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15.04.202509:39
Quando Mosca bombarda, è una "strage di civili"; quando lo fa Israele, è un semplice "raid". Questo è il doppiopesismo ipocrita dei media occidentali: la gravità dei crimini dipende da chi li commette.
14.04.202523:58
Nell’articolo dal titolo “Gaza, 18 minuti per fuggire dall’ospedale. Poi i missili e le macerie” pubblicato su il manifesto il 15 aprile 2025, la giornalista Chiara Cruciati racconta l’attacco israeliano all’ospedale battista Al-Ahli di Gaza City, avvenuto nella notte tra sabato e domenica, alla vigilia della Domenica delle Palme.
Secondo quanto riportato, l’esercito israeliano ha concesso solo 18 minuti per evacuare la struttura prima di colpirla con missili, distruggendo quello che era l’ultimo ospedale funzionante nella città. Tre pazienti sono morti nel cortile: un bambino a causa del freddo e due adulti per mancanza di ossigeno. Testimonianze come quella di Yousef Abu Shakran, padre di un bimbo ustionato, evidenziano il dramma umano dell’attacco, con il padre che racconta le condizioni disperate in cui ha dovuto portare via suo figlio tra le macerie e senza sapere dove cercare aiuto.
Israele ha giustificato l’attacco sostenendo che la struttura ospedaliera fosse usata da Hamas come centro militare, ma senza fornire prove, prosegue Cruciati. L’ospedale Al-Ahli è uno dei 36 distrutti o danneggiati su 57 presenti nella Striscia di Gaza dall’inizio dell’offensiva il 7 ottobre 2023. Attualmente, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ne restano solo 21 operativi. L’articolo denuncia un vero e proprio “ospedalicidio” aggravato dal blocco umanitario totale che priva la popolazione di cibo, medicine e rifugi.
La cronista mette in luce anche la reazione dell’Unione Europea, che si limita a definire le azioni israeliane “sproporzionate” attraverso la voce di Kaja Kallas, senza però assumere misure concrete. A fronte di circa 51.000 morti palestinesi e 14.000 dispersi, Cruciati evidenzia come i bombardamenti colpiscano persino le aree designate come “zone umanitarie”, tra cui al-Mawasi, dove convergono sfollati da Rafah e Khan Younis. Queste zone, descritte come “sicure”, si rivelano invece bersagliate e strumenti di una strategia per rendere Gaza invivibile.
L’articolo conclude illustrando il fallimento dei negoziati al Cairo, dove Hamas ha respinto la proposta egiziana di un cessate il fuoco di 45 giorni perché prevedeva anche il disarmo del gruppo. Mentre i negoziati si arenano, Cruciati sottolinea come il premier israeliano Benjamin Netanyahu sembri non voler porre fine al conflitto, anche a costo di sacrificare gli ostaggi israeliani. Crescono però i segnali di dissenso interno in Israele, con lettere di protesta firmate da migliaia di riservisti e accademici che chiedono la fine della guerra per salvare gli ostaggi.
https://ilmanifesto.it/gaza-18-minuti-per-fuggire-dallospedale-poi-i-missili-e-le-macerie
Secondo quanto riportato, l’esercito israeliano ha concesso solo 18 minuti per evacuare la struttura prima di colpirla con missili, distruggendo quello che era l’ultimo ospedale funzionante nella città. Tre pazienti sono morti nel cortile: un bambino a causa del freddo e due adulti per mancanza di ossigeno. Testimonianze come quella di Yousef Abu Shakran, padre di un bimbo ustionato, evidenziano il dramma umano dell’attacco, con il padre che racconta le condizioni disperate in cui ha dovuto portare via suo figlio tra le macerie e senza sapere dove cercare aiuto.
Israele ha giustificato l’attacco sostenendo che la struttura ospedaliera fosse usata da Hamas come centro militare, ma senza fornire prove, prosegue Cruciati. L’ospedale Al-Ahli è uno dei 36 distrutti o danneggiati su 57 presenti nella Striscia di Gaza dall’inizio dell’offensiva il 7 ottobre 2023. Attualmente, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, ne restano solo 21 operativi. L’articolo denuncia un vero e proprio “ospedalicidio” aggravato dal blocco umanitario totale che priva la popolazione di cibo, medicine e rifugi.
La cronista mette in luce anche la reazione dell’Unione Europea, che si limita a definire le azioni israeliane “sproporzionate” attraverso la voce di Kaja Kallas, senza però assumere misure concrete. A fronte di circa 51.000 morti palestinesi e 14.000 dispersi, Cruciati evidenzia come i bombardamenti colpiscano persino le aree designate come “zone umanitarie”, tra cui al-Mawasi, dove convergono sfollati da Rafah e Khan Younis. Queste zone, descritte come “sicure”, si rivelano invece bersagliate e strumenti di una strategia per rendere Gaza invivibile.
