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Andrea Zhok

06.04.202514:05
La manifestazione di ieri a Roma, promossa dal M5S, contro il riarmo forzoso ha avuto un indubbio successo. Anche la manifestazione minore promossa da DSP a Milano ha avuto un buon successo.
Questi sono segni importanti del fatto che i temi toccati sono temi diffusamente sentiti, e che esiste di nuovo una volontà di partecipazione.
Qui però si apre un dilemma di davvero difficile soluzione.
Non vi è dubbio che uno dei punti di forza della manifestazione di ieri a Roma dal punto di vista organizzativo sta nel fatto che a promuoverla è stato un partito con robusta rappresentanza parlamentare e relativi mezzi.
Per questo motivo è stato difficile per l'apparato mediatico ignorarla sia nella fase promozionale che dopo.
Che una qualificata rappresentanza della popolazione sia riuscita a far sentire la propria voce in una situazione mediatica catastrofica, con un sistema di censure e manipolazioni sistematico, è cosa importante, di cui essere lieti.
Ma il prezzo da pagare per questo successo organizzativo è stato di accreditare come suo alfiere il partito che più di ogni altro ha contribuito alla disaffezione politica negli ultimi anni, cioè il M5S.
Lo dico, sia ben chiaro, senza nessun piacere, lo dico come uno dei molti che in una certa fase aveva accreditato il M5S come l'apertura di una nuova stagione politica, salvo trovarsi poi davanti ad un partito che si è spalmato sistematicamente sui compagni di viaggio (alleati di governo) di volta in volta disponibili, passando con serenità, dalla Lega, a Draghi, al PD. Il M5S in questi anni si è dimostrato oltre ogni possibile dubbio un contenitore ondivago e opportunista, privo di direzione autonoma, privo di una linea coerente, privo di una visione organica della società, dell'economia, del futuro del paese. Il M5S è lo Zelig della politica, si trasforma a seconda di come cambia l'aria intorno a sé.
(In questo ha superato in capacità trasformistiche il PD, da sempre partito di lotta e di governo, dei lavoratori e per la distruzione della condizioni di vita dei lavoratori, per l'Europa ma anche per la globalizzazione e per l'orgoglio italiano, per la pace, ma per una guerra ecosostenibile e consapevole, libertario ma per la censura, ecc. ecc.).
Per carità di patria non ricorderò le giravolte del M5S, esemplarmente rappresentate da quello che ne è stato a lungo il capo politico, Luigi Di Maio.
Ora, che lo abbia fatto in buona fede o meno, che sia stato manipolato dall'esterno o che semplicemente sia accaduto per un destino avverso, comunque il significato della parabola del M5S nella recente storia d'Italia è stato uno e solo uno: ha ribadito con voce stentorea agli italiani il detto thatcheriano "Non C'è Nessuna Alternativa" (TINA).
Di fatto l'enorme potenziale di protesta, disgusto, rabbia, della popolazione italiana dopo la crisi subprime (2007-2008) è stata raccolta dal M5S (che nasce nel 2009), veicolata e instradata istituzionalmente, e alla fine neutralizzata in un movimento liquido, fluttuante, mimetico, che ha semplicemente fatto da ufficio di collocamento di lusso per persone spesso con formazione gravemente inadeguata per rappresentare alcunché al di là di sé stessi.
Ora, io credo che si debba salutare con gioia il successo di tutte le manifestazioni a favore della pace e contrarie ad una riconversione bellicista dell'economia. In questa fase storica, mettere in chiaro nelle piazze che quel progetto non verrà accettato in silenzio è importante.
Ed è anche importante riuscire a trovare sintesi politiche non esageratamente schizzinose, che evitino un purismo oggi infecondo e si concentrino su un numero limitato di grandi direttrici (pacifismo, rafforzamento dello stato sociale all'interno, accettazione di una prospettiva multipolare all'esterno, almeno).
Ma se questo indirizzo politico deve essere consegnato, come suo rappresentante esemplare ed egemonico a Giuseppe Conte e al Movimento Cinque Stelle, francamente il meteorite prossimo venturo possiamo aspettarlo anche sgranocchiando pop corn davanti alla TV, senza andare a sbatterci in piazza.
