nessun accenno a un’indagine retroattiva su quanto è già stato finanziato in tutto il mondo. Ricordiamo che i National Institutes of Health (NIH) hanno finanziato EcoHealth Alliance, che ha collaborato con il Wuhan Institute of Virology: proprio la combinazione che, secondo numerose fonti, potrebbe aver avuto un ruolo nell’origine della pandemia di Covid-19. Trump accusa Biden di aver continuato questi finanziamenti, ma non li interrompe a livello strutturale. Se una fondazione americana finanzia laboratori all’estero con fondi privati, non è un problema. Tutto resta perfettamente legale.
E negli USA? La ricerca pericolosa non finanziata a livello federale potrà continuare indisturbata, almeno finché il governo non troverà un modo per “monitorarla”. Si promette una strategia entro 180 giorni. Nel frattempo, i laboratori privati possono fare quello che vogliono, finché non si mettono a chiedere soldi a Washington.
Trasparenza e controlli solo sulla carta. Si promettono audit, rendicontazione pubblica, più trasparenza. Ma tutto è subordinato a eccezioni per la sicurezza nazionale, alla disponibilità di fondi e alla collaborazione spontanea dei laboratori. In pratica: autocertificazione, scarsa tracciabilità e opacità garantita.
Nessuna responsabilità per il passato. Non una parola sulle responsabilità per ciò che è già successo. Nessuna inchiesta indipendente, nessuna sanzione, nessun processo per chi ha promosso e sostenuto queste ricerche prima del Covid. Nessuna proposta per una moratoria internazionale vera e vincolante.
Conclusione: propaganda mascherata da tutela. Questo ordine esecutivo non ferma affatto il guadagno di funzione. Semplicemente lo ridistribuisce, lo camuffa, lo ristruttura. Viene tolto alle mani “nemiche” per essere trattenuto e sviluppato sotto l’ombrello della “leadership scientifica americana”. I laboratori continuano a lavorare, i fondi continuano a circolare, e le istituzioni possono dire di aver fatto qualcosa, senza aver fermato nulla.
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Donald Trump firma un ordine esecutivo per “mettere fine” alla pericolosa ricerca sul guadagno di funzione, quella che trasforma virus normalmente innocui in armi potenziali da pandemia. Ma leggendo bene, emerge l’ennesima sceneggiata politica: non si tratta di un divieto totale, ma solo di una sospensione parziale e condizionata. E, soprattutto, non riguarda gli Stati Uniti, che continuano tranquillamente a portare avanti lo stesso tipo di esperimenti, purché finanziati con soldi “non federali”.
Vediamo i punti salienti:
Solo una “sospensione”. Non c’è alcun divieto definitivo: si ordina di sospendere temporaneamente i finanziamenti federali a certe condizioni, e solo “fino al completamento di una nuova policy”. Il che, in linguaggio burocratico, significa che tutto può riprendere tra qualche mese, con una nuova etichetta e una firma diversa.
Solo per i laboratori stranieri (cioè la Cina). Il blocco dei fondi si applica agli enti esteri in “Paesi interessati” (la Cina è citata esplicitamente), dove non ci sarebbe una supervisione adeguata secondo gli standard USA. Quindi il problema non è tanto che cosa si fa, ma dove lo si fa. E se la stessa ricerca si conduce in un laboratorio americano, magari privato, ma ben regolamentato? Allora va benissimo.
Gli USA continuano a finanziare laboratori ovunque. Nessun accenno a un’indagine retroattiva su quanto è già stato finanziato in tutto il mondo. Ricordiamo che i National Institutes of Health (NIH) hanno finanziato EcoHealth Alliance, che ha collaborato con il Wuhan Institute of Virology: proprio la combinazione che, secondo numerose fonti, potrebbe aver avuto un ruolo nell’origine della pandemia di Covid-19. Trump accusa Biden di aver continuato questi finanziamenti, ma non li interrompe a livello strutturale. Se una fondazione americana finanzia laboratori all’estero con fondi privati, non è un problema. Tutto resta perfettamente legale.