L’articolo conclude illustrando il fallimento dei negoziati al Cairo, dove Hamas ha respinto la proposta egiziana di un cessate il fuoco di 45 giorni perché prevedeva anche il disarmo del gruppo. Mentre i negoziati si arenano, Cruciati sottolinea come il premier israeliano Benjamin Netanyahu sembri non voler porre fine al conflitto, anche a costo di sacrificare gli ostaggi israeliani. Crescono però i segnali di dissenso interno in Israele, con lettere di protesta firmate da migliaia di riservisti e accademici che chiedono la fine della guerra per salvare gli ostaggi.
https://ilmanifesto.it/gaza-18-minuti-per-fuggire-dallospedale-poi-i-missili-e-le-macerie
15.04.202500:16
🇮🇱 NETANYAHU, "NEMICO INTERNO": EX CAPO DELL’ESERCITO ISRAELIANO CHIEDE LA SUA RIMOZIONE
L’ex capo di stato maggiore dell’esercito israeliano, Dan Halutz, ha espresso dure critiche contro il primo ministro Benjamin Netanyahu, definendolo “un nemico che rappresenta una minaccia diretta” per la sicurezza di Israele. In un’intervista al canale israeliano Channel 12, Halutz ha affermato che Netanyahu dovrebbe essere “fermato o catturato”, chiarendo di non intendere un’eliminazione fisica, ma la sua rimozione dal potere con mezzi legali.
Il partito Likud, guidato da Netanyahu, ha reagito con forza, accusando Halutz di incitamento alla violenza e minaccia alla democrazia. In un comunicato, il Likud lo ha definito “il capo di stato maggiore più fallimentare della storia dell’IDF”.
Halutz è anche tra i firmatari di una petizione sottoscritta da oltre 1.500 soldati ed ex ufficiali israeliani, tra cui l’ex primo ministro Ehud Barak e altri generali di alto rango. La petizione chiede al governo di dare priorità al rilascio dei prigionieri israeliani detenuti a Gaza, anche se ciò comportasse la sospensione delle operazioni militari. I firmatari provengono da varie unità delle forze armate, incluse truppe corazzate, paracadutisti, fanteria e membri dell’intelligence.
Le critiche a Netanyahu si sono accentuate, con l’accusa di mettere a rischio la vita degli ostaggi israeliani per la sua riluttanza a negoziare un cessate il fuoco con Hamas. Alcune fonti riportano che Netanyahu abbia istituito un team per ostacolare qualsiasi accordo di scambio prigionieri, suscitando indignazione tra le famiglie dei detenuti.
Il tutto si inserisce in un contesto di crescenti pressioni internazionali: la Corte Penale Internazionale ha emesso mandati di arresto contro Netanyahu e l’ex ministro della Difesa Yoav Gallant per presunti crimini di guerra e crimini contro l’umanità a Gaza, tra cui l’uso della fame come arma e attacchi deliberati contro civili.
Le parole di Halutz riflettono quindi un malcontento crescente tra le forze armate e l’opinione pubblica israeliana, che contestano la gestione del conflitto da parte del governo e le sue gravi ripercussioni sia interne che internazionali.
https://qudsnen.co/former-israeli-military-chief-says-netanyahu-should-be-captured/?amp
L’ex capo di stato maggiore dell’esercito israeliano, Dan Halutz, ha espresso dure critiche contro il primo ministro Benjamin Netanyahu, definendolo “un nemico che rappresenta una minaccia diretta” per la sicurezza di Israele. In un’intervista al canale israeliano Channel 12, Halutz ha affermato che Netanyahu dovrebbe essere “fermato o catturato”, chiarendo di non intendere un’eliminazione fisica, ma la sua rimozione dal potere con mezzi legali.
Il partito Likud, guidato da Netanyahu, ha reagito con forza, accusando Halutz di incitamento alla violenza e minaccia alla democrazia. In un comunicato, il Likud lo ha definito “il capo di stato maggiore più fallimentare della storia dell’IDF”.
Halutz è anche tra i firmatari di una petizione sottoscritta da oltre 1.500 soldati ed ex ufficiali israeliani, tra cui l’ex primo ministro Ehud Barak e altri generali di alto rango. La petizione chiede al governo di dare priorità al rilascio dei prigionieri israeliani detenuti a Gaza, anche se ciò comportasse la sospensione delle operazioni militari. I firmatari provengono da varie unità delle forze armate, incluse truppe corazzate, paracadutisti, fanteria e membri dell’intelligence.
Le critiche a Netanyahu si sono accentuate, con l’accusa di mettere a rischio la vita degli ostaggi israeliani per la sua riluttanza a negoziare un cessate il fuoco con Hamas. Alcune fonti riportano che Netanyahu abbia istituito un team per ostacolare qualsiasi accordo di scambio prigionieri, suscitando indignazione tra le famiglie dei detenuti.
Il tutto si inserisce in un contesto di crescenti pressioni internazionali: la Corte Penale Internazionale ha emesso mandati di arresto contro Netanyahu e l’ex ministro della Difesa Yoav Gallant per presunti crimini di guerra e crimini contro l’umanità a Gaza, tra cui l’uso della fame come arma e attacchi deliberati contro civili.
Le parole di Halutz riflettono quindi un malcontento crescente tra le forze armate e l’opinione pubblica israeliana, che contestano la gestione del conflitto da parte del governo e le sue gravi ripercussioni sia interne che internazionali.
https://qudsnen.co/former-israeli-military-chief-says-netanyahu-should-be-captured/?amp


10.04.202520:40
In Marocco, un gruppo di studenti ha dato inizio a uno sciopero della fame per esprimere la propria opposizione alla politica di avvicinamento del governo verso Israele, vista come un atto contrario al sostegno storico del Paese alla causa palestinese.