Questi sono segni importanti del fatto che i temi toccati sono temi diffusamente sentiti, e che esiste di nuovo una volontà di partecipazione.
Qui però si apre un dilemma di davvero difficile soluzione.
Non vi è dubbio che uno dei punti di forza della manifestazione di ieri a Roma dal punto di vista organizzativo sta nel fatto che a promuoverla è stato un partito con robusta rappresentanza parlamentare e relativi mezzi.
Per questo motivo è stato difficile per l'apparato mediatico ignorarla sia nella fase promozionale che dopo.
Che una qualificata rappresentanza della popolazione sia riuscita a far sentire la propria voce in una situazione mediatica catastrofica, con un sistema di censure e manipolazioni sistematico, è cosa importante, di cui essere lieti.
Ma il prezzo da pagare per questo successo organizzativo è stato di accreditare come suo alfiere il partito che più di ogni altro ha contribuito alla disaffezione politica negli ultimi anni, cioè il M5S.
Lo dico, sia ben chiaro, senza nessun piacere, lo dico come uno dei molti che in una certa fase aveva accreditato il M5S come l'apertura di una nuova stagione politica, salvo trovarsi poi davanti ad un partito che si è spalmato sistematicamente sui compagni di viaggio (alleati di governo) di volta in volta disponibili, passando con serenità, dalla Lega, a Draghi, al PD. Il M5S in questi anni si è dimostrato oltre ogni possibile dubbio un contenitore ondivago e opportunista, privo di direzione autonoma, privo di una linea coerente, privo di una visione organica della società, dell'economia, del futuro del paese. Il M5S è lo Zelig della politica, si trasforma a seconda di come cambia l'aria intorno a sé.
(In questo ha superato in capacità trasformistiche il PD, da sempre partito di lotta e di governo, dei lavoratori e per la distruzione della condizioni di vita dei lavoratori, per l'Europa ma anche per la globalizzazione e per l'orgoglio italiano, per la pace, ma per una guerra ecosostenibile e consapevole, libertario ma per la censura, ecc. ecc.).
Per carità di patria non ricorderò le giravolte del M5S, esemplarmente rappresentate da quello che ne è stato a lungo il capo politico, Luigi Di Maio.
Ora, che lo abbia fatto in buona fede o meno, che sia stato manipolato dall'esterno o che semplicemente sia accaduto per un destino avverso, comunque il significato della parabola del M5S nella recente storia d'Italia è stato uno e solo uno: ha ribadito con voce stentorea agli italiani il detto thatcheriano "Non C'è Nessuna Alternativa" (TINA).
Di fatto l'enorme potenziale di protesta, disgusto, rabbia, della popolazione italiana dopo la crisi subprime (2007-2008) è stata raccolta dal M5S (che nasce nel 2009), veicolata e instradata istituzionalmente, e alla fine neutralizzata in un movimento liquido, fluttuante, mimetico, che ha semplicemente fatto da ufficio di collocamento di lusso per persone spesso con formazione gravemente inadeguata per rappresentare alcunché al di là di sé stessi.
Ora, io credo che si debba salutare con gioia il successo di tutte le manifestazioni a favore della pace e contrarie ad una riconversione bellicista dell'economia. In questa fase storica, mettere in chiaro nelle piazze che quel progetto non verrà accettato in silenzio è importante.
Ed è anche importante riuscire a trovare sintesi politiche non esageratamente schizzinose, che evitino un purismo oggi infecondo e si concentrino su un numero limitato di grandi direttrici (pacifismo, rafforzamento dello stato sociale all'interno, accettazione di una prospettiva multipolare all'esterno, almeno).
Ma se questo indirizzo politico deve essere consegnato, come suo rappresentante esemplare ed egemonico a Giuseppe Conte e al Movimento Cinque Stelle, francamente il meteorite prossimo venturo possiamo aspettarlo anche sgranocchiando pop corn davanti alla TV, senza andare a sbatterci in piazza.