E negli USA? La ricerca pericolosa non finanziata a livello federale potrà continuare indisturbata, almeno finché il governo non troverà un modo per “monitorarla”. Si promette una strategia entro 180 giorni. Nel frattempo, i laboratori privati possono fare quello che vogliono, finché non si mettono a chiedere soldi a Washington.
Trasparenza e controlli solo sulla carta. Si promettono audit, rendicontazione pubblica, più trasparenza. Ma tutto è subordinato a eccezioni per la sicurezza nazionale, alla disponibilità di fondi e alla collaborazione spontanea dei laboratori. In pratica: autocertificazione, scarsa tracciabilità e opacità garantita.
Nessuna responsabilità per il passato. Non una parola sulle responsabilità per ciò che è già successo. Nessuna inchiesta indipendente, nessuna sanzione, nessun processo per chi ha promosso e sostenuto queste ricerche prima del Covid. Nessuna proposta per una moratoria internazionale vera e vincolante.
Conclusione: propaganda mascherata da tutela. Questo ordine esecutivo non ferma affatto il guadagno di funzione. Semplicemente lo ridistribuisce, lo camuffa, lo ristruttura. Viene tolto alle mani “nemiche” per essere trattenuto e sviluppato sotto l’ombrello della “leadership scientifica americana”. I laboratori continuano a lavorare, i fondi continuano a circolare, e le istituzioni possono dire di aver fatto qualcosa, senza aver fermato nulla.
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02.05.202517:59
Dal “Net Zero” al Net Schiavo – La tecnodittatura secondo Tony Blair
Nel 2007, mentre lasciava Downing Street, Tony Blair buttò lì una frase all’apparenza innocua: “Non preoccuparti del clima: la tecnologia risolverà il problema”.
Sembrava un congedo ottimistico da premier in uscita. Oggi, a distanza di quasi vent’anni, capiamo cosa intendeva davvero. E non c’è proprio nulla da ridere.
Il 29 aprile 2025, il Tony Blair Institute ha pubblicato un documento dal titolo “The Climate Paradox”, una diagnosi (fintamente) critica delle politiche Net Zero. Ma chi pensava a una svolta onesta, si sbaglia. Il vero contenuto è un manifesto tecnocratico, la proposta di un sistema globale di sorveglianza, gestito da intelligenze artificiali, scienziati e banchieri, senza nemmeno una parvenza di consenso democratico.
Blair non vuole mollare l’agenda climatica. Vuole sostituire i sacrifici collettivi con l’automazione totale. Addio summit come la COP: si passa al comando diretto di “coalizioni” guidate da chi non risponde a nessun elettore. Il nuovo mantra è: lascia fare agli algoritmi.
Nel documento si parla apertamente di:
gestione energetica tramite IA,
espansione della cattura del carbonio per costruire nuovi mercati di scambio (cioè speculazione),
eliminazione del ruolo delle nazioni sovrane,
centralizzazione totale della finanza “green”.
E naturalmente, nessun riferimento a libertà, privacy, o consenso.
L’unica cosa che manca davvero in questa “soluzione climatica” sono proprio le persone.
Anche se il termine “identità digitale” non compare esplicitamente, il sistema immaginato non può funzionare senza di essa. È la solita storia: per monitorare i tuoi consumi, il tuo impatto ambientale, la tua conformità al profilo "sostenibile", serve tracciarti, schedarti e condizionarti. Non puoi accedere all’energia, al denaro, ai trasporti, se il tuo profilo non è in regola.
Non è politica climatica. È ingegneria sociale in salsa tecnocratica.
E come se non bastasse, il giorno prima dell’uscita del rapporto, la Spagna e il Portogallo sono finiti al buio per un gigantesco blackout legato – ironia della sorte – alla fragilità di una rete elettrica troppo dipendente da sole e vento.
Ecco servito l’alibi perfetto: “Avete visto? Il vecchio sistema non regge. Ora fidatevi del nostro”.
Un caso? Difficile crederlo.
Sembra piuttosto una coreografia da manuale, il preludio all’ennesimo passaggio di consegne: dai governi ai sistemi automatici, dalla politica alla macchina.
Nel frattempo, anche in Canada, il nuovo premier Mark Carney (ex Goldman Sachs, ex Banca d’Inghilterra, uomo WEF) lo dice chiaramente:
“Le aziende che rallentano il Net Zero verranno punite”.
