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25.04.202510:09
Noi oggi sappiamo che sin dall’inizio la gestione della strategia pandemica ha visto la presenza attiva di esperti militari, rappresentanti della Nato che assistevano alle riunioni dei “comitati scientifici”. La motivazione, naturalmente, può essere del tutto comprensibile: poteva trattarsi di un attacco batteriologico e il coordinamento in ottica militare era una reazione sensata. Solo che, al netto del buon senso e anche al netto dell’origine del virus (che oggi sembra oramai accertato essere un prodotto di laboratorio), ciò che è avvenuto davanti ai nostri occhi è stato un cambiamento di paradigma geopolitico epocale, in cui oggi siamo immersi.

Per la prima volta dalla seconda guerra mondiale la società occidentale è stata subordinata a meccanismi di sorveglianza, inquadramento e controllo di tipo militare, coprifuoco, lockdown, patentini, sistemi di videosorveglianza. Per la prima volta il controllo sull’informazione è stato capillare, con pressioni ai più alti livelli sulle agenzie di stampa e sui social media per bloccare la diffusione di informazioni contrarie alla “ragion di stato”. E che dire delle riviste scientifiche, dove come denunciato da quei pochi che hanno cercato di sottrarvisi (tra le maggiori l’unica eccezione è stata il British Medical Journal) era divenuto virtualmente impossibile pubblicare alcunché che potesse ostacolare lo “sforzo bellico” dell’inoculazione di massa. Che dire degli ordini dei medici e del loro utilizzo disciplinare con sanzioni pesantissime nei confronti di quei medici che, esercitando in scienza e coscienza, ritenevano di dover dissuadere alcuni tra i loro pazienti all’assunzione di un farmaco sperimentale? (Non entro neppure nella serie infinita di schiette idiozie dal punto di vista scientifico che sono state fatte passare per “la Voce della Scienza”, come i mix di vaccini diversi – del tutto privi di sperimentazione – o l’utilizzo raccomandato per donne in stato di gravidanza – laddove le stesse case farmaceutiche affermavano non essere stata condotta alcuna sperimentazione.)

Questo straordinario accentramento del controllo, questo disciplinamento autoritario di quasi un miliardo di persone, utilizzando una chiave di lettura per definizione inaccessibile all’accertamento del grande pubblico – la minaccia di un virus – ha oliato meccanismi di straordinaria pericolosità per tutto ciò che riteniamo essere democrazia. Questo meccanismo ha dato prova di sé così eccellente che a tutt’oggi una maggioranza della popolazione pensa che non sia successo niente, che sia tutto come prima, che viviamo in festose liberaldemocrazie – opposte a quei luoghi di oscurità retriva in cui vivono gli altri 7 ottavi del pianeta.

Ecco, mi sono dilungato sin troppo, anche se non ho detto neanche un centesimo di tutto quello che si potrebbe dire. Quello che mi preme sottolineare in conclusione è solo una cosa. Le ragioni per cui la vicenda pandemica non solo non deve, ma non può essere lasciata dietro le spalle sono ragioni fondamentali.
Esse hanno a che fare con ferite morali non sanate, con conseguenze pratiche lasciate cadere in un oblio senza colpevoli e soprattutto con uno straordinario cambiamento di paradigma nella gestione del potere di quella parte di mondo che ci compiacciamo di chiamare “liberaldemocratico”. Con un potenziale orizzonte bellico che oscura sempre di più l’orizzonte dell’Europa – spiace dirlo – ma ciò di cui avremmo bisogno non è affatto di “lasciarci dietro le spalle” quello che è accaduto, ma, semmai, di renderlo finalmente oggetto di un’aperta e diffusa analisi pubblica.
06.04.202510:15
La manifestazione di ieri a Roma, promossa dal M5S, contro il riarmo forzoso ha avuto un indubbio successo. Anche la manifestazione minore promossa da DSP a Milano ha avuto un buon successo.
Questi sono segni importanti del fatto che i temi toccati sono temi diffusamente sentiti, e che esiste di nuovo una volontà di partecipazione.

Qui però si apre un dilemma di davvero difficile soluzione.

Non vi è dubbio che uno dei punti di forza della manifestazione di ieri a Roma dal punto di vista organizzativo sta nel fatto che a promuoverla è stato un partito con robusta rappresentanza parlamentare e relativi mezzi.
Per questo motivo è stato difficile per l'apparato mediatico ignorarla sia nella fase promozionale che dopo.

Che una qualificata rappresentanza della popolazione sia riuscita a far sentire la propria voce in una situazione mediatica catastrofica, con un sistema di censure e manipolazioni sistematico, è cosa importante, di cui essere lieti.

Ma il prezzo da pagare per questo successo organizzativo è stato di accreditare come suo alfiere il partito che più di ogni altro ha contribuito alla disaffezione politica negli ultimi anni, cioè il M5S.

Lo dico, sia ben chiaro, senza nessun piacere, lo dico come uno dei molti che in una certa fase aveva accreditato il M5S come l'apertura di una nuova stagione politica, salvo trovarsi poi davanti ad un partito che si è spalmato sistematicamente sui compagni di viaggio (alleati di governo) di volta in volta disponibili, passando con serenità, dalla Lega, a Draghi, al PD. Il M5S in questi anni si è dimostrato oltre ogni possibile dubbio un contenitore ondivago e opportunista, privo di direzione autonoma, privo di una linea coerente, privo di una visione organica della società, dell'economia, del futuro del paese. Il M5S è lo Zelig della politica, si trasforma a seconda di come cambia l'aria intorno a sé.
(In questo ha superato in capacità trasformistiche il PD, da sempre partito di lotta e di governo, dei lavoratori e per la distruzione della condizioni di vita dei lavoratori, per l'Europa ma anche per la globalizzazione e per l'orgoglio italiano, per la pace, ma per una guerra ecosostenibile e consapevole, libertario ma per la censura, ecc. ecc.).
Per carità di patria non ricorderò le giravolte del M5S, esemplarmente rappresentate da quello che ne è stato a lungo il capo politico, Luigi Di Maio.

Ora, che lo abbia fatto in buona fede o meno, che sia stato manipolato dall'esterno o che semplicemente sia accaduto per un destino avverso, comunque il significato della parabola del M5S nella recente storia d'Italia è stato uno e solo uno: ha ribadito con voce stentorea agli italiani il detto thatcheriano "Non C'è Nessuna Alternativa" (TINA).