Il processo di normalizzazione tra Marocco e Israele sta progredendo, come dimostrato da un importante contratto siglato di recente per la fornitura di tecnologia militare avanzata, tra cui un satellite spia del valore di un miliardo di dollari.
Il processo di normalizzazione tra Marocco e Israele sta progredendo, come dimostrato da un importante contratto siglato di recente per la fornitura di tecnologia militare avanzata, tra cui un satellite spia del valore di un miliardo di dollari.
Переслав з:
Giubbe Rosse

03.04.202519:19
🇵🇸🇮🇱 GAZA, ENNESIMO MASSACRO
Israele ha bombardato una scuola, provocando un nuovo massacro.
Gli attacchi aerei israeliani hanno preso di mira la scuola Dar Al-Arqam, piena di sfollati, nel quartiere Al-Tuffah di Gaza City. I primi resoconti parlano di 30 palestinesi uccisi.
🟥 SOSTIENI GIUBBE ROSSE
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Israele ha bombardato una scuola, provocando un nuovo massacro.
Gli attacchi aerei israeliani hanno preso di mira la scuola Dar Al-Arqam, piena di sfollati, nel quartiere Al-Tuffah di Gaza City. I primi resoconti parlano di 30 palestinesi uccisi.
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03.04.202513:08
La Striscia, già “sterilizzata” con una buffer zone interna spessa fino a un chilometro tutto intorno il confine con Israele, apparirebbe come una groviera inversa, con zone “svuotate” o “di combattimento attivo”, come le definisce l’Idf nei comunicati, e bolle piene di sfollati più o meno assistiti da iniziative umanitarie.
Meron Rapoport su +972 l’ha definita “campo di concentramento” (vedi intervista accanto): “Israele si sta preparando a trasferire con la forza l’intera popolazione di Gaza, attraverso una combinazione di ordini di evacuazione e intensi bombardamenti. Saranno aree chiuse, forse recintata, e chiunque venisse sorpreso al di fuori sarà ucciso”. Non è chiaro in che modo l’Idf ritiene di poter rendere “stagne” queste bolle rispetto alla guerriglia fluida di Hamas, (che secondo i servizi occidentali conterebbe ancora su 25 mila uomini, anche se con reclute più giovani e inesperte). Ma poco importa, perché l’obiettivo dell’operazione non sarebbe tanto il controllo, quanto spingere i palestinesi ad abbandonare la loro terra. Il nuovo capo dell’Idf, avrebbe per questo pronto un piano di invasione su vasta scala che mobiliterà nuove divisioni e molte unità di riservisti. Netanyahu punta a un “completo cambiamento delle regole del gioco”, con l’appoggio di Trump, scrive l’introdotto Amit Segal su Yedioth Ahronot.
Emigrazoine volontaria. Se l’estrema destra millenarista di Smotrich e Ben-Gvir vagheggia di reinsediare le colonie nella Striscia, la destra concreta attorno a Netanyahu sembra convinta che con Trump esistano le condizioni per provare a dare corpo all’idea di svuotare la Striscia dai palestinesi. Con una “emigrazione volontaria” ottenuta per sfinimento, sotto la pressione militare e a condizioni vitali tragiche. I media internazionali nelle ultime settimane hanno raccontato che Netanyahu avrebbe incaricato il Mossad di negoziare con il Sudan, il Sud Sudan e il Somaliland le condizioni perché accolgano i gazawi, con lo stesso spirito (e probabilmente risultati) con cui dopo il 1967 Tel Aviv guardava al Sud America. Il vero interlocutore, però, sarebbero i Paesi arabi confinanti. L’Egitto, la Giordania, forse il nuovo Libano con Hezbollah ridotto alla minorità e la nuova Siria post-Assad. Paesi che, con tutta la Lega araba, rifiutano da tempo l’idea. E hanno proposto un loro progetto di ricostruzione a Gaza, che aggiunge investimenti internazionali ma lascia Hamas e i palestinesi dove sono. Israele avrebbe anche già chiesto agli Usa di mediare con l’Egitto perché ritiri il suo esercito dal Sinai.
Le “bolle umanitarie”. Accanto ai piani militari, il governo e l’esercito stanno elaborando nuove regole per gestire e controllare i flussi di aiuti alla popolazione di Gaza. Documenti visionati dal Fatto, circolati tra le ong internazionali e lo staff Onu, delineano intenzioni precise (ma piani ancora vaghi) per acquisire il controllo della gestione dei flussi di aiuti, estromettendo gli attori internazionali.
Le bozze circolate parlano della creazione di hub logistici, detti anche “campi chiusi” o “bolle umanitarie”, isolati e protetti da militari o da società di sicurezza private (contractor egiziani e statunitensi sono stati dispiegati nella Striscia dopo il cessate il fuoco per limitare i flussi via terra dei palestinesi), con flussi di aiuti gestiti direttamente da Israele.
