COM’ERA GIUSTO CHE FOSSE
Senza entrare nei tecnicismi giuridici della sentenza del Consiglio di Stato sul caso Danieli (n. 02922/2025), che potete leggere qui sopra, dedichiamo qualche riga alla conclusione di questa vicenda fattasi via via piu’ urticante per i soggetti pubblici e privati istituzionali coinvolti e gli oltre 20.000 cittadini che hanno convintamente preso posizione con la loro firma sulla storica petizione.
Scrivemmo, solo qualche mese addietro, di come “la chiesa andasse rimessa al centro del villaggio” dopo la sconcertante sentenza del TAR Fvg che affermo’, in modo ampiamente discutibile, come la sottoscrizione di una pubblica petizione, di per se’, certificava pure la volontà implicita del cittadino di far sapere a tutti il proprio pensiero politico (in questo caso) oltre alla propria identità personale. Dunque, Danieli poteva disporre dei singoli dati di ognuno dei 21mila sottoscrittori con la possibilità, poi, in giudizio, di chiedere pure i danni di immagine e mancato guadagno: immaginate la cifra. Caso in ipotesi mai registratosi prima (a memoria nostra).
Non nuovo ad exploit simili se non peggiori (come non rammentare l’ok dato in un ricorso presentato all’obbligo del siero sperimentale ai fini professionali, un paio d’anni fa, sulla base pero’ dei dati AIFA relativi agli effetti avversi dai vaccini della Lorenzin?!?…) il TAR Fvg rappresenta ormai una giurisdizione dove certi pronunciamenti non debbono più sorprendere. Facciamocene una ragione, se solo pensiamo che proporre un ricorso in questa sede comporta un esborso complessivo attorno agli 8/10mila euro. E dove a far festa, immancabilmente, sono sempre i legali amministrativisti con le loro salatissime parcelle.
Che dire, invece, di una Regione che, nella figura del presidente del consiglio Mauro Bordin (legale pure lui) ha pilatescamente rimandato al TAR la spinosa questione, ben sapendo che mai e poi mai si sarebbe
dovuta rendere pubblica la lista dei sottoscrittori in forza del regolamento europeo 679/2016 e pur non avendo (molto probabilmente) ricevuto da alcuno dei sottoscrittori la dichiarazione scritta di non ostensione dei propri dati (a termini dell’art.179bis del Regolamento del Consiglio Regionale)? Troppo importante Danieli per il consesso, troppi interessi in gioco: che se la veda il TAR. Sappiamo cosi’ com’e’ poi andata.
A rimettere “la chiesa al centro del villaggio”, com’era giusto che fosse, ci ha pensato il Consiglio di Stato dopo l’appello presentato nei 30 giorni previsti dopo la sentenza da Marino Visentini e gli altri due convenuti solo successivamente in giudizio, De Toni e Honsell. E l’ha fatto ribaltando proprio il principio sopra richiamato del TAR sulla volonta’ implicita dei sottoscrittori di far conoscere dati identificativi e pensiero (la sottoscrizione di una pubblica petizione implica il consenso al trattamento dei propri dati personali per la specifica finalità connessa alla stessa e, quindi, implica il consenso alla trasmissione dei propri dati personali all’autorità pubblica che ne è destinataria; non implica, invece, il consenso al trattamento dei propri dati personali per altre finalità, diverse ed ulteriori, e neppure equivale a rendere manifestamente pubblici i propri dati personali” chiosa il dispositivo). Un plauso dunque ai giudici amministrativi di secondo grado che almeno riformano sensatamente certi pronunciamenti di grado inferiore dando ragione e forza al diritto di manifestazione del pensiero e a quell’art.21 della Costituzione troppe volte bistrattato in questi ultimi anni dal Pensiero Unico che e’ andato maledettamente radicandosi.
EB