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Carmen Tortora

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Bruxelles: pioggia di bandiere al Palazzo UE – arcobaleno, clima e QR-code

Il 17 maggio 2025, la Commissione Europea ha issato la bandiera LGBTQIA+ accanto a quella dell’Unione per celebrare il Pride. Gesto simbolico, arcobalenico e molto, molto fotografabile. Ma a Bruxelles si sono fatti prendere la mano: accanto ai vessilli ufficiali, mancavano solo la bandiera delle 15-minuti cities, quella dell’Agenda 2030 (in tessuto riciclato), la CO₂-neutral flag, il vessillo “Digital ID Verified”, lo stendardo “Vaccinati e Obbedienti” e, perché no, una bella bandiera Frontex con logo arcobaleno e droni stilizzati.

Messaggio ricevuto: l’inclusività è per tutti — tranne per chi non ha un green pass spirituale e un comportamento algoritmicamente corretto. Bruxelles è la Disneyland della compliance: più bandiere sventolano, più controlli si attivano.

E mentre il cielo si riempie di simboli, i cittadini restano giù, tra bollette ESG, restrizioni resilienti e libertà regolamentate. Ma tranquilli: siamo tutti rappresentati. Almeno su tela.

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Tracciamento illegale? L’UE scopre l’acqua calda. Ma chi traccia davvero chi?

Ogni tanto arriva una buona notizia anche dall’Unione Europea — o almeno, così sembra. La Corte d’appello del Belgio ha stabilito che il tracciamento degli utenti per scopi pubblicitari viola il GDPR. Nello specifico, ha dichiarato illegale il famigerato Transparency and Consent Framework (TCF), quel sistema che si nasconde dietro ai pop-up sui cookie e che ci obbliga a “dare il consenso” prima ancora di leggere un articolo. La verità? Quel consenso non è mai stato libero, né trasparente.

Secondo i giudici, il sistema alimenta una forma di sorveglianza predittiva che calpesta i diritti fondamentali dei cittadini europei. Una bella frase, suona bene. Ma mentre Bruxelles finge di proteggerci dai cookie pubblicitari, è la stessa Unione a spingerci dentro un mondo sempre più digitalizzato, schedato e ipercontrollato. Passaporti sanitari, identità digitali, sistemi biometrici, geolocalizzazione: il tracciamento non lo fanno solo le Big Tech — lo fa anche l’apparato che ora si presenta come paladino della privacy.

La IAB Europe, che rappresenta il settore pubblicitario, era stata multata nel 2022 per 250.000 euro. Il 14 maggio 2025 ha perso anche il ricorso. Bene. Ma questa vittoria rischia di essere solo simbolica se non si affronta l’ipocrisia di fondo: da una parte si condanna la profilazione privata, dall’altra si costruisce un’infrastruttura pubblica che rende ogni cittadino un punto dati da monitorare.

Insomma, va bene spegnere qualche tracker pubblicitario. Ma ci piacerebbe — tanto — che l’Unione Europea mostrasse la stessa solerzia nel difenderci da sé stessa, dalle sue agende digitali, dalle sue piattaforme di sorveglianza mascherate da “innovazione”. Perché il vero Grande Fratello, a questo punto, non è più solo una multinazionale americana. Ha anche una bandiera blu con dodici stelle.

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Il nuovo Accordo Pandemico dell’OMS: burocrazia globale, sorveglianza permanente e 'equità' a senso unico

Dopo tre anni di negoziati e una maratona diplomatica durata fino all’aprile 2025, i delegati dell’Organismo intergovernativo di negoziazione (INB) hanno finalmente partorito un testo: il nuovo Accordo sulla pandemia, pronto per essere votato alla 78ª Assemblea Mondiale della Sanità a fine maggio. Un trattato pieno di clausole vaghe, promesse simboliche e sorveglianza potenziata, che apre la strada a una nuova era di controllo biomedico globale.

Il testo prevede che i produttori farmaceutici “partecipanti” riservino all’OMS il 20% della produzione sanitaria pandemica, metà in donazione e metà a “prezzi accessibili”. Una nuova struttura finanziaria, il Meccanismo Finanziario di Coordinamento (CFM), sarà creata per finanziare questo e il nuovo livello massimo di allerta, l’“Emergenza Pandemica”, che potrà essere dichiarata dal Direttore Generale dell’OMS a partire da settembre 2025.

Un trattato simbolico, ma ad alto impatto geopolitico
Nonostante le defezioni di USA e Argentina, il testo ha cercato di equilibrare posizioni inconciliabili tra Nord e Sud globale. In particolare, molti paesi africani hanno denunciato l’Accordo come un’altra ingiustizia imposta da chi, durante il Covid, ha accumulato vaccini e lasciato l’Africa a mani vuote (beati loro). L’obiettivo dichiarato è l’“equità”, ma resta un concetto più sbandierato che realizzato: l’unico risultato è la formalizzazione della dipendenza dei paesi poveri dalle donazioni dei ricchi.