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2025/04/03/il-piano-per-la-strisci-a-divisa-subito-a-pezzi/7938430/
Meron Rapoport su +972 l’ha definita “campo di concentramento” (vedi intervista accanto): “Israele si sta preparando a trasferire con la forza l’intera popolazione di Gaza, attraverso una combinazione di ordini di evacuazione e intensi bombardamenti. Saranno aree chiuse, forse recintata, e chiunque venisse sorpreso al di fuori sarà ucciso”. Non è chiaro in che modo l’Idf ritiene di poter rendere “stagne” queste bolle rispetto alla guerriglia fluida di Hamas, (che secondo i servizi occidentali conterebbe ancora su 25 mila uomini, anche se con reclute più giovani e inesperte). Ma poco importa, perché l’obiettivo dell’operazione non sarebbe tanto il controllo, quanto spingere i palestinesi ad abbandonare la loro terra. Il nuovo capo dell’Idf, avrebbe per questo pronto un piano di invasione su vasta scala che mobiliterà nuove divisioni e molte unità di riservisti. Netanyahu punta a un “completo cambiamento delle regole del gioco”, con l’appoggio di Trump, scrive l’introdotto Amit Segal su Yedioth Ahronot.
Emigrazoine volontaria. Se l’estrema destra millenarista di Smotrich e Ben-Gvir vagheggia di reinsediare le colonie nella Striscia, la destra concreta attorno a Netanyahu sembra convinta che con Trump esistano le condizioni per provare a dare corpo all’idea di svuotare la Striscia dai palestinesi. Con una “emigrazione volontaria” ottenuta per sfinimento, sotto la pressione militare e a condizioni vitali tragiche. I media internazionali nelle ultime settimane hanno raccontato che Netanyahu avrebbe incaricato il Mossad di negoziare con il Sudan, il Sud Sudan e il Somaliland le condizioni perché accolgano i gazawi, con lo stesso spirito (e probabilmente risultati) con cui dopo il 1967 Tel Aviv guardava al Sud America. Il vero interlocutore, però, sarebbero i Paesi arabi confinanti. L’Egitto, la Giordania, forse il nuovo Libano con Hezbollah ridotto alla minorità e la nuova Siria post-Assad. Paesi che, con tutta la Lega araba, rifiutano da tempo l’idea. E hanno proposto un loro progetto di ricostruzione a Gaza, che aggiunge investimenti internazionali ma lascia Hamas e i palestinesi dove sono. Israele avrebbe anche già chiesto agli Usa di mediare con l’Egitto perché ritiri il suo esercito dal Sinai.
Le “bolle umanitarie”. Accanto ai piani militari, il governo e l’esercito stanno elaborando nuove regole per gestire e controllare i flussi di aiuti alla popolazione di Gaza. Documenti visionati dal Fatto, circolati tra le ong internazionali e lo staff Onu, delineano intenzioni precise (ma piani ancora vaghi) per acquisire il controllo della gestione dei flussi di aiuti, estromettendo gli attori internazionali.
Le bozze circolate parlano della creazione di hub logistici, detti anche “campi chiusi” o “bolle umanitarie”, isolati e protetti da militari o da società di sicurezza private (contractor egiziani e statunitensi sono stati dispiegati nella Striscia dopo il cessate il fuoco per limitare i flussi via terra dei palestinesi), con flussi di aiuti gestiti direttamente da Israele.
https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2025/04/03/il-piano-per-la-strisci-a-divisa-subito-a-pezzi/7938430/
Переслав з:
Lettera da Mosca

07.04.202506:35
MUNIZIONI UNGHERESI - Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, in un video da Budapest sullo sfondo di soldati ungheresi, ha detto prima di partire per gli Stati Uniti per incontrare Trump che Israele e l'Ungheria stanno discutendo una produzione congiunta di munizioni per sostenere la spinta di Israele verso la "vittoria totale".


31.03.202509:45
—❗️🇮🇷/🇺🇸 - Secondo quanto riportato dal Tehran Times, centinaia di missili balistici iraniani sono stati posizionati su lanciatori all'interno di basi strategiche sotterranee distribuite in tutto il Paese e sarebbero pronti al lancio in caso di un'eventuale azione aggressiva da parte degli Stati Uniti.
https://x.com/TehranTimes79/status/1906420102603440550?t=HJ_W01NjrGgvUw3NezTj7g&s=19
https://x.com/TehranTimes79/status/1906420102603440550?t=HJ_W01NjrGgvUw3NezTj7g&s=19
03.04.202513:13
“Netanyahu vuole affamare i gazawi fino a farli scappare ”
“Cominceranno ammassandoli nelle zone ‘umanitarie’ come campi di concentramento”
Ric. Ant.
“Campo di concentramento”. Nell’ultimo intervento su Local Call e 972, Meron Rapoport definisce così la strategia militare che Israele sta applicando a Gaza, ora che la guerra è ripartita, in cielo e in terra, e sono tornate le cosiddette “zone umanitarie” per i palestinesi. Un progetto che Netnayahu chiama da un po’ “piano Trump”: “Ma Trump non ne parla più, è Bibi che gli sta dando forma”.
Ieri il ministro della Difesa Katz ha annunciato che l’operazione militare sulla Striscia si espanderà e punterà a conquistare stabilmente territorio. È una nuova strategia?
Da settimane il governo Netanyahu parla di annettere parti di Gaza, se Hamas non accetterà le condizioni israeliane per la liberazione degli ostaggi. Non è chiaro cosa intendano, visto che un’annessione vera e propria, cioè sancita legalmente, non l’hanno fatta neanche in Cisgiordania, dopo il 1967. Mi sembra più opportuno parlare di una sorta di piano dei generali per svuotare territorio dalla popolazione palestinese e installare presidi militari fissi. Non è una novità, Israele lo ha sempre fatto senza grossi impedimenti ed era così anche a Jabalia prima dell’ultimo cessate il fuoco. La vera questione invece è capire se davvero stiamo andando verso l’attuazione di quello che Netanyahu chiama ‘piano Trump’.