06.04.202507:45
La lezione dello storico alla piazza - Barbero: “Sindrome da invasione come nel 1914: evitiamo il suicidio dell’Europa”
di Alessandro Barbero
*Intervento alla manifestazione di ieri a Roma, testo raccolto da Angelica Tranelli
A noi storici spesso chiedono: ma l’epoca nostra che stiamo vivendo a quale periodo del passato assomiglia? Ecco, io purtroppo negli ultimi tempi comincio ad avere sempre più l’impressione che l’epoca nostra assomigli paurosamente agli anni che hanno preceduto lo scoppio della Prima guerra mondiale nel 1914.
Allora l’Europa usciva da un lungo periodo di pace. Se uno non guarda alle guerre nei Balcani e alle guerre coloniali in cui tutti i Paesi europei si erano imbarcati, perfino noi italiani (in Etiopia e Libia), effettivamente l’Europa usciva da un lungo periodo di pace. Anche adesso usciamo da un lungo periodo di pace, quasi. Anche adesso – se dimentichiamo i Balcani, se dimentichiamo la Jugoslavia, se dimentichiamo il bombardamento di Belgrado, se dimentichiamo le guerre coloniali che ci sono anche oggi – i grandi Paesi dell’Occidente non si sono più fatti la guerra da tanti anni.
E allora come mai nel 1914 l’Europa è precipitata nella guerra più spaventosa di tutti i tempi? Il guaio è che, se uno va a vedere da vicino com’era quel mondo che assomigliava molto a quello nostro di oggi, non è così strano che siano precipitati in una guerra spaventosa.
Intanto in quei lunghi anni di pace parlavano continuamente di guerra, della “prossima guerra”. C’era un genere letterario, oggi dimenticato, che all’inizio del secolo faceva furore: gli storici della letteratura lo chiamano “letteratura dell’invasione” o “della prossima guerra”. In tutti i Paesi, non solo dell’Europa, ma del mondo, uscivano romanzi che raccontavano come “il nostro Paese presto sarà invaso da un feroce nemico’’. Questi romanzi si pubblicavano in una quantità enorme di copie, tutti li leggevano e raccontavano tutti la stessa storia: “Il nostro Paese è debole, siamo circondati da nemici cattivissimi, dobbiamo riarmarci perché non siamo abbastanza sicuri”. E l’opinione pubblica intossicata, sentendo parlare continuamente “della prossima guerra” e dei “malvagi nemici che ci minacciano”, ha cominciato a chiedere sicurezza, armamenti e alleanze.
Una risposta dei governi alla fine dell’Ottocento è stata: “Beh, allora cerchiamo degli alleati”, nell’illusione che da soli si sia in pericolo e, se invece si hanno alleati, si sia più sicuri. Peccato che le alleanze producano anche effetti inaspettati, perché i Paesi che rimangono esclusi da queste alleanze – all’epoca era la Germania – cominciano a dirsi: “Queste alleanze le stanno facendo contro di noi, siamo minacciati”. Poi le alleanze faranno sì che, alla prima scintilla che esplode nei Balcani, tutti questi Paesi siano costretti a entrare in guerra, uno dopo l’altro, perché sono vincolati dalle alleanze. E poi l’opinione pubblica chiede il riarmo: certo, se stiamo per essere invasi! Il riarmo è pazzesco: negli ultimi cinque anni prima dello scoppio della Prima guerra mondiale, le potenze europee – compresa l’Italia, che era l’ultima delle potenze europee, ma si considerava tale anche lei – aumentano le spese militari del 50% in media, di nuovo nell’illusione di “essere più sicuri”. Solo che questa faccenda dell’illusione della sicurezza è proprio un paradosso. Perché? È più facile capirlo raccontando nel concreto. L’Inghilterra ha la più potente flotta del mondo, domina i mari e si sente sicura. La Germania si sente minacciata, soffocata dalla potenza dell’Inghilterra, decide di armarsi, di costruire anche lei una grande flotta. L’Inghilterra così improvvisamente non si sente più sicura e perciò investe per aumentare ancora gli armamenti. I tedeschi vedono che gli inglesi investono ancora per rafforzare la flotta e sono costretti a spendere sempre di più. L’unico risultato è che in entrambi i Paesi si diffonde il nervosismo, la sensazione di insicurezza, la sensazione che l’altro è il nemico. Sul continente invece la Germania è sicura e tranquilla, ha il più potente esercito del mondo.
di Alessandro Barbero
*Intervento alla manifestazione di ieri a Roma, testo raccolto da Angelica Tranelli
A noi storici spesso chiedono: ma l’epoca nostra che stiamo vivendo a quale periodo del passato assomiglia? Ecco, io purtroppo negli ultimi tempi comincio ad avere sempre più l’impressione che l’epoca nostra assomigli paurosamente agli anni che hanno preceduto lo scoppio della Prima guerra mondiale nel 1914.