Il documento richiede inoltre maggiore “trasparenza contrattuale”, ma con clausole fumose che difficilmente avrebbero impedito a Ursula von der Leyen di negoziare vaccini con Pfizer via SMS. I richiami alla “produzione locale” e al trasferimento tecnologico restano subordinati a clausole TRIPS e volontà industriale occidentale.

Una macchina globale per la sorveglianza e la risposta biomedica
Il cuore dell’Accordo è il rafforzamento della sorveglianza e del paradigma “One Health”: controllo integrato su ambiente, animali, esseri umani. Il costo previsto? Oltre 40 miliardi di dollari l’anno. Con la creazione di nuovi hub, come il Pandemic Hub di Berlino e il centro mRNA dell’OMS a Città del Capo, l’industria pandemica è ormai consolidata. Il rischio? Un’escalation di diagnosi iperprotette e “scoperte” virologiche che giustificano allarmi permanenti.

Infodemia e propaganda: chi decide cos’è vero?
L’Accordo non impone lockdown o obblighi vaccinali, ma ribadisce l’importanza del “controllo dell’infodemia”. Tradotto: sorveglianza dell’informazione, soprattutto digitale. L’esperienza del Covid, tra messaggi di panico pianificati (vedi Hancock e la “variante della paura”), mostra quanto la comunicazione sia ormai un’arma politica. L’articolo 24.2 esclude formalmente che l’OMS possa imporre obblighi legali agli Stati, ma la struttura narrativa e finanziaria del trattato punta chiaramente a orientare – e premiare – i più obbedienti.

Un accordo che “rinvia” il problema
Molti punti controversi – come proprietà intellettuale, licenze obbligatorie e accesso ai prodotti – sono stati semplicemente rimandati alla futura Conferenza delle Parti (COP). L’Accordo è quindi un contenitore flessibile, pronto a evolvere in base alle pressioni politiche e finanziarie, non a regole chiare.

Conclusione: la pandemia come leva di governance globale
Come il cambiamento climatico e la proliferazione nucleare, anche il rischio pandemico viene usato come “minaccia esistenziale” per giustificare un’agenda permanente: investimenti, sorveglianza, controllo. Il vero effetto dell’Accordo non sarà tanto giuridico quanto narrativo. E finché la paura sarà utile, la macchina pandemica resterà accesa.

Il voto alla 78ª AMS non sarà la fine, ma l’inizio della normalizzazione di una burocrazia pandemica globale, alimentata da fondi pubblici, emergenze cicliche e tecnologie bio-sorveglianti. Il mondo post-Covid ha trovato il suo nuovo ordine: il protocollo d’allarme permanente. https://t.me/carmen_tortora1
Middle East Reloaded: regionalizzazione e friend-shoring per l’ordine tecnocratico USA-centrico

Il recente tour mediorientale di Donald Trump non è solo diplomazia spettacolare, ma l’attuazione concreta di una strategia economico-politica su scala globale: regionalizzare le catene del valore e consolidare il friend-shoring come pilastro di un nuovo ordine tecnocratico, centrato sugli interessi americani.

Nel contesto della frammentazione geopolitica, Stati Uniti e alleati stanno trasformando il Medio Oriente in un distretto strategico: una piattaforma regionale per filiere produttive, logistiche ed energetiche integrate. Secondo il World Economic Forum (WEF) e il Fondo Monetario Internazionale (IMF), la regionalizzazione rappresenta oggi una risposta “razionale” al fallimento della globalizzazione classica: supply chain più corte, selettive, geograficamente localizzate e ideologicamente allineate.

Il friend-shoring, teorizzato da Janet Yellen e promosso in sede FMI, OCSE e WEF, rientra in questa strategia di “de-risking”: spostare la produzione in Paesi amici, riducendo la dipendenza da "potenze ostili" come la Cina. Come sottolineato nel panel “Regionalization, Re-Globalization, and Supply Chain Transformation” del Milken Institute, la globalizzazione non è finita, ma si sta ri-cablando in blocchi regionali interoperabili, con regole comuni su sicurezza, dati e investimenti.

In questo scenario si inserisce la questione chiave della tenuta del dollaro come valuta globale. Secondo Jim Rickards, ex funzionario del Tesoro USA coinvolto nella creazione del sistema petrodollaro nel 1974, il tour di Trump mira a stabilire un nuovo accordo energetico con i sauditi – un “Petrodollar 2.0 – per contenere l’ascesa dello yuan e rafforzare l’egemonia del dollaro.