Di fatto l'enorme potenziale di protesta, disgusto, rabbia, della popolazione italiana dopo la crisi subprime (2007-2008) è stata raccolta dal M5S (che nasce nel 2009), veicolata e instradata istituzionalmente, e alla fine neutralizzata in un movimento liquido, fluttuante, mimetico, che ha semplicemente fatto da ufficio di collocamento di lusso per persone spesso con formazione gravemente inadeguata per rappresentare alcunché al di là di sé stessi.

Ora, io credo che si debba salutare con gioia il successo di tutte le manifestazioni a favore della pace e contrarie ad una riconversione bellicista dell'economia. In questa fase storica, mettere in chiaro nelle piazze che quel progetto non verrà accettato in silenzio è importante.
Ed è anche importante riuscire a trovare sintesi politiche non esageratamente schizzinose, che evitino un purismo oggi infecondo e si concentrino su un numero limitato di grandi direttrici (pacifismo, rafforzamento dello stato sociale all'interno, accettazione di una prospettiva multipolare all'esterno, almeno).

Ma se questo indirizzo politico deve essere consegnato, come suo rappresentante esemplare ed egemonico a Giuseppe Conte e al Movimento Cinque Stelle, francamente il meteorite prossimo venturo possiamo aspettarlo anche sgranocchiando pop corn davanti alla TV, senza andare a sbatterci in piazza.
27.03.202509:17
In questo momento, come un lampo che squarcia le tenebre notturne, per un istante si riesce a vedere cosa si agita dietro le quinte e si mettono in fila con coerenza i tappi di plastica che non si staccano, le politiche green di autoevirazione industriale, i contratti miliardari per la fornitura di 10 vaccini a testa fatti via sms (e distrattamente cancellati), e la sfida in leasing alla Russia (si finalizza nel 2030, intanto paghiamo le rate), ecc. ecc.

A morte il tedioso principio di realtà: finalmente la fantasia al potere.
Tanto il conto è a carico vostro.
https://www.google.com/search?q=video+ue+72+ore&rlz=1C1GCEA_enIT1075IT1075&oq&gs_lcrp=EgZjaHJvbWUqCQgAECMYJxjqAjIJCAAQIxgnGOoCMgkIARAjGCcY6gIyCQgCECMYJxjqAjIJCAMQIxgnGOoCMgkIBBAjGCcY6gIyCQgFECMYJxjqAjIJCAYQIxgnGOoCMgkIBxAjGCcY6gLSAQg4NzBqMGoxNagCCLACAfEFJaRj2Uxda_jxBSWkY9lMXWv4&sourceid=chrome&ie=UTF-8&fbclid=IwY2xjawJR9oRleHRuA2FlbQIxMQABHSS2FWn_nfDCuvUs-Y3dsNmGiKoPPl0ar9PvY77SAXFKJ30SO0yUzMc06w_aem_LbYp0EH4kYmthd7pJ3SsuA#fpstate=ive&vld=cid:fddda2eb,vid:ytHLLwlwqvo,st:0
17.03.202510:07
Della manifestazione del 15 marzo in Piazza del Popolo a Roma molte cose possono essere notate, molti particolari inquietanti, ma uno sguardo complessivo, di cornice ci consegna credo un’immagine chiara del suo significato.

Si tratta di una piazza prevalentemente composta di anziani e qualche persona di mezza età - e questo di per sé non sarebbe niente di male – se l’età avanzata corrispondesse ad un avvenuto processo di maturazione. Purtroppo quello che invece colpisce è proprio la totale inconsapevolezza nei partecipanti della propria collocazione storica e del concetto guida che li doveva accomunare in quella piazza: l’Europa.

Da un lato c’erano quelli che proponevano una visione romantica dell’Europa culturale. Certo, si poteva trovare un alfiere meno imbarazzante di Vecchioni, autore di un discorso che al tempo stesso trasudava razzismo culturale e manifestava una raccapricciante superficialità, affastellando nomi celebri come figurine dei Pokemon, senza neppure rendersi conto che praticamente tutti i nomi fatti (Hegel, Marx, Leopardi, Manzoni, ecc.) erano letteralmente agli antipodi di tutto quanto quella piazza esprimeva.
Ma già il fatto di pensare che la tradizione culturale europea e le politiche dell’Unione Europea avessero qualcosa a che spartire è indice di una sprovvedutezza rimarchevole, visto che da trent'anni l’intera spinta dinamica delle “riforme culturali europee” sono state all’insegna di un'americanizzazione spinta dei modelli di formazione.

Dall’altro lato c’erano gli “altroeuropeisti” che vogliono sostenere l’Unione Europea, solo una “Europa diversa”. Questi li conosco bene, perché fino agli inizi degli anni 2000 ne facevo ingenuamente parte. Questi soggetti li si sgama facilmente perché utilizzano in maniera sostanzialmente indifferente “Unione Europea”, “Europa” e, spesso, “Comunità Europea”. Si tratta di persone che, in buona fede, hanno immaginato in gioventù un’Europa welfarista, sociale, convinti in qualche modo che quell’episodio storico (i “30 gloriosi”) fosse in qualche modo intrinsecamente associato al progetto europeo. A questi è sfuggito integralmente come ad inizio anni ’90, nell’atmosfera culturale della caduta del muro di Berlino e del trionfo liberale cantato da Fukuyama, si redigessero nuovi trattati europei, vigorosamente animati dallo spirito neoliberale, e strutturati in maniera da NON ESSERE EMENDABILI.

Infatti l’articolo 48 del Trattato sull’Unione Europea stabilisce che qualunque modifica dei trattati fondativi (ad esempio, l’introduzione del voto a maggioranza semplice su alcune materie, o l’introduzione della capacità del Parlamento di proporre le leggi, oggi riservato alla Commissione, ecc.) devono avvenire con voto UNANIME.

Dunque, ad esempio, se qualche “altroeuropeista” animato da spirito autenticamente sociale, volesse cambiare la direzione neoliberale della politica europea, dovrebbe ad esempio ottenere una modifica del cruciale articolo 2 del Trattato di Costituzione della Banca Centrale Europea. Questo articolo stabilisce per la BCE la priorità della funzione di stabilizzazione della moneta a scapito di ogni altra funzione economica (ad esempio, di politica industriale o di ricerca della piena occupazione). Ma per cambiare questo articolo – che incarna il più classico monetarismo antikeynesiano – ci sarebbe bisogno di un voto unanime di tutti i 27 paesi dell’Unione.
Il che, come è facile comprendere, non avverrà mai, passassero mille anni, perché richiederebbe la miracolosa coordinazione per cui simultaneamente in tutti i 27 stati prevalessero alle elezioni partiti con una robusta agenda welfarista (oggi quasi estinti, o ampiamente minoritari).