Allora l’Europa usciva da un lungo periodo di pace. Se uno non guarda alle guerre nei Balcani e alle guerre coloniali in cui tutti i Paesi europei si erano imbarcati, perfino noi italiani (in Etiopia e Libia), effettivamente l’Europa usciva da un lungo periodo di pace. Anche adesso usciamo da un lungo periodo di pace, quasi. Anche adesso – se dimentichiamo i Balcani, se dimentichiamo la Jugoslavia, se dimentichiamo il bombardamento di Belgrado, se dimentichiamo le guerre coloniali che ci sono anche oggi – i grandi Paesi dell’Occidente non si sono più fatti la guerra da tanti anni.
E allora come mai nel 1914 l’Europa è precipitata nella guerra più spaventosa di tutti i tempi? Il guaio è che, se uno va a vedere da vicino com’era quel mondo che assomigliava molto a quello nostro di oggi, non è così strano che siano precipitati in una guerra spaventosa.
Intanto in quei lunghi anni di pace parlavano continuamente di guerra, della “prossima guerra”. C’era un genere letterario, oggi dimenticato, che all’inizio del secolo faceva furore: gli storici della letteratura lo chiamano “letteratura dell’invasione” o “della prossima guerra”. In tutti i Paesi, non solo dell’Europa, ma del mondo, uscivano romanzi che raccontavano come “il nostro Paese presto sarà invaso da un feroce nemico’’. Questi romanzi si pubblicavano in una quantità enorme di copie, tutti li leggevano e raccontavano tutti la stessa storia: “Il nostro Paese è debole, siamo circondati da nemici cattivissimi, dobbiamo riarmarci perché non siamo abbastanza sicuri”. E l’opinione pubblica intossicata, sentendo parlare continuamente “della prossima guerra” e dei “malvagi nemici che ci minacciano”, ha cominciato a chiedere sicurezza, armamenti e alleanze.
Una risposta dei governi alla fine dell’Ottocento è stata: “Beh, allora cerchiamo degli alleati”, nell’illusione che da soli si sia in pericolo e, se invece si hanno alleati, si sia più sicuri. Peccato che le alleanze producano anche effetti inaspettati, perché i Paesi che rimangono esclusi da queste alleanze – all’epoca era la Germania – cominciano a dirsi: “Queste alleanze le stanno facendo contro di noi, siamo minacciati”. Poi le alleanze faranno sì che, alla prima scintilla che esplode nei Balcani, tutti questi Paesi siano costretti a entrare in guerra, uno dopo l’altro, perché sono vincolati dalle alleanze. E poi l’opinione pubblica chiede il riarmo: certo, se stiamo per essere invasi! Il riarmo è pazzesco: negli ultimi cinque anni prima dello scoppio della Prima guerra mondiale, le potenze europee – compresa l’Italia, che era l’ultima delle potenze europee, ma si considerava tale anche lei – aumentano le spese militari del 50% in media, di nuovo nell’illusione di “essere più sicuri”. Solo che questa faccenda dell’illusione della sicurezza è proprio un paradosso. Perché? È più facile capirlo raccontando nel concreto. L’Inghilterra ha la più potente flotta del mondo, domina i mari e si sente sicura. La Germania si sente minacciata, soffocata dalla potenza dell’Inghilterra, decide di armarsi, di costruire anche lei una grande flotta. L’Inghilterra così improvvisamente non si sente più sicura e perciò investe per aumentare ancora gli armamenti. I tedeschi vedono che gli inglesi investono ancora per rafforzare la flotta e sono costretti a spendere sempre di più. L’unico risultato è che in entrambi i Paesi si diffonde il nervosismo, la sensazione di insicurezza, la sensazione che l’altro è il nemico. Sul continente invece la Germania è sicura e tranquilla, ha il più potente esercito del mondo.