Rickards racconta come, all’epoca, l’accordo con l’Arabia Saudita fu costruito su un equilibrio tra minaccia (invasione in caso di rifiuto) e premio (protezione militare in cambio di vendite in dollari). Oggi, con i sauditi che iniziano a commerciare in yuan, le crepe nel sistema sono evidenti. La risposta di Trump? Niente minacce: solo carote. Investimenti, garanzie e piena integrazione tecnologica nella rete USA per non perdere Riyadh a favore di Pechino.

Gli accordi firmati:
Qatar – 1,2 trilioni $
Difesa, aviazione, logistica, cybersecurity

Arabia Saudita – 1.042 miliardi $
Energia, armamenti, smart cities, infrastrutture

Siria – (nessuna cifra ufficiale)
Reinserimento economico tramite petrolio e gas

Emirati Arabi Uniti – 1,6 trilioni $
AI, blockchain, logistica energetica, investimenti diretti negli USA

Conclusione: Il tour di Trump non è solo una serie di accordi, ma l’attivazione di un sistema a blocchi, dove il Medio Oriente diventa laboratorio offshore del friend-shoring occidentale. Un’area dove conta la compatibilità, non la sovranità. E mentre il sistema del petrodollaro mostra segni di erosione, Washington tenta un rilancio: con un volto più gentile, ma la stessa logica imperiale.

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Crisi del vento in Germania: l’eolico crolla, l’Europa rispolvera il nucleare

Il 2025 si sta rivelando un annus horribilis per l’industria eolica tedesca. Nei primi tre mesi dell’anno, la Germania ha registrato la velocità del vento più bassa dal 1973, con una media sotto i 5,5 m/s. Il risultato è stato un crollo del 31% nella produzione di energia eolica rispetto al primo trimestre del 2024, con perdite milionarie per le aziende del settore: PNE, ad esempio, è passata da un utile operativo a una perdita secca di 7,1 milioni di euro.

La carenza di vento, combinata alla scarsa resa del solare nei mesi invernali, ha costretto il governo a riattivare le centrali a gas e ad aumentare l’importazione di energia, spesso nucleare, dai paesi vicini. Come se non bastasse, alcuni studi suggeriscono che l’eccessiva espansione dell’eolico potrebbe aver contribuito essa stessa alla riduzione dei venti, aggravando siccità e ondate di calore.

Nel frattempo, il modello delle rinnovabili mostra crepe sempre più evidenti. La Danimarca, storicamente anti-nucleare, ha avviato uno studio ufficiale sul potenziale dei nuovi piccoli reattori modulari (SMR), ovvero impianti nucleari compatti di ultima generazione progettati per essere più sicuri, scalabili e meno costosi rispetto alle centrali tradizionali, pur senza abbandonare formalmente il proprio orientamento “verde”. Anche l’Italia, dopo decenni di tabù post-Chernobyl, si prepara a reinserire il nucleare nel proprio mix energetico con l’intenzione di utilizzare gli SMR come leva per la decarbonizzazione industriale. Tuttavia, non mancano le critiche: secondo diversi studi, gli SMR potrebbero produrre più rifiuti radioattivi per unità di energia rispetto ai reattori tradizionali, risultano ancora troppo costosi e lenti da realizzare.

La narrazione green dell’Europa inizia a fare i conti con la realtà fisica del clima e della rete elettrica: quando il vento si ferma, le illusioni ideologiche si infrangono.

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Il Monte Seceda, maestoso bastione roccioso delle Dolomiti italiane, si erge a oltre 2.500 metri nel cuore dell’Alto Adige, dominando la Val Gardena e la Val di Funes. Un tempo conteso confine culturale tra mondo latino e mondo germanico, ha segnato per secoli la linea invisibile tra l’Impero Austriaco e l’Italia. Le sue guglie calcaree, scolpite da ere geologiche e glaciazioni, non solo offrono panorami mozzafiato, ma conservano i segni di un passato segnato da pastori ladini, guerre di frontiera e una convivenza forzata tra identità linguistiche. Oggi è simbolo di armonia tra natura e cultura, parte del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO.
Buongiorno e buon sabato a tutti!

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Mentre si compra un carro armato al giorno, gli ospedali cadono a pezzi

Mentre a Bruxelles e a Berlino si moltiplicano i fondi per missili, droni e fanfare NATO, in Italia l’Aula di Montecitorio si trasforma in un teatrino tragicomico. Giorgia Meloni e Elly Schlein si azzuffano a colpi di dichiarazioni durante il premier time. Tema? La sanità pubblica, o meglio ciò che ne resta.