Ergo, stiamo parlando di niente, fuffa, fantapolitica, e dunque in realtà, di preservazione dello status quo e della medesima rotta degli ultimi decenni.
Segnalo per gli interessati l'incontro di questo sabato a Roma
08.03.202515:46
Da allora sono passati altri 16 anni e l’ampliamento della forbice tra ricchi e poveri, il mercatismo astratto, il moralismo autoritario, il burocratismo ottuso, lo snobismo oligarchico sono diventati sempre più evidenti, costantemente confermati e ribaditi.

Con la crisi pandemica l’accelerazione in senso autoritario è stata brusca. Certo, molti credono ancora che quell’esplosione di emergenzialismo autoritario fosse solo un accidente, una necessità fatale di fronte all’imponderabile.
E d’altro canto esiste ancora chi giura che Elvis è vivo e lotta insieme a noi.

Dal 24 febbraio 2022 l’emergenzialismo autoritario pandemico è stato sostituito dall’emergenzialismo autoritario bellico.

Ora, siamo di fronte ad un’altra possibile svolta, perché la pace incombe minacciosa sul fronte orientale. Come recitava quel film di Alberto Sordi: “Finché c’è guerra c’è speranza”, e di fronte alla temibile ombra della pace, l’oligarchia europea teme di perdere la propria leva emergenziale, quella leva che nel nome di pericoli collettivi supremi attribuisce poteri sostanzialmente arbitrari al nucleo di comando europeo. Invece una prospettiva di guerra perennemente incombente è il sogno bagnato delle élite, non da oggi: consente di drenare qualunque risorsa pubblica senza rispondere a nessuno, consente di mettere la mordacchia a qualunque protesta nel nome della sicurezza pubblica, consente di silenziare le voci del dissenso ogni qual volta acquisiscano rilievo (bisogna essere uniti contro il Nemico).

Ecco, di fronte a questa situazione, il sospetto che l’Unione Europea abbia sempre più somiglianza con il Nuovo Ordine Europeo vagheggiato dal Terzo Reich e sempre meno con i vagheggiamenti della “terza via” potrebbe cominciare a farsi strada persino nelle menti più impermeabili.
Dopo tutto, come ricordava sempre, con flautata voce da sagrestia, Prodi, “l’Europa è ciò che ci ha garantito 70 anni di Pace” – certo, omettendo dettagli come la guerra in Jugoslavia (1990-2001) e la cesura (1992) tra il mercato comune della CEE e l’Unione Europea di Maastricht. Ma di fronte ad un’Europa il cui unico merito plausibile è stato il mantenimento della Pace, l’attuale piglio bellicistico crea forme di disagio e dissonanza cognitiva persino nei fedeli più rocciosi.

È per mettere a tacere questa condizione di disagio che nascono iniziative come quella della manifestazione del 15 marzo: si tratta di correre al più preso ai ripari, rinforzando i processi di negazione, rimozione e repressione, in modo che la realtà non possa mai bucare il velo di Maya.
21.04.202514:47
Il secondo tentativo, con maggiore connotazione "progressista" è stato ridotto ad una sostanziale impotenza in tutti gli ambiti in cui non remava nella direzione della corrente - laddove la "corrente" indica la moda ideologica privilegiata dalle oligarchie finanziarie angloamericane.

Tutto si potrà dire di Ratzinger e di Bergoglio, ma certo non che siano stati papi privi di ispirazione, di preparazione o di carattere. Tutt'altro.
Eppure è difficile dire che a due decenni di distanza lo statuto, ideale e operativo, del cristianesimo cattolico abbia acquisito di centralità o autorevolezza.
Cosa ci riserverà la prossima fumata bianca al conclave naturalmente nessuno lo sa, ma credo che sia saggio tenere basse le aspettative.
Le condizioni storiche non sembrano essere tali da consentire a nessun nuovo pontefice, quali che siano le sue eventuali preclare qualità, di invertire una tendenza stagnante. E il problema non è che "il papa non ha divisioni militari", come disse Stalin a Jalta: le "leve spirituali" possono fare cose straordinarie.
Ma le leve spirituali sono quella "forza debole" che funziona solo quando poggia su un fulcro spirituale interno alle persone.
E oggi non scommetterei sulla diffusione di tale fulcro neppure tra chi abita le stanze dei palazzi vaticani.
04.04.202516:10
Segnalo questo articolo, appena pubblicato su Krisis.
Mi rendo conto che sia un po' lungo per gli standard dei social, ma spero risulti interessante.
https://krisis.info/it/2025/04/temi/guerra-e-pace/perche-prima-o-poi-il-capitalismo-ha-bisogno-della-guerra/
27.03.202509:17
Alla Commissione Europea ci hanno spiegato che dobbiamo armarci fino ai denti perché incombe la minaccia di un'invasione da parte della prima o seconda potenza nucleare del pianeta.
Poi ci hanno raccomandato di tenere scorte necessarie per 72 ore (perché 72 e non 48 o 96? Boh.)
Fino a questo punto c'erano tutti gli elementi per credere che stessero prendendo maledettamente sul serio una minaccia che il buon senso comune reputa del tutto remota.

Ma poi, ecco che arriva un video.
Protagonista, da attrice consumata, la Commissaria Europea Hadja Lahbib (Commissaria specificamente per la parità, la preparazione e la gestione delle crisi, dunque non una che passava di là).

Il video è assolutamente sconcertante.
Il tono è lieve, salottiero, con un sottofondo da piano bar con aperitivo; si succedono umorismo e garbatezza; e si squaderna un incredibile pressapochismo in tutto ciò che viene detto (se qualcuno avesse la tentazione di prenderlo sul serio).

Infatti - esattamente come nel caso di minaccia bellica - se qualcuno volesse davvero "prepararsi a una crisi" deve prepararsi a una crisi specifica.
Viene meno il riscaldamento? L'elettricità? Il tetto sulla testa? C'è un'alluvione? Un terremoto? Un bombardamento? Una perdita di gas? Una contaminazione radioattiva? Sei vicino al mare o in montagna o in pianura? Devi poterti muovere a lungo o stare in un luogo? In un centro urbano o in una periferia agricola? Perché non una coperta termica? Perché non un binocolo? Perché non una corda? Perché non un asciugamano come nella Guida Galattica per Autotoppisti? Ecc. ecc.

Semplicemente NON ESISTE il "prepararsi ad una crisi" quale che sia. Devi sapere quale tipo di imprevisto, quale crisi.

E invece no, con quell'aria serena di chi casca sempre in piedi e può ironizzare su tutto, con il tono di simpatia paternalistica di chi si abbassa a spiegare alla mesta plebe alcune chicche da "survivalist" la nostra commissaria procede nella sua narrazione.