“Gaza riviera” sembrava poco più di una battuta, è diventata una cosa concreta nella mente del premier?
La novità è questa. Nel governo si ragiona di come espellere 2 milioni di abitanti da Gaza. O meglio, per quanto si capisce, obbligare gli abitanti a concentrarsi (di nuovo) nella zona costiera di Al Mawasi e svuotare tutto il resto. Non ho mai sentito l’ex capo di Stato Maggiore Herzi Halevi parlare di una cosa del genere. Ora sembra affiorare questa logica di costruire zone, forse recintate, in cui concentrare i palestinesi. Katz per allusioni ci ha aggiunto anche la demolizione di tutti gli edifici fuori da quei perimetri. Il senso di questo piano è fare pressione sui palestinesi per spingerli a emigrare. Si ritiene che, trovandosi a vivere in tenda sulla sabbia alle totali dipendenze degli aiuti umanitari che Israele concederà di far entrare, molti palestinesi supplicheranno di andare via. E che gli Stati arabi che finora li hanno rifiutati (Egitto, Giordania, ecc) dovranno piegarsi ad accoglierli. A parte il fatto che si tratta di un piano infernale, cosa accadrà se i gazawi vorranno restare, o se i Paesi arabi continueranno a negargli l’accesso? La vita di 2 milioni di persone sarà a rischio. Per riuscirci, però, bisognerà richiamare i riservisti, e il governo esita perché teme di ricevere troppi rifiuti: sarebbe un colpo tremendo alla coesione sociale di Israele.
Rispetto all’inizio della guerra, c’è un nuovo capo di Stato maggiore e il ministro della Difesa non è più Gallant, ma Katz…
E si vede la differenza. La novità più grande è il piano per l’evacuazione, che ho definito dei ‘campi di concentramento’. Ma non è l’unica. Israele non aveva imposto il blocco totale degli aiuti umanitari neanche dopo il 7 ottobre, se non per pochi giorni. Lo stato d’assedio totale è inedito. Anche i bombardamenti delle ultime due settimane sono diversi: si concentrano esplicitamente su obiettivi civili, i bersagli sono in molti casi funzionari politici di Hamas, non militari, e i danni collaterali sono enormi, basti ricordare gli oltre 400 morti del primo giorno, di cui la metà donne e bambini. Di certo, il governo è stato incoraggiato dal vedere che la comunità internazionale ha lasciato correre sui crimini di guerra e contro l’umanità commessi.
Se è vero che l’intensità della guerra è inversamente proporzionale alla popolarità di Netanyahu, e ora è scoppiato pure il caso Qatargate, è l’inizio della fine per lui?
“Cominceranno ammassandoli nelle zone ‘umanitarie’ come campi di concentramento”
Ric. Ant.
“Campo di concentramento”. Nell’ultimo intervento su Local Call e 972, Meron Rapoport definisce così la strategia militare che Israele sta applicando a Gaza, ora che la guerra è ripartita, in cielo e in terra, e sono tornate le cosiddette “zone umanitarie” per i palestinesi. Un progetto che Netnayahu chiama da un po’ “piano Trump”: “Ma Trump non ne parla più, è Bibi che gli sta dando forma”.
Ieri il ministro della Difesa Katz ha annunciato che l’operazione militare sulla Striscia si espanderà e punterà a conquistare stabilmente territorio. È una nuova strategia?
Da settimane il governo Netanyahu parla di annettere parti di Gaza, se Hamas non accetterà le condizioni israeliane per la liberazione degli ostaggi. Non è chiaro cosa intendano, visto che un’annessione vera e propria, cioè sancita legalmente, non l’hanno fatta neanche in Cisgiordania, dopo il 1967. Mi sembra più opportuno parlare di una sorta di piano dei generali per svuotare territorio dalla popolazione palestinese e installare presidi militari fissi. Non è una novità, Israele lo ha sempre fatto senza grossi impedimenti ed era così anche a Jabalia prima dell’ultimo cessate il fuoco. La vera questione invece è capire se davvero stiamo andando verso l’attuazione di quello che Netanyahu chiama ‘piano Trump’.
“Gaza riviera” sembrava poco più di una battuta, è diventata una cosa concreta nella mente del premier?
La novità è questa. Nel governo si ragiona di come espellere 2 milioni di abitanti da Gaza. O meglio, per quanto si capisce, obbligare gli abitanti a concentrarsi (di nuovo) nella zona costiera di Al Mawasi e svuotare tutto il resto. Non ho mai sentito l’ex capo di Stato Maggiore Herzi Halevi parlare di una cosa del genere. Ora sembra affiorare questa logica di costruire zone, forse recintate, in cui concentrare i palestinesi. Katz per allusioni ci ha aggiunto anche la demolizione di tutti gli edifici fuori da quei perimetri. Il senso di questo piano è fare pressione sui palestinesi per spingerli a emigrare. Si ritiene che, trovandosi a vivere in tenda sulla sabbia alle totali dipendenze degli aiuti umanitari che Israele concederà di far entrare, molti palestinesi supplicheranno di andare via. E che gli Stati arabi che finora li hanno rifiutati (Egitto, Giordania, ecc) dovranno piegarsi ad accoglierli. A parte il fatto che si tratta di un piano infernale, cosa accadrà se i gazawi vorranno restare, o se i Paesi arabi continueranno a negargli l’accesso? La vita di 2 milioni di persone sarà a rischio. Per riuscirci, però, bisognerà richiamare i riservisti, e il governo esita perché teme di ricevere troppi rifiuti: sarebbe un colpo tremendo alla coesione sociale di Israele.