Schlein grida che “curarsi è diventato un lusso”.
E ha pure ragione: le liste d’attesa sono infinite, e chi non ha soldi per il privato rischia la pelle aspettando mesi per una risonanza. Intanto gli ospedali pubblici arrancano, svuotati da anni di tagli bipartisan e dalla fuga di medici e infermieri verso stipendi decenti o semplicemente verso l’estero.

Meloni risponde che è colpa delle Region
i (già, lo scaricabarile è lo sport nazionale), ma promette un decreto magico per “attivare poteri sostitutivi”. Tradotto: centralismo d’emergenza e nessuna soluzione concreta.

Si parla anche dei famigerati gettonisti, i medici a chiamata pagati a peso d’oro per tappare i buchi di organico. Il governo avrebbe “messo un freno” con il decreto 34/2023, ma la realtà è che gli ospedali preferiscono pagare 1.000 euro a turno un gettonista piuttosto che assumere stabilmente. Il sistema è malato e alimenta se stesso.

Schlein elenca i numeri del disastro: mancano 65.000 infermieri e 30.000 medici. Gimbe lancia l’allarme: sempre più italiani rinunciano a curarsi perché non possono permetterselo. Intanto, al Sud, si emigra per fare una TAC. Al Nord, si aspetta o si paga.

Meloni si difende con le cifre: “abbiamo stanziato il record storico nel Fondo sanitario nazionale”. Peccato che non dica che in percentuale sul PIL stiamo ancora sotto i livelli europei. Ma si sa: le cifre assolute fanno scena, anche se non servono a nulla quando il pronto soccorso ti manda a casa con la febbre alta e un ibuprofene.

Conclusione? Tutti colpevoli. Tutti complici. E mentre il popolo arranca tra liste d’attesa, ambulanze introvabili e ospedali deserti, il Parlamento si scanna per i voti e il governo fa propaganda con i bilanci. L’unica cosa che cresce davvero è la spesa militare. Per curarci? Ci resta solo il Santo Rosario.

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Blackout & Bandiera: dalla Spagna a Londra, il puzzle energetico si chiama “Alchemy”

Londra
si prepara a mesi di blackout, ma non per colpa di Putin o di qualche tempesta solare. No, stavolta il nemico è interno: è la transizione verde. Lo ha ammesso persino The Telegraph l’11 maggio 2025: il passaggio accelerato dal gas — una fonte stabile — alle rinnovabili — intermittenti e non programmabili — sta compromettendo la tenuta dell’intera rete elettrica britannica. Il blackout improvviso che ha paralizzato la metropolitana di Londra ne è stato il primo segnale concreto: migliaia di persone bloccate sottoterra, luci spente, caos. Non si è trattato di un incidente isolato, ma di un campanello d’allarme su ciò che potrebbe diventare la “nuova normalità”. Il gestore nazionale lancia l’allarme. E il sospetto ormai è lecito: che questo “rischio sistemico” non sia un effetto collaterale, ma parte integrante del piano Net Zero. Una destabilizzazione energetica pianificata, venduta come progresso.

Non è la prima anomalia che si registra. Già nel novembre 2024, Alex Krainer aveva attirato l’attenzione su un fatto inquietante: le webcam pubbliche di Londra si erano spente simultaneamente il 2 settembre alle 16:51, l’ultima immagine utile da Westminster Bridge. Un blackout digitale perfetto, senza spiegazioni ufficiali. Secondo Krainer, quel blackout era il preludio a un’operazione sotto falsa bandiera, funzionale a costruire un pretesto per una futura escalation contro la Russia.

Qualche mese dopo, il 28 aprile 2025, un blackout colpisce Spagna, Portogallo e parte del sud della Francia. Le versioni ufficiali parlano di “problemi tecnici”, ma Red Eléctrica ha rilevato l’improvvisa scomparsa di 10 GW di produzione solare dai flussi monitorati, come se una parte della rete fosse stata silenziata artificialmente. L’ipotesi di un attacco cibernetico viene ventilata e persino le autorità spagnole aprono un’indagine per possibile sabotaggio.

Ed è qui che tutto si collega: proprio tra aprile e giugno 2024, l’Unione Europea, attraverso ENISA, conduceva l’esercitazione Cyber Europe 2024. Obiettivo: simulare attacchi informatici su larga scala contro infrastrutture energetiche, reti elettriche e smart grid. Lo scenario proposto? Una crisi energetica derivante da tensioni geopolitiche e blackout a cascata. La coincidenza temporale con gli eventi reali è troppo netta per essere ignorata.

Come se non bastasse, The Grayzone ha pubblicato nello stesso periodo documenti esplosivi su un’operazione segreta del Ministero della Difesa britannico: il Progetto Alchemy. Un'unità clandestina incaricata di condurre operazioni psicologiche e strategiche legate alla guerra in Ucraina. Alchemy non è teoria del complotto: è realtà documentata. Lavora sul terreno della destabilizzazione, della disinformazione e delle crisi simulate, con obiettivi politici ben precisi.