Tradotto: la realtà deve piegarsi al dogma, a qualsiasi costo. Se non funziona, colpa tua. Se protesti, sei un nemico. È il liberal-progressismo applicato con metodo clinico: coercizione verde con un volto gentile.
Ma il volto non è più tanto gentile. Ha i tratti duri dell’intelligenza artificiale, delle agenzie sovranazionali, dei miliardari filantropi e dei burocrati dell’algoritmo. Nessuno ha votato per questo mondo. Eppure ci stanno entrando tutti, con il sorriso spento e la bolletta in mano.
Il green non è più verde. È grigio piombo. Ed è programmato per obbedire.
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Nel 2007, mentre lasciava Downing Street, Tony Blair buttò lì una frase all’apparenza innocua: “Non preoccuparti del clima: la tecnologia risolverà il problema”.
Sembrava un congedo ottimistico da premier in uscita. Oggi, a distanza di quasi vent’anni, capiamo cosa intendeva davvero. E non c’è proprio nulla da ridere.
Il 29 aprile 2025, il Tony Blair Institute ha pubblicato un documento dal titolo “The Climate Paradox”, una diagnosi (fintamente) critica delle politiche Net Zero. Ma chi pensava a una svolta onesta, si sbaglia. Il vero contenuto è un manifesto tecnocratico, la proposta di un sistema globale di sorveglianza, gestito da intelligenze artificiali, scienziati e banchieri, senza nemmeno una parvenza di consenso democratico.
Blair non vuole mollare l’agenda climatica. Vuole sostituire i sacrifici collettivi con l’automazione totale. Addio summit come la COP: si passa al comando diretto di “coalizioni” guidate da chi non risponde a nessun elettore. Il nuovo mantra è: lascia fare agli algoritmi.
Nel documento si parla apertamente di:
gestione energetica tramite IA,
espansione della cattura del carbonio per costruire nuovi mercati di scambio (cioè speculazione),
eliminazione del ruolo delle nazioni sovrane,
centralizzazione totale della finanza “green”.
E naturalmente, nessun riferimento a libertà, privacy, o consenso.
L’unica cosa che manca davvero in questa “soluzione climatica” sono proprio le persone.
Anche se il termine “identità digitale” non compare esplicitamente, il sistema immaginato non può funzionare senza di essa. È la solita storia: per monitorare i tuoi consumi, il tuo impatto ambientale, la tua conformità al profilo "sostenibile", serve tracciarti, schedarti e condizionarti. Non puoi accedere all’energia, al denaro, ai trasporti, se il tuo profilo non è in regola.
Non è politica climatica. È ingegneria sociale in salsa tecnocratica.
E come se non bastasse, il giorno prima dell’uscita del rapporto, la Spagna e il Portogallo sono finiti al buio per un gigantesco blackout legato – ironia della sorte – alla fragilità di una rete elettrica troppo dipendente da sole e vento.
Ecco servito l’alibi perfetto: “Avete visto? Il vecchio sistema non regge. Ora fidatevi del nostro”.
Un caso? Difficile crederlo.
Sembra piuttosto una coreografia da manuale, il preludio all’ennesimo passaggio di consegne: dai governi ai sistemi automatici, dalla politica alla macchina.
Nel frattempo, anche in Canada, il nuovo premier Mark Carney (ex Goldman Sachs, ex Banca d’Inghilterra, uomo WEF) lo dice chiaramente:
“Le aziende che rallentano il Net Zero verranno punite”.
Tradotto: la realtà deve piegarsi al dogma, a qualsiasi costo. Se non funziona, colpa tua. Se protesti, sei un nemico. È il liberal-progressismo applicato con metodo clinico: coercizione verde con un volto gentile.
Ma il volto non è più tanto gentile. Ha i tratti duri dell’intelligenza artificiale, delle agenzie sovranazionali, dei miliardari filantropi e dei burocrati dell’algoritmo. Nessuno ha votato per questo mondo. Eppure ci stanno entrando tutti, con il sorriso spento e la bolletta in mano.
Il green non è più verde. È grigio piombo. Ed è programmato per obbedire.
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