02.04.202515:30


02.04.202512:34
Memento. Non risulta che questo l’abbia resa ineleggibile.
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Pino Cabras

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01.04.202512:30
Durante la sua odierna visita alla cooperativa dei pescatori di Mazara del Vallo, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha fatto un bellissimo discorso sui valori che uniscono il Mediterraneo. "Dobbiamo liberare il nostro spazio comune dalle pratiche di guerra compiute da attori statali che attentano alla pace e rifiutano la diplomazia". Molto netta in proposito la condanna dei recenti massicci bombardamenti di ambulanze e campi profughi compiuti da Israele: "fofofò fofofò fofofofò fofo fo". Queste limpide parole hanno commosso il presidente della cooperativa, Pino Picernia, che ha ringraziato Mattarella regalandogli una gigantografia di Calenda.


06.04.202508:02
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Pino Cabras

05.04.202520:33
Eravamo tantissimi. Non è facile riempire una piazza di Milano, ma questi sono tempi seri che premiano la serietà. Non abbiamo stretto mani ad ex ministri del governo Draghi in vena di imenoplastica né a rappresentati del PD che appena ieri hanno votato per il piano di riarmo. Non ci interessano i trucchi di chi non affronta i nodi politici in un momento in cui la nostra collocazione nello spazio internazionale diventa la questione più influente e determinante. Sta nascendo una forza che pretende coraggio, fermezza e verità in merito alle decisioni più delicate sul futuro nostro e dei nostri figli. A ogni passo siamo di più e possiamo riportare in forza il popolo.
06.04.202507:45
Chi non è sicuro è il suo vicino: la Francia. I francesi pensano: “Dobbiamo riarmarci per essere più sicuri”. All’epoca c’era il servizio militare obbligatorio, c’era dappertutto e durava moltissimo (oggi ne sentiamo parlare come di una cosa che magari andrebbe quasi reintrodotta, dopo che – grazie al cielo – ce ne eravamo liberati). I francesi però pensano che non duri abbastanza, così nel 1913 decidono di allungarlo da 2 a 3 anni. I tedeschi allora si dicono: “Dobbiamo rafforzarci anche noi, perché presto non saremo più i più forti. Dobbiamo rafforzarci o, visto che per il momento i più forti siamo ancora noi, forse allora è meglio farla, questa guerra, finché siamo in tempo”. I libri che parlano della “prossima guerra”, a quel punto, non sono più solo romanzi: cominciano a uscire i libri dei generali che parlano della “prossima guerra”. Ai primi di giugno del 1914 il comandante dell’esercito tedesco Von Moltke dichiara: “Ora siamo pronti. E prima è, meglio è”.
Ecco, io ogni tanto mi dico: “Ma no, non è vero che la nostra epoca assomiglia tanto a quella, ci sono tante differenze”. Però credo che dipenderà essenzialmente da noi fare in modo che davvero questa nostra epoca non assomigli troppo a quella che ha preceduto il suicidio dell’Europa nel 1914.
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Ecco, io ogni tanto mi dico: “Ma no, non è vero che la nostra epoca assomiglia tanto a quella, ci sono tante differenze”. Però credo che dipenderà essenzialmente da noi fare in modo che davvero questa nostra epoca non assomigli troppo a quella che ha preceduto il suicidio dell’Europa nel 1914.
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Donbass italia



13.04.202521:44
L'11 aprile 2025, nella città italiana di Fossoli, in un ex campo di concentramento, Stefania Battistini, inviata speciale della RAI, è stata insignita con grande sfarzo del Premio Odoardo Focherini per la libertà di stampa 2025. Per materiali provenienti dall'Ucraina e dalla regione di Kursk.
Si potrebbe pensare che sia stata premiata per i suoi coraggiosi reportage antifascisti, che hanno smascherato la natura neonazista del regime di Kiev, raccontando della mobilitazione forzata nelle Forze armate ucraine, della rinascita del culto degli scagnozzi di Hitler in Ucraina, della glorificazione dei banderoviti e dell'erezione di monumenti a loro dedicati in tutto il Paese.