In apparenza scollegati, questi eventi — blackout reali, simulazioni istituzionali e operazioni militari coperte — sembrano in realtà pezzi dello stesso disegno. Una strategia convergente che punta alla trasformazione dell’ordine energetico, alla militarizzazione delle crisi e al controllo narrativo dell’emergenza.

Quando ci spegneranno la luce, ci racconteranno che è colpa del sole, del vento, della rete sovraccarica o di qualche hacker russo. Ma ormai è chiaro: la realtà sarà stata scritta in anticipo, su uno schermo spento.

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OMS RESET: meno direttori, più controllo (e la grande epurazione post-Covid)

Dopo anni di potere pandemico incontrastato, l’Organizzazione Mondiale della Sanità tira il freno a mano… ma non per umiltà, bensì per carenza di fondi. Licenziamenti in arrivo, tagli a pioggia, dimezzamento dei dipartimenti e, ovviamente, una bella sostituzione di volti “storici” — via Mike Ryan e Bruce Aylward, quelli del Covid-show — per rifarsi la reputazione. La retorica è quella della “diversità geografica e di genere”, ma la verità è più semplice: il budget crolla, Trump ha tagliato i fondi, e a Ginevra tremano.

Tedros si reinventa direttore d’orchestra di una squadra snella e agile (
leggi: meno bocche da sfamare) con l’aiuto del super-scienziato Jeremy Farrar, pronto a spingere l’OMS in una nuova fase di “prevenzione globale”. Tradotto: accentramento, sorveglianza e nuove strategie per restare a galla senza gli assegni americani.

Farrar, medico e microbiologo britannico, è stato per oltre un decennio direttore del Wellcome Trust, una delle più influenti fondazioni private nel campo della ricerca scientifica e partner chiave dell’OMS, della GAVI Alliance e della CEPI. Da marzo 2023 è Chief Scientist dell'OMS, e oggi assume un ruolo ancora più centrale nella ristrutturazione strategica dell'agenzia.

E come spesso accade in questi ambienti, alla chiamata di aiuto risponde l’immancabile cavaliere filantropico: Bill Gates. La sua fondazione — già principale contributore privato dell’OMS — nel solo biennio 2024-2025 ha versato circa 646 milioni di dollari, pari al 13,67% del budget totale dell'organizzazione. Alla faccia della “neutralità” dell’OMS. In pieno stile filantropico, Gates ha annunciato che si impegnerà a coprire parte del buco lasciato dal ritiro degli Stati Uniti, in particolare per i programmi di sorveglianza e risposta pandemica.

Una generosa mano privata per mantenere in piedi un sistema che ormai sembra funzionare più con i soldi dei miliardari che con quelli degli Stati sovrani. Ma questa “generosità” solleva questioni sempre più spinose sull’indipendenza dell’OMS: [Fla crescente dipendenza da finanziatori privati come la Gates Foundation sta trasformando l’agenzia in un'appendice filantropica con mandato globale.
Nel frattempo, 42 direttori su 76 dovranno sparire nel nulla, mentre si valutano “trasferimenti tattici” in località più economiche o tattiche: dalla Ginevra dei miliardari si passa a Berlino, Lione, Addis Abeba e Nairobi. Il piano? Licenziare con garbo, fare finta di decentralizzare e salvare la baracca con qualche hub africano da mettere in vetrina.

La “transizione” serve a coprire la resa dei conti. Dopo il boom di dirigenti, consulenti e milioni bruciati durante il Covid, ora serve il reset — anche d’immagine. Nessun cinese, nessun americano nel nuovo team: l’OMS cerca di scrollarsi di dosso l’ombra di Wuhan e le accuse di asservimento geopolitico. Ma dietro il maquillage diplomatico resta un’organizzazione in crisi nera, a corto di soldi e credibilità.

Conclusione? Si cambia tutto per non cambiare nulla. Si taglia dove serve meno (cioè nel simbolismo delle poltrone), si mantengono i pilastri ideologici (sorveglianza, controllo, emergenza permanente) e si prepara il terreno per un nuovo corso… con meno fondi ma la stessa fame di potere globale.

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NATO-Gate: la guerra fa gola, soprattutto agli insaziabili della pace

Mentre la NATO si vende al mondo come baluardo della sicurezza e della trasparenza, dietro le quinte si consuma l’ennesima farsa da basso impero. A finire sotto inchiesta sono i contratti per la fornitura di armamenti, gestiti dall’agenzia interna NSPA, che movimenta miliardi come fossero noccioline. È bastato grattare la patina della “difesa collettiva” per trovare il solito puzzo di tangenti, riciclaggio e favoritismi.