Rispetto all’inizio della guerra, c’è un nuovo capo di Stato maggiore e il ministro della Difesa non è più Gallant, ma Katz…
E si vede la differenza. La novità più grande è il piano per l’evacuazione, che ho definito dei ‘campi di concentramento’. Ma non è l’unica. Israele non aveva imposto il blocco totale degli aiuti umanitari neanche dopo il 7 ottobre, se non per pochi giorni. Lo stato d’assedio totale è inedito. Anche i bombardamenti delle ultime due settimane sono diversi: si concentrano esplicitamente su obiettivi civili, i bersagli sono in molti casi funzionari politici di Hamas, non militari, e i danni collaterali sono enormi, basti ricordare gli oltre 400 morti del primo giorno, di cui la metà donne e bambini. Di certo, il governo è stato incoraggiato dal vedere che la comunità internazionale ha lasciato correre sui crimini di guerra e contro l’umanità commessi.
Se è vero che l’intensità della guerra è inversamente proporzionale alla popolarità di Netanyahu, e ora è scoppiato pure il caso Qatargate, è l’inizio della fine per lui?
Переслав з:
Giubbe Rosse



07.04.202520:05
🇺🇸🇮🇱 SALA OVALE. TRUMP SPINGE LA SEDIA PER FAR ACCOMODARE NETANYAHU
Trump afferma che gli Stati Uniti stanno tenendo colloqui diretti con l'Iran e che un "grande incontro" è previsto per sabato.
Dall'Iran fanno sapere, invece, che sono in corso negoziati indiretti e che le richieste di negoziati diretti sono state ignorate.
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07.04.202506:27
Un altro crimine si consuma a Gaza. Un attacco aereo israeliano ha colpito deliberatamente una tenda dove si rifugiavano giornalisti palestinesi, all’esterno dell’ospedale Nasser di Khan Younis, nel sud della Striscia. Il bilancio è devastante: due giornalisti uccisi, altri sei feriti, uno dei quali bruciato vivo davanti alle telecamere. Le immagini, dure e strazianti, mostrano la brutalità di un’aggressione che non risparmia nemmeno chi documenta la verità.
Ancora una volta, Israele prende di mira chi cerca di raccontare l’orrore, chi alza la voce, chi prova a rompere il silenzio su una delle più gravi catastrofi umanitarie dei nostri tempi. Colpire i giornalisti palestinesi è un attacco diretto alla verità, un tentativo vile di spegnere ogni voce libera nella Striscia di Gaza.
Non si tratta di “danni collaterali”, ma di una strategia di terrore sistematica, contro un popolo sotto assedio. Gaza brucia e il mondo continua a voltarsi dall’altra parte, ignorando la sofferenza di milioni di civili palestinesi privati di tutto: casa, diritti, dignità, vita. Questi giornalisti stavano solo facendo il loro dovere, cercando di mostrare al mondo quello che molti si rifiutano di vedere.
Il silenzio è complicità. La solidarietà con il popolo palestinese è oggi più urgente che mai.
#FreePalestine #GazaUnderAttack #StopIsraeliTerrorism #ProtectJournalists #EndTheOccupation #HumanRights #JusticeForPalestine #StandWithGaza #NakbaContinua
Ancora una volta, Israele prende di mira chi cerca di raccontare l’orrore, chi alza la voce, chi prova a rompere il silenzio su una delle più gravi catastrofi umanitarie dei nostri tempi. Colpire i giornalisti palestinesi è un attacco diretto alla verità, un tentativo vile di spegnere ogni voce libera nella Striscia di Gaza.
Non si tratta di “danni collaterali”, ma di una strategia di terrore sistematica, contro un popolo sotto assedio. Gaza brucia e il mondo continua a voltarsi dall’altra parte, ignorando la sofferenza di milioni di civili palestinesi privati di tutto: casa, diritti, dignità, vita. Questi giornalisti stavano solo facendo il loro dovere, cercando di mostrare al mondo quello che molti si rifiutano di vedere.
Il silenzio è complicità. La solidarietà con il popolo palestinese è oggi più urgente che mai.