Ecco i documenti di identità, ecco l'accendino, ecco le carte da gioco per distrarsi. Quando ha estratto con aria maliziosa il suo "special friend" ci si aspettava, coerentemente con il contesto, che comparisse un dildo.

Il dicorso sulla borsetta della resilienza si conclude con un momento di serietà, in cui ogni speranza che si trattasse di cabaret, svanisce:
"The EU is preparing its strategy to be sure that every citizen is safe in case of crisis. Be prepared, be safe."
[L'UE sta preparando la sua strategia per garantire che ogni cittadino sia al sicuro in caso di crisi. Siate preparati, siate al sicuro.]

Ora, di fronte ad un video del genere fluttua l'eterna drammatica questione:
"Ci sono o ci fanno?"

Qualcuno potrebbe azzardare un'interpretazione machiavellica, pensando che un video del genere sia una semplice operazione di distrazione pubblica: ci fanno discutere di video demenziali mentre cose più importanti e drammatiche covano nelle segrete stanze. Forse, ma improbabile. I palazzi di Bruxelles, nonostante la trasparenza degli edifici, sono il luogo più opaco del mondo, e non c'è bisogno di ulteriori distrazioni che facciano da copertura.

No, credo che l'intepretazione possibile sia una sola, tragica: questa gente è davvero così completamente sprovveduta, vacua, impreparata come sembra; è così scollegata dalla realtà, da non percepire l'assurdità dei propri gesti. La sicurezza da ricchi che promana da ogni gesto è quella della Contessa Serbelloni Mazzanti Vien dal Mare che invita i ragionieri alla polentata.

E il problema, naturalmente, non sono i video involontariamente umoristici, ma lo sguardo che ci consentono di gettare su istituzioni da cui dipende il funzionamento delle nostre scuole o del servizio sanitario, da cui dipendono i rapporti internazionali, da cui dipendono occupazione o disoccupazione, da cui dipende la produzione industriale, da cui dipendono guerra e pace.
17.03.202510:07
Ora, c’è chi dice che quella piazza era semplicemente la piazza dei benestanti ZTL che difendevano i propri privilegi. È possibile. Certamente alcune delle uscite demenziali ascoltate si mostravano così inconsapevoli del gorgo in cui l’Italia si è ritrovata dal 2000 ad oggi (es. incremento della povertà assoluta da 1 milione a 6 milioni di cittadini), da richiedere come unica possibile spiegazione la falsa coscienza che crea il cuscinetto di uno status privilegiato.

E tuttavia io non sono convinto che questa sia l’unica spiegazione. Io credo che vi fossero anche persone in buona fede. La tristezza di quella piazza, nella sua componente in buona fede, era che illustrava in maniera angosciante l’analfabetismo politico di gran parte del ceto dirigente e delle sue principali espressioni mediatiche. Lettori di Repubblica-Corriere e affini tenuti in coma farmacologico per decenni, il cui sistema nervoso centrale è stato sostituito da un generatore automatico di titoli di giornale.

Negli anni ’90, gli stessi anni in cui prendeva forma l’attuale UE, c’era un programma satirico su RAI 3, che sia chiamava “Avanzi”. Tra le figure caratteristiche dello show c’era il “compagno Antonio”, ex membro del PCI, che veniva risvegliato dopo 20 anni di coma. Alla presentatrice Serena Dandini spettava l’ingrato compito di metterlo al corrente delle devastanti novità di quegli anni.

Ecco, l’impressione è che il compagno Antonio - insieme a molti altri - si sia fatto ricongelare all’inizio degli anni ‘90, nella speranza che i tempi futuri riservassero prospettive migliori. Ma mal gliene incolse. E così, qualche settimana fa, su iniziativa del compagno gauche caviar Michele Serra, sono stati tirati fuori dal congelatore, messi su un autobus e condotti in piazza a sostegno del “sogno europeo”.
Una pattuglia di sonnambuli senili che, dandosi vicendevolmente ragione, guida con sicurezza verso l’abisso.
10.03.202517:25
Esiste un detto latino che recita: "Quos vult Iupiter perdere, dementat prius" ("Giove fa prima perdere il senno a quelli che vuol mandare in rovina.")
Ecco, io non so se ci abbiano messo lo zampino Giove, Odino, Jahvé, Ahura Mazda o altri sùperi.
Mi astengo da un'analisi delle probabili cause, anche se credo che molto ci sarebbe da dire sui processi tecnologici e sociali di annichilimento mentale che hanno avuto luogo negli ultimi decenni.

Sia come sia, oggi l'opinione pubblica occidentale, proprio come alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, mi sembra estensivamente preda di decadimento cognitivo.
Se andate a rileggere i toni e gli argomenti sui giornali degli anni 1900-1914, trovate elzeviri infiammati da una retorica tanto razionalmente vuota, quanto esplosiva. Al tempo intellettuali critici come Karl Kraus dalle pagine della "Fackel" cercarono di far ragionare, con sagacia e sarcasmo, la borghesia colta (la maggior parte della popolazione rimaneva esclusa dalla fruizione intellettuale).
Ma fu tutto inutile.
A titolo di curiosità, Wittgenstein ricevette lo stimolo decisivo ad occuparsi di chiarificazione semantica del linguaggio proprio a partire dalla frustrazione di fronte al catastrofico livello del discorso pubblico europeo di quegli anni.

Oggi, come allora, la capacità di trangugiare con grande seriosità e zero spirito critico tonnellate di menzogne animose, distorsioni strumentali e veline di regime è a livelli fuori scala.

Capita davvero di sentire gente, con piglio da cittadino pensoso e responsabile, farfugliare amenità come:
"Eh, ma cosa pensi che si possa fare a meno di un esercito?"
"Ma hai visto cosa ha fatto Putin dell'Ucraina, chi ti dice che noi non siamo i prossimi?"
"Facciamo prima l'esercito europeo, e poi faremo gli Stati Uniti d'Europa!"
Fino al definitivo:
"Se sei così putiniano, perché non te ne vai in Russia?"

Capacità di visionare realisticamente scenari storici pari a zero.
Conoscenza dei processi strutturali, istituzionali, materiali e motivazionali nulla.
Principio di realtà estinto.

La mia sensazione è che questi livelli di disfacimento mentale non appartengano propriamente all'errore logico-concettuale, o solo in parte.
Piuttosto credo che essi corrano per lo più in parallelo con una condizione di profondo disagio esistenziale, una percezione acuta di cupio dissolvi. In un mondo in cui centinaia di milioni di persone sono state persuase che tutto ciò che la vita può promettere appartiene ad un catalogo Amazon, il desiderio recondito di violenza, rabbia, distruzione, vendetta contro il proprio destino, è lava ribollente sotto una crosta instabile.
E perciò argomentare lascia il tempo che trova: è come cercar di convincere un tossico che la droga fa male; se ti darà ragione sarà solo nella misura in cui darti ragione lo porterà alla prossima dose. A prevalere non sono le ragioni della mente, ma un'oscura brama organica.