Le autorità belghe hanno fatto scattare le prime manette: due arresti, raid nelle Fiandre e indagini che coinvolgono anche Spagna, Lussemburgo e Paesi Bassi. I sospetti? Alcuni dipendenti NATO avrebbero passato informazioni riservate ai soliti noti dell’industria bellica. In pratica: insider trading in mimetica.

La NATO, colta con le mani nel sacco, si affretta a dichiarare che “collabora a stretto contatto con le autorità”. Una frase ripetuta come un mantra da chi ha perso il controllo della narrazione e cerca di guadagnare tempo. In realtà, più che collaborare, sembra trascinata a forza sotto i riflettori. Intanto, Mark Rutte – segretario dell'Alleanza – si affanna a proclamare che “nessuna violazione dello stato di diritto sarà tollerata”. Ma la sensazione è che lo stato di diritto, in questa vicenda, sia già stato calpestato, archiviato e dimenticato. Come la trasparenza e la credibilità dell’Alleanza stessa, se mai fossero esistite davvero.

A rendere ancora più torbido il quadro è l’assenza di dettagli sui beneficiari delle tangenti e sull’ammontare delle somme in gioco. Ma bastano i numeri dei contratti sotto indagine per capire la portata dello scandalo: 1.000 missili Patriot per 5,5 miliardi di dollari e munizioni di artiglieria per altri 1,1 miliardi. Altro che “difesa dei valori occidentali”: siamo di fronte alla solita sagra dell’affare d’oro mascherato da missione umanitaria.

A coordinare le indagini c’è perfino Eurojust, e si parla ormai apertamente di una vera e propria organizzazione criminale annidata all’interno dell’apparato NATO. L’ipocrisia è lampante: chi predica legalità e ordine internazionale si rivela ancora una volta un club esclusivo in cui il confine tra lobbying, corruzione e crimine organizzato è sottilissimo – se non del tutto evaporato.

Se la NATO è davvero ciò che dichiara di essere, è ora che cominci a difendere qualcosa di più del proprio bilancio. Ma alla luce di quanto emerge, sarebbe più onesto riconoscere che dietro gli elmetti, le bandiere e i discorsi solenni si muove soltanto la solita macchina: quella del profitto, dell’impunità e della guerra come business.

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L’Inghilterra si robotizza: il piano di Starmer per l’IA totale entro il 2030

Keir Starmer, il tecnocrate trilateralista dal sorriso impiegatizio che si è guadagnato il bollino WEF a Davos, ha annunciato con entusiasmo la prossima fase della distopia britannica: “spingere l’intelligenza artificiale nelle vene della Gran Bretagna”. Frase già inquietante di per sé, ma perfettamente in linea con il copione del Grande Reset. Altro che progresso: qui si tratta di infilare un chip nella democrazia e un reattore nucleare nel cortile dietro casa.

Ovviamente, Starmer parla di lavoro, innovazione e servizi trasformati, ma la verità la conosciamo: più controllo, più sorveglianza, meno libertà e una classe media disintegrata sotto il peso di costi, tasse e paranoia climatica.

Ecco il vero “Piano per il Cambiamento”: robot al posto degli agricoltori, centrali nucleari in campagna, città intelligenti dove stipare gli espropriati, e una Biblioteca Dati Nazionale per nutrire gli algoritmi mentre i cittadini vengono monitorati “eticamente”. Tranquilli, dicono, è tutto “responsabile”. Come no.

Per alimentare questo incubo hi-tech, il governo taglierà i servizi pubblici e piazzerà mini-reattori nucleari in aree rurali, così i contadini resteranno al buio... ma monitorati.

Nel frattempo, il Guardian celebra l’aumento venti volte della potenza computazionale entro il 2030, la data feticcio della nuova religione digitale. Con la benedizione di Klaus Schwab e della Famiglia Reale, si corre verso un mondo senza proprietà privata, senza contatto umano e con la mente collettiva cablata al "cloud" di Musk e Bezos.

Il popolo? Spaventato, preoccupato, associando l’IA a “robot e paura” già nel 2024. Ma tanto chi li ascolta più? Meglio fidarsi dei “leader del cambiamento”, clone dopo clone, fino all’ultimo bit.

Nel cuore dell’Inghilterra resta, però, un residuo di dignità: quella resistenza morale che rifiuta di farsi digitalizzare l’anima. Non tutto è perduto, se qualcuno avrà il coraggio di dire NO a questo culto programmato del caos travestito da progresso.