#FreePalestine #GazaUnderAttack #StopIsraeliTerrorism #ProtectJournalists #EndTheOccupation #HumanRights #JusticeForPalestine #StandWithGaza #NakbaContinua
03.04.202513:08
Il piano per la strisci a: divisa subito a pezzi
Tel Aviv punta all’emigrazione “volontaria” e fa pressione sull’Egitto (via Usa) a cui chiede il ritiro dei soldati dall’area del Sinai
Riccardo Antoniucci
Il 2025 sarà ancora “un anno di guerra”, ha detto il nuovo capo di stato maggiore dell’esercito israeliano, Eyal Zamir, nel suo primo discorso dopo l’insediamento a inizio marzo. L’ex capo del comando meridionale dell’Idf, già segretario militare di Benjamin Netanyahu, ha sostituito Herzi Halevi che il premier ha volentieri lasciato dimettere per addossargli la colpa delle falle di sicurezza del massacro del 7 ottobre 2023. Due settimane dopo quel discorso, il 18 marzo, Netanyahu ha ordinato a Zamir di riprendere le operazioni militari nella Striscia, buttando la colpa alla malafede di Hamas nei negoziati per il rilascio degli ultimi ostaggi. Da allora, i bombardamenti hanno ucciso oltre 1.000 persone, secondo i dati delle autorità di Gaza (il bilancio delle vittime dall’inizio del conflitto supera ormai 50 mila), sono riprese le operazioni via terra e sui telefoni dei gazawi (sia quelli tornati a Gaza City, Jabalia e Beit Lahia, sia quelli che dal distretto costiero di Al Mawasi avevano preferito andare a piantare le tende sopra le macerie delle loro case di Khan Younis o di Rafah) sono ricomparsi gli ordini di evacuazione.
Il ministro della Difesa di Tel Aviv Israel Katz (che ha sostituito Yoav Gallant), ha annunciato che le operazioni dell’Idf si espanderanno per “conquistare ampie aree che saranno incorporate nelle zone di sicurezza israeliane”. Poco dopo, Netanyahu ha annunciato che l’esercito stava “dividendo la Striscia” un’altra volta, creando un nuovo “corridoio” tra Rafah e Khan Younis, lungo la strada Morag. L’obiettivo dichiarato, “fare pressione su Hamas per il rilascio di tutti gli ostaggi”. Più vasto quello reale: costringere i palestinesi a un nuovo sfollamento verso aree ristrette della Striscia controllate a vista e svuotare tutto il resto dai suoi abitanti, nella prospettiva di spingere quanti più gazawi a emigrare. Con il beneplacito degli Usa di Donald Trump. Alle condizioni umanitarie attuali, con gli aiuti bloccati, gli ospedali ai minimi termini e le ultime panetterie chiuse, l’aggiunta dell’aggettivo “volontaria” a qualificare questa evacuazione appare un orpello.
Nuova strategia. Durante il primo anno di guerra, l’Idf ha proceduto svuotando progressivamente la Striscia lungo l’asse nord-sud, spingendo i civili palestinesi da Gaza city fino a Rafah e circondando le sacche di resistenza di Hamas. Oggi l’operazione militare ha parzialmente cambiato strategia. Discontinuità che Zamir ha l’interesse a cercare per lasciare il suo segno sulla più lunga offensiva nella Striscia mai lanciata (già dieci volte più lunga di Margine protettivo del 2014), ma le cui radici si trovano già “nell’isolamento” di Jabalia nei due mesi prima della tregua di gennaio.
Già a inizio marzo, prima che la tregua precipitasse, al Wall Street Journal erano arrivati piani per una “seconda invasione di Gaza con una potenza militare molto maggiore di quella dispiegata finora” e “l’obiettivo di mantenere il terreno e occupare”. Finora, l’offensiva si è incardinata sulla linea di forza nord-sud, tagliata in perpendicolare dai “corridoi” di Philadelphia (che sterilizza il confine con l’Egitto e chiude il valico) e Netzarim, appena a sud di Gaza City (che l’Idf dopo la tregua ha smobilitato con un “arrivederci presto”). Ora si aggiunge il terzo “taglio” di Morag a metà tra le due, ma soprattutto la strategia diventa ancora più “rizomatica” (già vice del generale Kochavi, anche Zamir è stato alla scuola del warfare new age che ha adattato la filosofia postmoderna deleuziana alle tattiche di counter insurgency, anti-guerriglia). L’idea che filtra, secondo fonti militari citate da diversi media israeliani, è moltiplicare le “aree umanitarie” in cui relegare i civili, come la zona costiera di Al Mawasi.
Tel Aviv punta all’emigrazione “volontaria” e fa pressione sull’Egitto (via Usa) a cui chiede il ritiro dei soldati dall’area del Sinai
Riccardo Antoniucci
Il 2025 sarà ancora “un anno di guerra”, ha detto il nuovo capo di stato maggiore dell’esercito israeliano, Eyal Zamir, nel suo primo discorso dopo l’insediamento a inizio marzo. L’ex capo del comando meridionale dell’Idf, già segretario militare di Benjamin Netanyahu, ha sostituito Herzi Halevi che il premier ha volentieri lasciato dimettere per addossargli la colpa delle falle di sicurezza del massacro del 7 ottobre 2023. Due settimane dopo quel discorso, il 18 marzo, Netanyahu ha ordinato a Zamir di riprendere le operazioni militari nella Striscia, buttando la colpa alla malafede di Hamas nei negoziati per il rilascio degli ultimi ostaggi. Da allora, i bombardamenti hanno ucciso oltre 1.000 persone, secondo i dati delle autorità di Gaza (il bilancio delle vittime dall’inizio del conflitto supera ormai 50 mila), sono riprese le operazioni via terra e sui telefoni dei gazawi (sia quelli tornati a Gaza City, Jabalia e Beit Lahia, sia quelli che dal distretto costiero di Al Mawasi avevano preferito andare a piantare le tende sopra le macerie delle loro case di Khan Younis o di Rafah) sono ricomparsi gli ordini di evacuazione.