Un caro amico ha citato come atteggiamento adatto a questi tempi di rovina l'heideggeriana Gelassenheit, approssimativamente traducibile come l'accettazione di ciò che il destino ci riserva.

Forse ha ragione.
Forse lasciare che il fuoco bruci fino ad estinguere tutto il materiale atto a combustione è davvero un atteggiamento raccomandabile, persino saggio.

Solo che qui, alla fine, contrariamente a molte chiacchiere contemporanee, nessuno sceglie ciò che è.

E per alcuni caratteri, forse difettati, accettare serenamente la catastrofe non è mai un'opzione.
08.03.202515:46
FINCHÉ C’È GUERRA C’È SPERANZA

Alcune indiscrezioni da parte degli organizzatori hanno fatto trapelare lo slogan che sintetizza l’agenda della manifestazione del 15 marzo “Una piazza per l’Europa”:

“Ripartiamo-da-una-grande-alleanza-antifascista-per-battere-le-destre-e-coltivare-il-sogno-europeo-di-pace-e-prosperità-difendendo-orgogliosamente-i-valori-di-libertà-democrazia-e-diritti-umani-perché-c’è-un-aggressore-e-un-aggredito-e-dobbiamo-ridare-nerbo-alle-virtù-guerriere-degli-antenati-costruendo-un-esercito-europeo-di-professionisti-che-spezzino-le-reni-alla-Russia-e-alle-plebi-ignoranti-negazioniste-refrattarie-al-lavoro-e-riottose-ai-valori-occidentali-ma-in-modo-inclusivo-e-rispettoso-della-parità-di-genere.”

Si sta ancora cercando il jingle adatto, ma Calenda garantisce che la ricerca è a buon punto.
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Chiedo scusa per la garbata presa in giro (per gli abbonati di Repubblica: no, non era il vero slogan, era uno sfottò).

Ecco, proviamo ora a parlare seriamente.
La situazione è in effetti drammatica e che si cerca di alleviare l’amarezza e la preoccupazione come si può. Personalmente capisco il dramma, la reazione disperata di quelli che si sentono attratti in buona fede dalla chiamata alle armi (sic!) di Michele Serra. Lo capisco almeno con riferimento ai nati prima del 1970. Per molti di quella generazione il “sogno europeo” è stato il surrogato aspirazionale dell’infrangersi del sogno di palingenesi socialista/comunista. Ci si costruì l’idea che l’Europa possedesse per virtù intrinseche un modello di sviluppo alternativo al capitalismo feroce dei liberisti. Si immaginò un’Europa colta, umana e umanistica, democratica, socialmente orientata, che non condivideva né le frenesie del capitalismo anglosassone, né l’autoritarismo dello stato di polizia sovietico. Sulla scorta dell’idea berlingueriana di “terza via” si fantasticò di un’Europa come potenza capace di svolgere un ruolo di contrasto e alternativa agli USA. Orfani del PCI, orfani dell’URSS, orfani di tutte quelle promesse di un mondo altro e migliore (e fanno male quelli che non hanno vissuto quel percorso ad irriderlo), milioni di persone riversarono la propria “fede laica” sulle istituzioni europee.

E come sempre accade alle fedi in cui vi è stato un significativo investimento affettivo, come negli innamoramenti, si tende a chiudere un occhio, talvolta due, spesso entrambi gli occhi e pure il naso, alle mancanze dell’amato. Così, quando ci dà buca una volta, sarà perché è sempre così occupato, quando ci dà buca la seconda volta, sarà perché gira questa brutta influenza, quando ci dà buca la terza volta, sarà perché ha forato una gomma,… e però, ad un certo punto, prima o poi, il dubbio che ti abbia messo le corna dovrà pur balenare all’orizzonte, no?

Ma è un’ammissione non facile per chi sente di non avere altri progetti possibili, per chi preferisce stare con il vecchio amore fedifrago, piuttosto che affrontare un salto nel buio.

Per lo scrivente la scoperta delle corna politiche è stata tarda. Si erano accumulati segni per lungo tempo, ma per raggiungere la certezza ci è voluta la crisi subprime e la sua scandalosa gestione. Dopo tutto ciascuno di noi è coinvolto in mille altre attività e interessi, e non può star dietro a tutto, tanto meno a quel guazzabuglio esoterico che è la legislazione europea. Per lo scrivente solo con il 2008 è cominciato a divenire chiaro che il 100% delle prese di posizione europee rientravano nel paradigma neoliberale, e che di “terze vie” non c’era traccia. A quel punto, con buoni 16 anni di ritardo dal Trattato di Maastricht, anche ai più distratti, come il sottoscritto, doveva apparire chiaro che il modello sociale perseguito era, puramente e semplicemente, da un lato quello dell’idealizzazione utopica del “mercato perfetto” e dall’altro quello della gestione oligarchico-tecnocratica del potere. Altro che “sistema misto”, altro che “welfare europeo”, altro che “democrazia reale”.
21.04.202507:57
Segnalo per gli interessati questo sabato a Trieste l'incontro "Tra Kennedy e von der Leyen", h. 18.00, Teatro di via Risorta 3.
Segnalo per gli interessati,
questo sabato a Roma h. 15.00 presso il Nuovo Cinema Aquila.
12.03.202518:13
Con il voto favorevole del parlamento europeo al piano di riarmo (419 SI, 204 NO, 46 astenuti) credo si possa dire che, simbolicamente, con oggi, la democrazia in Europa è un ricordo; appassita prima, oggi i petali secchi sono caduti.

Non è stata sostituita, come molti temevano, da una dittatura.
La storia prende sempre forme diverse e sorprendenti.
No, questa volta la democrazia è stata sopraffatta dalla conquista delle istituzioni e dei media, dall'interno, da parte dell'oligarchia finanziaria e dei suoi stipendiati.

Oramai la manovra di aggiramento è compiuta.
I canali a disposizione per la popolazione per esprimersi in termini politicamente significativi sono stati tutti o chiusi o neutralizzati. Un po' è avvenuto con modifiche delle leggi elettorali, un po' rendendo il processo democratico contendibile solo a chi aveva finanziamenti significativi a disposizione, un po' occupando a tutti i livelli il sistema mediatico (ed espellendo chi non si adeguava a scrivere sotto dettatura), un po' sopprimendo la terzietà della magistratura, capillarmente politicizzata.