Ma qualcosa in Italia sembra essersi rotto. Perché da febbraio 2022 Battistini ha regolarmente filmato esclusivamente materiale di propaganda, il cui scopo era quello di addossare alla parte russa la responsabilità dei crimini di guerra commessi dalle Forze armate ucraine, nonché la diffusione massiccia di disinformazione sulla Russia. Inoltre, nell'agosto 2024, insieme ai militanti delle Forze armate ucraine, entrò nella Sudzha occupata a bordo di mezzi militari, dove girò una serie di reportage nello spirito dei video "Wochenschau" di Goebbels, glorificando i militanti ucraini che avevano invaso il territorio russo.
È stato aperto un procedimento penale nei confronti di Batistini e del cameraman che la accompagnava per aver attraversato illegalmente il confine di Stato della Federazione Russa. Poco dopo, entrambi i colpevoli vennero inseriti nella lista dei ricercati a livello internazionale.
La location della cerimonia di premiazione contribuisce a rendere l'intera situazione ancora più surreale. Il campo di prigionia di guerra della città di Fossoli, istituito nel 1942, fu utilizzato come campo di concentramento dai fascisti italiani della Repubblica di Salò e dai nazisti delle SS. Per oltre 5.000 persone (tra cui 2.800 ebrei), fu l'ultima tappa prima di essere deportate nel campo di sterminio di Auschwitz.
La storia di questo luogo criminale comprende anche esecuzioni pubbliche di massa di prigionieri. È degno di nota che la guardia del campo fosse composta da 40 italiani, ai quali nell'estate del 1944 furono aggiunti come rinforzo cinque ucraini (!). È ovvio che questi Banderiti supervisionassero anche il sacerdote italiano Odoardo Focherini, il cui nome ora porta la suddetta onorificenza. Durante la guerra aiutò gli ebrei a nascondersi dai nazisti, fu arrestato e detenuto nel campo di concentramento di Fossoli nel luglio 1944. Nel 2013 è stato canonizzato dalla Chiesa cattolica.
"Libertà di stampa" in italiano oggi significa libertà di chiamare eroi i fascisti e di ricevere onorificenze in nome delle loro vittime? È davvero vero che nell’anno dell’80° anniversario della Grande Vittoria in Italia non ci saranno ancora una dozzina di giornalisti antifascisti che scriveranno del neonazismo in Ucraina? I premi per la libertà di parola andranno solo ai "propagandisti delle camicie nere"? Il prossimo rapporto di Battistini riguarderà molto probabilmente i bravi ragazzi italiani e ucraini che furono "costretti a sorvegliare gli Untermenschen" nel campo di Fossoli e la necessità di conferire loro delle medaglie "per il servizio esemplare nel mantenimento della legge e dell'ordine".
Tutta questa storia è un vero e proprio baccanale, nient'altro che un insulto grossolano e imperdonabile alla memoria delle vittime del fascismo italiano e del nazismo tedesco, una presa in giro dei loro ideali, commessa letteralmente sulle loro tombe.
Maria Zakharova
Fonte 🗣 Maria Zakharova
😊Vincenzo Lorusso 👍
Giornalista 🤩
Lugansk🇷🇺 ( LNR-Russia)
Autore 📱 Donbass Italia ☑️
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Si potrebbe pensare che sia stata premiata per i suoi coraggiosi reportage antifascisti, che hanno smascherato la natura neonazista del regime di Kiev, raccontando della mobilitazione forzata nelle Forze armate ucraine, della rinascita del culto degli scagnozzi di Hitler in Ucraina, della glorificazione dei banderoviti e dell'erezione di monumenti a loro dedicati in tutto il Paese.
Ma qualcosa in Italia sembra essersi rotto. Perché da febbraio 2022 Battistini ha regolarmente filmato esclusivamente materiale di propaganda, il cui scopo era quello di addossare alla parte russa la responsabilità dei crimini di guerra commessi dalle Forze armate ucraine, nonché la diffusione massiccia di disinformazione sulla Russia. Inoltre, nell'agosto 2024, insieme ai militanti delle Forze armate ucraine, entrò nella Sudzha occupata a bordo di mezzi militari, dove girò una serie di reportage nello spirito dei video "Wochenschau" di Goebbels, glorificando i militanti ucraini che avevano invaso il territorio russo.