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Draghi, dazi e deliri militaristi: il nuovo ordine europeo dei servitori atlantici

Mentre l’Europa annaspa tra blackout economici e incubi militari, l’ex banchiere-salvatore Mario Draghi sale in cattedra al vertice Cotec di Coimbra e ci illumina con la sua consueta visione apocalittico-tecnocratica: “Siamo a un punto di non ritorno”. Il problema? Non le guerre, non la povertà crescente, non i suicidi tra imprenditori o le aziende che chiudono. No: sono i dazi americani e la morte (finalmente?) dell’OMC. “L’uso massiccio di azioni unilaterali ha minato l’ordine multilaterale in modo difficilmente reversibile”, piagnucola l’ex-premier, ancora legato al suo mondialismo da manuale.

Ma non finisce qui. Draghi ci avverte che anche la transizione verde è in pericolo: “I prezzi elevati dell’energia e le carenze della rete sono una minaccia per la sopravvivenza dell’industria e per la strategia di decarbonizzazione”. Tradotto: stiamo ammazzando le aziende europee per un'utopia ecologista disfunzionale, e adesso ci lamentiamo delle conseguenze. Un capolavoro di coerenza.

Nel frattempo, mentre si piange sull’energia, si stappa champagne per i fondi alla guerra. “Il debito comune UE per le spese militari è una componente chiave della roadmap”, dichiara Draghi, mostrando il vero piano: spingere per un'Europa debole economicamente ma forte militarmente, a guida Nato. Del resto, se il popolo è stremato, sarà più facile comandarlo sotto minaccia.

Ed eccoci quindi nel delirio militarista europeo: la Lettonia ha deciso che dal 2026 il 5% del PIL andrà in armi e missili, perché “la sicurezza viene prima di tutto”. Berlino non vuole essere da meno: “Seguiamo Trump sul 5%”, dichiara il ministro degli Esteri tedesco. Anche la Germania – sì, di nuovo la Germania – promette il più potente esercito convenzionale d’Europa, con riforme costituzionali lampo per escludere le spese belliche dal tetto del debito. Altro che pace: siamo ufficialmente tornati agli arsenali.

Mark Rutte,
neo-segretario generale della NATO, ha lanciato la parola d’ordine: “Rendere la NATO più letale”. Perché, dice, “abbiamo bisogno di tutte le capacità necessarie davanti alla minaccia russa”. In pratica: più bombe, più droni, più industrie belliche, più austerità per i cittadini. Tutto per il bene della "sicurezza".

E se qualcuno osa ancora parlare di trattati di pace? Tajani ha la risposta pronta: “Putin rifiuta la pace perché ha un’economia di guerra”. Nessuna autocritica, nessuna riflessione sulla deriva bellicista europea. Solo un disco rotto: è sempre colpa degli altri.

Morale della favola? L’Europa, sotto l’egida Draghi-von der Leyen, ha smarrito ogni barlume di autonomia. Vuole decarbonizzare mentre importa gas di guerra. Vuole la pace armando fino ai denti. Vuole competere con USA e Cina, ma si inginocchia a ogni ordine atlantico. E i popoli? Possono pagare bollette, sostenere guerre e tacere. Perché l’ordine "neoliberale-militare" non ammette dissenso. Solo obbedienza.

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L'Atlantic Road (Atlanterhavsveien) è uno dei tratti stradali più spettacolari al mondo, situato lungo la contea di Møre og Romsdal, sulla costa occidentale della Norvegia. Inaugurata nel 1989, questa sezione della Strada Statale 64 collega le città di Molde e Kristiansund, estendendosi per 8,3 km tra isole, scogli e fiordi, con ponti curvi che sfidano l'orizzonte e l’oceano.

Pensata inizialmente come una ferrovia (progetto abbandonato nel 1935), l’Atlantic Road divenne realtà decenni dopo, costruita in condizioni estreme: durante i sei anni di lavori, 12 tempeste oceaniche colpirono il cantiere. Ma oggi è una meraviglia ingegneristica e paesaggistica, considerata "la costruzione norvegese del secolo" nel 2005.

Buongiorno e buon venerdì a tutti!

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Circoli in svendita: il Pd chiude, ma giura di stare benissimo

A Bologna, storica roccaforte rossa, 25 circoli del Pd chiudono i battenti su 100. Tre solo in città, inclusi quelli frequentati da Prodi ed Elly Schlein. Ma niente panico: il partito giura di essere in perfetta forma. Anzi, secondo il tesoriere Michele Fina, sarebbe un “riordino” necessario.

Chiudono circoli? “Mai stati così bene”, dicono. Debiti accumulati per 4 milioni di euro? Era solo un “ritardo materiale nella fusione tra Ds e Margherita”.Tagliati due terzi delle sedi nel territorio? Si chiama “razionalizzazione partecipata”. Vecchie sezioni trasformate in magazzini? Innovazione.