Ora i colpi possono susseguirsi in maniera progressivamente sempre più violenta e sfacciata. Aggirare con decreti le discussioni parlamentari è già e sarà sempre più la nuova normalità. Come lo è impedire agli outsider di partecipare al dibattito pubblico prima, ai processi elettorali poi.

Che sia stato progettato così o semplicemente avvenuto, de facto la vicenda pandemica ha rappresentato le prove generali della militarizzazione della società e dell'informazione: una sorta di legge marziale senza guerra.

Questa svolta era stata preceduta da molti passi intermedi, da molte lamentele intorno all'inefficienza dei tempi della politica, dei rituali della democrazia.

Poi, dal 2022 la guerra russo-ucraina è divenuta l'occasione per ribadire gli ultimi chiodi sulla bara della democrazia.

D'ora in poi aspettiamoci che i passaggi diventino sempre più veloci.
Tra la grande espropriazione di risorse pubbliche della crisi subprime (2008-2011) e la grande espropriazione di risorse pubbliche della crisi Covid (2020-2022) erano passati una decina d'anni. Ora, e sono passati solo 3 anni, si passa ad una terza colossale espropriazione nel nome dell'emergenza bellica.

L'esito di questo passaggio è trasparente e chiarissimo.

Pilastri sociali fondamentali come il sistema sanitario e il sistema pensionistico verranno stroncati.
Per parare il colpo gran parte del residuo risparmio privato verrà drenato dai cittadini in beni difensivi (assicurazioni private, pensioni private, ecc.).
Il patrimonio immobiliare privato, dove, come in Italia, ancora rilevante, diverrà dapprima il collaterale necessario per l'erogazione di finanziamenti indispensabili per far fronte ad esigenze inderogabili (la salute, lo studio dei figli, la sopravvivenza una volta usciti dalla sfera produttiva).
L'ultimo passo sarà naturalmente la sottrazione stessa delle proprietà immobiliari, che diventeranno invece il collaterale per le erogazioni di prestiti ad interesse da parte dei gruppi finanziari.

Alla fine del processo una cittadinanza variamente indebitata sarà di fatto in catene anche se formalmente libera: condizionata e ricattabile ad ogni passo. Fine pena, mai.
L'indebitamento economico irreversibile sarà la nuova forma della coazione. Non più gli antiquati modelli dell'asservimento violento, della schiavitù, ma un sistema pulito, contrattualmente ineccepibile, e tuttavia assai più stringente e dettagliato di qualunque passato rapporto servo-padrone.
Se poi con questa leva si deciderà di mandare debitori/colpevoli (Schuld) a fare la carne fresca in guerra o l'ingranaggio a vita per una multinazionale, questi saranno dettagli.

Questo è il futuro che bussa alle porte, e gli spiragli in cui si presentano ancora possibili margini di reazione - posto che ancora ci siano - si vanno chiudendo rapidamente.
09.03.202516:08
5) Conclusioni.
Premesso che sul piano geopolitico l'UE ha ragioni per attaccare la Russia, mentre la Russia non ha ragioni per attaccare l'Europa, la strategia dell'UE, di a) incrementare una spesa militare esplicitamente orientata in funzione antirussa e b) mantenere sanzioni e blocco permanente dei rapporti commerciali con la Russia, rappresenta precisamente la più efficace strategia per massimizzare i rischi di un conflitto.

Nel nome delle esigenze di sicurezza stiamo aumentando l'insicurezza.
05.03.202519:14
AMIAMO LA GUERRA

Nel primo volume dei “Quaderni dal carcere” Gramsci dedica un’ampia e giustamente celebre analisi alla natura del ceto intellettuale e della loro funzione. Egli scrive:

“Gli intellettuali hanno la funzione di organizzare l’egemonia sociale di un gruppo e il suo dominio statale, cioè il consenso dato dal prestigio della funzione nel mondo produttivo e l’apparato di coercizione […] per quei momenti di crisi di comando e di direzione in cui il consenso spontaneo subisce una crisi.”

Se uno studente volesse cercare un esempio preclaro di questa funzione degli intellettuali nell’Italia contemporanea non potrebbe trovare esempio migliore dell’articolo a firma Antonio Scurati, comparso oggi sulle pagine di Repubblica, dal titolo: “Dove sono oramai i guerrieri d’Europa?” (con la parola “guerrieri” sottolineata in corsivo).

Il testo è ammirevole, perché il compito assegnato dai committenti era indubbiamente di straordinaria complessità.

La situazione cui l’intellettuale è chiamato a porre mano è critica.

Per ragioni inconfessabili, la catena di comando europea oggi desidera far passare un drenaggio di risorse pubbliche “monstre” nel nome della sicurezza e del riarmo.
Per quanto ottenebrati da reality show, talk show e sostanze psicotrope – in ordine decrescente di nocività – i cittadini europei paiono manifestare alcuni sensi di inquietudine al profilarsi di questo colossale cetriolo in volo radente. Come le mucche avviate al macello, un indefinito sospetto comincia a provocare qualche muggito di sconforto; dopo tutto, quando gli viene spiegato che per la Tac le risorse non ci sono, che per le pensioni la coperta è corta, ma che per le bombe a grappolo l’inventiva finanziaria non conosce limiti, anche i meno brillanti iniziano a sospettare che li si stia prendendo per il culo.

È questa la difficile circostanza in cui si ricorre ai superpoteri degli intellettuali a disposizione.

La commessa è di rendere attraente, fascinoso, nonché ragionevole il mostruoso aumento di spesa pubblica a finalità militari. E bisogna farlo per un elettorato che da qualche parte della mente cova ancora l’idea di essere “socialmente orientato”, talvolta addirittura “di sinistra” (o “medio-progressista” come si definiva illo tempore il Duca Conte Balabam…). E, non solo, bisogna anche spiegare perché l’unica cosa di cui si menava vanto fino a ieri come “valore fondante del sogno europeo”, cioè l’orizzonte della pace europea, ora deve trasformarsi in corsa agli armamenti e preparazione di una guerra prossima ventura.

Il compito è difficile, ma il nostro Antonio lo avremo mica fatto studiare per niente? Ed, invero, il risultato è rimarchevole, a tratti strabiliante.

Il testo parte con un attacco violentissimo nei confronti di Donald Trump, definito “un traditore degli amici, degli alleati e, soprattutto, dei valori secolari della sua nazione.” Nella chiusa del testo troveremo un’iniezione di richiamo di questo oggetto polemico con “la spregevole brutalità esibita in queste ore in mondovisione dal Presidente degli Stati Uniti d’America”.