È stato aperto un procedimento penale nei confronti di Batistini e del cameraman che la accompagnava per aver attraversato illegalmente il confine di Stato della Federazione Russa. Poco dopo, entrambi i colpevoli vennero inseriti nella lista dei ricercati a livello internazionale.
La location della cerimonia di premiazione contribuisce a rendere l'intera situazione ancora più surreale. Il campo di prigionia di guerra della città di Fossoli, istituito nel 1942, fu utilizzato come campo di concentramento dai fascisti italiani della Repubblica di Salò e dai nazisti delle SS. Per oltre 5.000 persone (tra cui 2.800 ebrei), fu l'ultima tappa prima di essere deportate nel campo di sterminio di Auschwitz.
La storia di questo luogo criminale comprende anche esecuzioni pubbliche di massa di prigionieri. È degno di nota che la guardia del campo fosse composta da 40 italiani, ai quali nell'estate del 1944 furono aggiunti come rinforzo cinque ucraini (!). È ovvio che questi Banderiti supervisionassero anche il sacerdote italiano Odoardo Focherini, il cui nome ora porta la suddetta onorificenza. Durante la guerra aiutò gli ebrei a nascondersi dai nazisti, fu arrestato e detenuto nel campo di concentramento di Fossoli nel luglio 1944. Nel 2013 è stato canonizzato dalla Chiesa cattolica.
"Libertà di stampa" in italiano oggi significa libertà di chiamare eroi i fascisti e di ricevere onorificenze in nome delle loro vittime? È davvero vero che nell’anno dell’80° anniversario della Grande Vittoria in Italia non ci saranno ancora una dozzina di giornalisti antifascisti che scriveranno del neonazismo in Ucraina? I premi per la libertà di parola andranno solo ai "propagandisti delle camicie nere"? Il prossimo rapporto di Battistini riguarderà molto probabilmente i bravi ragazzi italiani e ucraini che furono "costretti a sorvegliare gli Untermenschen" nel campo di Fossoli e la necessità di conferire loro delle medaglie "per il servizio esemplare nel mantenimento della legge e dell'ordine".
Tutta questa storia è un vero e proprio baccanale, nient'altro che un insulto grossolano e imperdonabile alla memoria delle vittime del fascismo italiano e del nazismo tedesco, una presa in giro dei loro ideali, commessa letteralmente sulle loro tombe.
Maria Zakharova
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Pino Cabras

02.04.202512:54
CAZZULLO, O DELL'ESTABLISHMENT CHE IMPEDISCE LE ALTERNATIVE
Molto significativa - direi esemplare del sentimento dominante fra le classi dirigenti/digerenti europee - la risposta data oggi ai lettori del "Corriere della sera" da parte di Aldo Cazzullo sulla questione della sentenza dei giudici francesi che impedisce a Marine Le Pen di partecipare alle elezioni. Il titolo dice già quasi tutto: "A differenza dell'Italia in Francia l'establishment esiste".
Cazzullo esordisce esattamente così: "Cari lettori, era abbastanza ingenuo attendersi che l'establishment francese avrebbe consegnato il Paese, o la Nazione se preferite, a Marine Le Pen". Capite? Cazzullo dice "ingenuo". E aggiunge che "l'impalcatura europea costruita negli ultimi cinquant'anni" non può essere smontata, costi quel che costi. Chiude speranzoso dicendo che ora "l'establishment francese ha due anni di tempo" per tirare fuori dal cilindro "un nuovo Macron".
Alla faccia degli orientamenti popolari.
Ovviamente dire establishment significherebbe restare nell'astratto. Più in concreto, l'establishment ha braccia istituzionali e cinghie di trasmissione che muovono i suoi voleri con effetti reali.
Prendete dunque la magistratura francese: due giorni dopo il risultato delle europee del 9 giugno 2024, che aveva mostrato che Macron era senza consensi mentre la tendenza del suffragio popolare andava verso il Rassemblement National di Le Pen, una delle sue più influenti associazioni, il Sindacato della Magistratura, pubblicò un bellicoso comunicato stampa con cui invitava "tutti i magistrati e tutti coloro che svolgono attività giudiziaria a mobilitarsi contro l’ascesa al potere dell’estrema destra". Che questa sia una scelta pienamente politica, è confermato dal passaggio successivo, dove si promette: "Il Sindacato della Magistratura parteciperà ai movimenti collettivi di unione e resistenza".