Il ministro della Difesa di Tel Aviv Israel Katz (che ha sostituito Yoav Gallant), ha annunciato che le operazioni dell’Idf si espanderanno per “conquistare ampie aree che saranno incorporate nelle zone di sicurezza israeliane”. Poco dopo, Netanyahu ha annunciato che l’esercito stava “dividendo la Striscia” un’altra volta, creando un nuovo “corridoio” tra Rafah e Khan Younis, lungo la strada Morag. L’obiettivo dichiarato, “fare pressione su Hamas per il rilascio di tutti gli ostaggi”. Più vasto quello reale: costringere i palestinesi a un nuovo sfollamento verso aree ristrette della Striscia controllate a vista e svuotare tutto il resto dai suoi abitanti, nella prospettiva di spingere quanti più gazawi a emigrare. Con il beneplacito degli Usa di Donald Trump. Alle condizioni umanitarie attuali, con gli aiuti bloccati, gli ospedali ai minimi termini e le ultime panetterie chiuse, l’aggiunta dell’aggettivo “volontaria” a qualificare questa evacuazione appare un orpello.
Nuova strategia. Durante il primo anno di guerra, l’Idf ha proceduto svuotando progressivamente la Striscia lungo l’asse nord-sud, spingendo i civili palestinesi da Gaza city fino a Rafah e circondando le sacche di resistenza di Hamas. Oggi l’operazione militare ha parzialmente cambiato strategia. Discontinuità che Zamir ha l’interesse a cercare per lasciare il suo segno sulla più lunga offensiva nella Striscia mai lanciata (già dieci volte più lunga di Margine protettivo del 2014), ma le cui radici si trovano già “nell’isolamento” di Jabalia nei due mesi prima della tregua di gennaio.
Già a inizio marzo, prima che la tregua precipitasse, al Wall Street Journal erano arrivati piani per una “seconda invasione di Gaza con una potenza militare molto maggiore di quella dispiegata finora” e “l’obiettivo di mantenere il terreno e occupare”. Finora, l’offensiva si è incardinata sulla linea di forza nord-sud, tagliata in perpendicolare dai “corridoi” di Philadelphia (che sterilizza il confine con l’Egitto e chiude il valico) e Netzarim, appena a sud di Gaza City (che l’Idf dopo la tregua ha smobilitato con un “arrivederci presto”). Ora si aggiunge il terzo “taglio” di Morag a metà tra le due, ma soprattutto la strategia diventa ancora più “rizomatica” (già vice del generale Kochavi, anche Zamir è stato alla scuola del warfare new age che ha adattato la filosofia postmoderna deleuziana alle tattiche di counter insurgency, anti-guerriglia). L’idea che filtra, secondo fonti militari citate da diversi media israeliani, è moltiplicare le “aree umanitarie” in cui relegare i civili, come la zona costiera di Al Mawasi.
03.04.202519:23
La giornalista palestinese Haya Murtaja è deceduta dopo un arresto cardiaco provocato dal terrore scatenato dai violenti bombardamenti israeliani, avvenuti in seguito alla rottura del cessate il fuoco da parte dell’esercito israeliano e alla ripresa della sua offensiva su Gaza.
Ricoverata per diversi giorni in terapia intensiva, è stata infine dichiarata morta, suscitando un’ondata di commozione e dolore tra la popolazione palestinese e tra gli attivisti pro-Palestina di tutto il mondo.
La sua tragica scomparsa ha evidenziato in modo straziante la paura paralizzante e il profondo trauma psicologico vissuti quotidianamente dal popolo di Gaza.
Ricoverata per diversi giorni in terapia intensiva, è stata infine dichiarata morta, suscitando un’ondata di commozione e dolore tra la popolazione palestinese e tra gli attivisti pro-Palestina di tutto il mondo.
La sua tragica scomparsa ha evidenziato in modo straziante la paura paralizzante e il profondo trauma psicologico vissuti quotidianamente dal popolo di Gaza.


31.03.202517:48
— 🇮🇷 Il Generale di Brigata Amirali Hajizadeh, comandante delle Forze Aerospaziali dell’IRGC, ha dichiarato:
«Gli Stati Uniti hanno circa 10 basi militari nella nostra regione, con circa 50.000 soldati. Questo significa che stanno seduti in una casa di vetro — e chi vive in una casa di vetro non dovrebbe lanciare pietre.»
Nel frattempo, il Ministro degli Esteri iraniano Abbas Araqchi ha aggiunto:
«Se Trump pensa di poter intimidire l’Iran, si sbaglia. L’Iran non permetterà a nessuno di rivolgersi a noi con il linguaggio della forza — non ci pieghiamo di fronte alle minacce.»
«Gli Stati Uniti hanno circa 10 basi militari nella nostra regione, con circa 50.000 soldati. Questo significa che stanno seduti in una casa di vetro — e chi vive in una casa di vetro non dovrebbe lanciare pietre.»
Nel frattempo, il Ministro degli Esteri iraniano Abbas Araqchi ha aggiunto:
«Se Trump pensa di poter intimidire l’Iran, si sbaglia. L’Iran non permetterà a nessuno di rivolgersi a noi con il linguaggio della forza — non ci pieghiamo di fronte alle minacce.»
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