Tra questi due estremi si sviluppa il discorso, che parte evocando con maestria l’inevitabilità della prospettiva di uno scontro bellico: “difesa militare dell’Europa da eventuali, future aggressioni, purtroppo sempre più verosimili (e già in atto).” Si noti la progressione: le aggressioni militari all’Europa nell’arco di una frase passano da “eventuali”, a “future” a “sempre più verosimili” e infine a “già in atto”.

A questo punto il terreno è predisposto: l’Europa è sola perché lo scranno del Grande Alleato è momentaneamente usurpato da un traditore, e al contempo l’aggressore è alle porte. Che fare?
16.04.202515:01
Mai e poi mai vorremmo che la Russia ci invadesse.

Sarebbe terribile.

Dovremmo sottometterci alla volontà di Uno Solo, un autocrate, che potrebbe censurare a piacimento le notizie scomode, asservire i programmi scolastici, indirizzare l'economia...

È perciò che lotteremo fino alla morte affinché a censurare le notizie scomode, asservire i programmi scolastici e affondare l'economia siano soltanto: Pina Picierno, Ursula von der Leyen, Carlo Calenda, Kaya Kallas, Carlo Nordio, Daniela Santanché, Guido Crosetto, Lia Quartapelle, Open, Enrico Mentana, Matteo Salvini, Sergio Mattarella, Enrico Letta, Alessandro Zan, Alberto Cirio, Christine Lagarde, ecc. ecc. ecc....

Offriremo impavidi il petto al nemico per salvare il diritto di una muta di massimizzatori razionali dei cazzi propri di continuare la loro infinita lotta per bande, per staccare qualche ulteriore brano di carne al cadavere del paese.

Contateci.
28.03.202516:37
22.03.202515:10
Israele continua con assoluta serenità a fare quotidiane stragi di civili, bambini inclusi.
Lo ha fatto per 16 mesi, e ora ha ripreso, sembra per pure ragioni interne di equilibrio di potere, alleanze tra Nethanyahu e il ministro Katz, ecc. Sullo sfondo, senza infingimenti e oramai senza molti giri di parole, c’è l’alternativa che viene posta al popolo palestinese tra “soluzione finale” (genocidio integrale) e pulizia etnica (rimozione della popolazione “da qualche parte” – vedremo, ci verrà un’idea).

Non c’è norma di diritto internazionale, diritto umano, diritto internazionale umanitario, risoluzione ONU o semplice decenza umana che Israele non abbia sistematicamente, continuativamente violato.

In questo contesto l’Unione Europea, quella del “sogno europeo”, quella di Ventotene, quella difesa orgogliosamente in piazza del Popolo (al modico costo di 270.000 euro), quella difesa con piglio assertorio dal noto esegeta dantesco Johnny Stecchino (al modico costo di 1.000.000 euro), quella che vuole estrarre dai nostri risparmi 800 miliardi di euro per spezzare le reni alla Russia (nel 2030), quella Unione Europea non è riuscita neppure a ottenere una tregua umanitaria in Palestina, figuriamoci condannare Israele, figuriamoci promuovere sanzioni.

Ecco, ora, per piacere, spiegateci di nuovo che l’imperativo categorico del’UE sta nel difendere senza tentennamenti i “valori europei”, i “diritti umani”, lo “stato di diritto”, il “diritto internazionale”, la “democrazia”, l'"inviolabilità dei confini".

Spiegateci che è nel nome di questa inscalfibile idealità, di questa nobile refrattarietà ad ogni compromesso che dobbiamo sconfiggere la Russia, costi quel che costi (costo a carico di voi plebei, naturalmente).

Spiegateci che dobbiamo essere pronti, se la “patria europea” chiamerà, a versare il nostro sangue o quello dei nostri figli, perché noi con le prepotenze della forza bruta non scendiamo a patti.

Spiegateci che dobbiamo essere pronti a sacrificare, con gratitudine, il benessere acquisito grazie a quella mirabile costruzione istituzionale che va sotto il nome di Unione Europea, pena il cadere sotto il tallone dello stivale russo, che ci prospetterebbe una vita di stenti.

Ecco, spiegateci tutto questo, ma fatelo bene.

Già, perché nel caso non foste perfettamente convincenti, qualcuno potrebbe pensare che dopo tutto – quand’anche fosse realistica la prospettiva di un’invasione russa – forse non sarebbe il più nero degli scenari.

Infatti, quanto a benessere e cura dei rispettivi popoli, siete proprio sicuri che da un confronto tra 25 anni di governo di Putin e 25 anni di governo della BCE sia la seconda ad uscirne in vantaggio?

E quanto a valori e diritti, voi esattamente di quali inscalfibili valori europei sareste portatori? In cosa sareste distinguibili da una qualunque cinica Realpolitik, con un pizzico addizionale di codardia, presunzione e opportunismo?

Ecco, l'abbattimento dell'UE da parte russa è fantapolitica, ma, fantasia per fantasia, non scommetterei sulle percentuali di chi lo considera un tetro incubo rispetto a chi vi vedrebbe uno spiraglio di ottimismo.
12.03.202515:16
Segnalo per gli interessati quest'intervista in tre parti, uscita or ora per Rai Cultura.
https://www.raicultura.it/tags/andreazhok
09.03.202516:08
Chiedo in anticipo scusa per la banalità delle considerazioni che seguono.
Mi sono risolto a riportarle semplicemente perché continuo a ritrovare argomentazioni lunari intorno alla necessità di armarsi per difendersi dalla Russia. Perciò, vista la posta in gioco, forse è meglio ribadire anche l'ovvio.

TEMA: Dobbiamo davvero avviare una corsa agli armamenti per difenderci da una possibile aggressione russa?

SVOLGIMENTO:

1) Quali sono gli asset, i valori materiali che la Russia potrebbe desiderare dall'Europa? Giacimenti minerari? Scorte di uranio? Depositi di gas naturale? Giacimenti petroliferi? Terra coltivabile?
No, è del tutto evidente che in tutte queste cose è l'Europa ad essere carente e oltre ad essere un importatore netto dei relativi prodotti.
L'unico asset europeo desiderabile per la Russia è la sua capacità industriale, la manifattura.
Ma ovviamente per appropriarti della manifattura di un paese non ci fai la guerra contro, visto che una guerra tende a distruggere capacità produttiva e visto che sfruttare l'altrui capacità produttiva in maniera coattiva è impossibile (funziona solo per la manodopera servile).
Manifattura e industria a parte, l'Europa può solo offrire ai russi luoghi di villeggiatura.