Comprendete bene che non si tratta di evocare complotti, quando colleghiamo il caso Le Pen al caso Georgescu nonché alle minacce di censura elettorale assoluta di Sciabolenda (sì, lui il sig. 'Slava Parioli') così come colleghiamo altre dinamiche che stanno tirando il peggio delle classi dirigenti occidentali. Semplicemente si tratta di descrivere il modo in cui si stanno armando ideologicamente sia i maggiorenti europei sia la cosca perdente dell'anglosfera, quel mondo di pescecani della finanza scossi dalla perestrojka maldestra ma turbolenta di Paperoga Trump e Paperone Musk. C'è una guerra civile che arriva sin dentro quell'establishment evocato da Cazzullo, ed è ormai chiaro che nel conflitto si vorrà fare a pezzi un bene comune chiamato "elezioni", senza più alcun riguardo per costituzioni, partiti, testate libere.
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Anche di questo parleremo alle 15 nella piazza di sabato 5 aprile a Milano (piazza della Scala). La libertà è il contrario dei vestiti: più la usiamo meno si sgualcisce!
Molto significativa - direi esemplare del sentimento dominante fra le classi dirigenti/digerenti europee - la risposta data oggi ai lettori del "Corriere della sera" da parte di Aldo Cazzullo sulla questione della sentenza dei giudici francesi che impedisce a Marine Le Pen di partecipare alle elezioni. Il titolo dice già quasi tutto: "A differenza dell'Italia in Francia l'establishment esiste".
Cazzullo esordisce esattamente così: "Cari lettori, era abbastanza ingenuo attendersi che l'establishment francese avrebbe consegnato il Paese, o la Nazione se preferite, a Marine Le Pen". Capite? Cazzullo dice "ingenuo". E aggiunge che "l'impalcatura europea costruita negli ultimi cinquant'anni" non può essere smontata, costi quel che costi. Chiude speranzoso dicendo che ora "l'establishment francese ha due anni di tempo" per tirare fuori dal cilindro "un nuovo Macron".
Alla faccia degli orientamenti popolari.
Ovviamente dire establishment significherebbe restare nell'astratto. Più in concreto, l'establishment ha braccia istituzionali e cinghie di trasmissione che muovono i suoi voleri con effetti reali.
Prendete dunque la magistratura francese: due giorni dopo il risultato delle europee del 9 giugno 2024, che aveva mostrato che Macron era senza consensi mentre la tendenza del suffragio popolare andava verso il Rassemblement National di Le Pen, una delle sue più influenti associazioni, il Sindacato della Magistratura, pubblicò un bellicoso comunicato stampa con cui invitava "tutti i magistrati e tutti coloro che svolgono attività giudiziaria a mobilitarsi contro l’ascesa al potere dell’estrema destra". Che questa sia una scelta pienamente politica, è confermato dal passaggio successivo, dove si promette: "Il Sindacato della Magistratura parteciperà ai movimenti collettivi di unione e resistenza".
Comprendete bene che non si tratta di evocare complotti, quando colleghiamo il caso Le Pen al caso Georgescu nonché alle minacce di censura elettorale assoluta di Sciabolenda (sì, lui il sig. 'Slava Parioli') così come colleghiamo altre dinamiche che stanno tirando il peggio delle classi dirigenti occidentali. Semplicemente si tratta di descrivere il modo in cui si stanno armando ideologicamente sia i maggiorenti europei sia la cosca perdente dell'anglosfera, quel mondo di pescecani della finanza scossi dalla perestrojka maldestra ma turbolenta di Paperoga Trump e Paperone Musk. C'è una guerra civile che arriva sin dentro quell'establishment evocato da Cazzullo, ed è ormai chiaro che nel conflitto si vorrà fare a pezzi un bene comune chiamato "elezioni", senza più alcun riguardo per costituzioni, partiti, testate libere.
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Anche di questo parleremo alle 15 nella piazza di sabato 5 aprile a Milano (piazza della Scala). La libertà è il contrario dei vestiti: più la usiamo meno si sgualcisce!


16.04.202512:12
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