2) La Russia ha un territorio di oltre 17 milioni di chilometri quadrati, l'Unione Europea tutta insieme supera di poco i 4 milioni di chilometri quadrati. Dunque il territorio russo è più di 4 volte quello dell'UE. La densità della popolazione UE è di 105 abitanti per chilometro quadrato, la densità della popolazione russa è di 8 abitanti per chilometro quadrato. Dunque la Russia ha già un rilevante problema ha occupare il proprio territorio. Da quando in qua un paese con terra infinita, popolazione comparativamente scarsa, ma risorse minerarie ed energetiche colossali, vuole conquistare un'area territorialmente piccola, sovrappopolata e senza risorse? Invero, storicamente è sempre stato l'opposto: l'Europa occidentale ha ripetutamente cercato di conquistare l'oriente russo, secondo la ferrea logica geopolitica per cui aree ad alta densità di popolazione, e scarse risorse cercano di espandersi in aree a bassa densità di popolazione e vaste risorse.

3) Il riarmo è forse necessario perché la spesa militare russa è aggressivamente superiore a quella europea? In pieno conflitto, con un'economia quasi convertita in economia di guerra, la Russia nel 2024 ha destinato il 6,7% del PIL alle spese per la difesa. Questo è percentualmente molto più della spesa media europea che rimane sotto il 2%. Tuttavia in termini assoluti la spesa russa è pari a 145,9 miliardi di dollari, mentre quella europea (+ UK) ammonta a 457 miliardi di dollari (il triplo). (Gli USA da soli stanno a 850 miliardi di dollari). Ergo, affermare che c'è un gap di investimenti da colmare è semplicemente falso. Forse si tratta semplicemente di spendere meglio.

4) Se davvero siamo angosciati per la minaccia bellica rappresentata da una possibile aggressione russa quale atteggiamento sarebbe raccomandabile?
Esiste una regola universale nei rapporti tra i paesi, ed è che la migliore garanzia di sicurezza è fornita dalla cointeressenza: se hai interessi, investimenti, forniture in un paese, hai un fondamentale disincentivo a mettere tutto ciò a repentaglio con una guerra.
Ergo, se - ed è un grande se - le dirigenze europee volessero ridurre il pericolo di una minaccia russa, il modo di ottenerlo è facilissimo: togliere le sanzioni, riaprire commerci e investimenti, riaprire il North Stream 2. Di colpo le ragioni di un conflitto diminuirebbero verticalmente, e simultaneamente, con materie prime e risorse energetiche a basso costo, aumenterebbe la capacità europea di fornire beni interessanti per il resto del mondo (Russia inclusa).
05.03.202519:14
Qui il testo dà il meglio di sé. Si focalizza subito sul punto cruciale.
Quanto alla produzione industriale bellica, ci sono problemi, ma grazie al cielo, vi metterà provvidenzialmente mano zia Ursula (non vediamo l’ora che faccia un contratto pluriennale con la Lockheed via sms, secondo il suo inimitabile stile). Ma il vero angoscioso problema dell’Europa è “la mancanza di GUERRIERI.” Il termine che dà l’impronta a tutto l’articolo è “guerrieri”, che compare nel titolo ed è ripetuto strategicamente ben sette volte. Non fanti, non militari, non soldati, non contractors, ma “guerrieri”. Il riferimento alle “virtù guerriere” degli avi è la chiave di lettura di tutto lo scritto, che ha il suo centro nella seguente frase: “Per fare la guerra, anche soltanto una guerra difensiva, c’è bisogno di armi adeguate ma resta, ostinato, intrattabile, terribile, anche il bisogno di giovani uomini (e di donne, se volete) capaci, pronti e disposti a usarle. Vale a dire di uomini risoluti a uccidere e a morire.”

Simpatizziamo naturalmente con l’imbarazzo di Scurati nel dover decidere se scrivere inclusivamente “uominə”, e se mandare a morire al fronte le donne sia da ritenersi idea progressiva, o quanto.

Ma imbarazzi a parte, il punto di caduta è semplice: c’è bisogno di gente disposta a uccidere e morire. E qui Scurati ha perfettamente ragione nel dubitare che la temperie culturale europea sia particolarmente propensa a tale proposta.

Da qui parte l’orazione apologetica, la cui chiave di lettura sta nella contrapposizione tra “welfare” e “warfare”. “Che fine hanno fatto tutti quei soldati?” dice Scurati, gettando uno sguardo nostalgico ai bei tempi passati delle guerre mondiali, ma poi traduce subito la frase in “Che fine hanno fatto tutti quei guerrieri?” E qui la filippica si infiamma in panegirico: “Nei secoli questa nostra terra è stato uno scoglio euroasiatico popolato di guerrieri feroci, formidabili, orgogliosi e vittoriosi.” E qui si lancia al galoppo tra Maratona e il Piave, tra Omero ed Ernst Jünger, con una tesi fondamentale da proporci: “La guerra dei nostri antenati europei non è stato solo il dominio della forza, è stato anche il luogo di genesi del senso.”

Questo è il vero e proprio colpo di genio del testo.
Lo scrittore dopo aver lamentato il fatto che le presenti generazioni potrebbero essere restie a uccidere e soprattutto a morire, dopo aver constatato l’inintelligibilità per i più del classico “Dulce et decorum est pro patria mori”, spiega al lettore che è la guerra stessa ad essere “genesi di senso”.

Cioè: non è che devi vedere un senso nel morire in guerra, è che andando a morire in guerra nascerà in te il senso di ciò che fai.

Parola di Scurati.

Dopo aver presentato la batteria completa dell’elogio delle virtù guerriere, dell’appello agli avi bellicosi e invitti, e della morte in battaglia come genesi di senso (“Viva la Muerte!”, come gridavano i falangisti), poi passa alla necessaria operazione complementare, cioè screditare i molli conforti della vita civile.

Ed è qui che troviamo autentiche perle d’ingegno come l’idea che l’insensatezza della seconda guerra mondiale avrebbe causato “una riluttanza ironica, un malinconico disincanto del mondo” da cui nasce sì il progresso del dopoguerra, ma è un “avanzare regressivo verso forme di vita che estendano a ogni età le cure amorevoli riservate all’infanzia o, addirittura, i privilegi embrionali di protezione e nutrimento. Questa è la civiltà: il grande utero esterno.” Traduzione: il progresso sociale che sì, certo, ci fu, chi può negarlo, però fu un “avanzare regressivo” (premio ossimoro del secolo). In questo “avanzare regressivo” siamo stati rammolliti dall’eccesso degli agi del welfare (da cui – sempre siano lodati – hanno già pensato a sottrarci in parte Monti, Draghi, e altri medio-progressisti). Il welfare insomma è una fase di infantilizzazione, un regresso intrauterino, da cui, o gioventù europea, è ora di svegliarsi!
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