Insomma, mentre la base si ribella (“quel centro lo hanno costruito i compagni”, tuona Minerbio), il partito nazionale brinda ai successi finanziari: 200mila iscritti, 10 milioni dal 2x1000, 450 Feste dell’Unità e nuove sedi da inaugurare, giusto per salvare la faccia.

Nel frattempo, a Bologna si chiudono le saracinesche di una storia che fu politica, popolare, militante. Oggi è contabilità, affitti non pagati e circoli in affitto dai post-Ds a se stessi. Un’operazione chirurgica venduta come rigenerazione democratica.

Ma tranquilli, il Pd non ha chiuso nessun circolo. Solo le porte.

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Singapore, Stato Siringa: vaccino o prigione (e senza diritto di lamentarsi)

Nel piccolo laboratorio autoritario chiamato Singapore, il governo ha deciso che chi rifiuta l’iniezione obbligatoria diventa automaticamente un criminale. Grazie alle modifiche apportate nel 2023 e 2024 all’Infectious Diseases Act, chi non si conforma alla profilassi ordinata potrà finire in carcere per sei mesi, con tanto di multa da 10.000 dollari – oppure entrambe le sanzioni, così impari a dubitare del sacro siero.

Il meccanismo è semplice: basta un “sospetto focolaio” e il Direttore Generale della Sanità può ordinare la vaccinazione di “qualsiasi persona o categoria di persone”. Nessuna epidemia in corso? Poco importa, basta che sembri imminente.

E se non ti fai marchiare dalla siringa? Multa, prigione, o entrambe. Alla seconda infrazione, la pena raddoppia. Un incentivo gentile, con il bastone e senza la carota.

Ma c’è di meglio: la Sezione 67 garantisce totale immunità legale alle autorità. Se ti danneggiano, muori o sviluppi effetti collaterali devastanti: non puoi fare causa. Lo Stato ti ordina cosa fare col tuo corpo, e in cambio ti toglie ogni diritto di difenderti. Un affare da manuale distopico.

A denunciare l’assurdità del provvedimento è stato Derrick Sim del People’s Power Party, che ha definito pubblicamente questa legge un abuso gravissimo. Ma nell’isola ipercontrollata, chi osa alzare la voce viene isolato e screditato.

Durante il regime sanitario del COVID-19, Singapore ha già imposto la vaccinazione a lavoratori, religiosi e fedeli. Anche andare a Messa richiedeva il lasciapassare immunitario. I danni da vaccino? Ignorati. Il dibattito pubblico? Censurato.

Ora la dittatura sanitaria si è fatta codice penale. La morale è chiara: ti vaccini, taci e ringrazi. Altrimenti ti chiudono dentro. E buttano via la chiave… sanitaria.

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Рекорддор

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Carmen Tortora популярдуу жазуулары

Auguro a tutti voi, e alle persone che amate, una Pasqua di verità, di cuore e di luce. Che possiate risorgere ogni giorno, nel silenzio del cuore e nella forza dell’anima.
12.05.202514:59
OMS, Europarlamento e “sovranità pandemica”: arriva il golpe sanitario silenzioso

Con 514 voti a favore e solo 126 contrari, il Parlamento europeo ha dato il via libera a uno dei passaggi più inquietanti della governance sanitaria globale: l’approvazione degli emendamenti al Regolamento Sanitario Internazionale (RSI) dell’OMS. Un documento vincolante senza necessità di ratifica parlamentare nazionale, che entrerà in vigore il 19 settembre 2025 — a meno che uno Stato non si ribelli formalmente entro luglio. Spoiler: non lo farà nessuno.

Nel silenzio mediatico più totale, si affida a una burocrazia sovranazionale il potere di dichiarare “emergenze pandemiche” sulla base di criteri vaghi e senza più bisogno del consenso degli Stati. Una volta proclamata l’emergenza, l’OMS potrà:

imporre raccomandazioni temporanee e permanenti
(artt. 15-16, rispettivamente per misure di emergenza e misure sanitarie ordinarie a tempo indeterminato: ad esempio obbligo di mascherina, certificazione sanitaria, limitazioni alla mobilità, anche dopo la fine dell’emergenza) anche dopo la fine dell’emergenza;

gestire l’accesso “equo” ai “prodotti sanitari pertinenti” — una formula omnicomprensiva che include vaccini, terapie geniche, mascherine, disinfettanti e più avanti chissà cos’altro;

imporre documenti sanitari digitali (art. 35)
aggiornabili dall’OMS secondo “specifiche tecniche” non definite, ma ovviamente “conformi” al trattamento dati personale (si rassicura, quindi…);

dettare le misure da adottare nei porti, aeroporti e valichi terrestri (artt. 20-21)
, con possibilità di quarantene, blocchi, sorveglianza e ispezioni senza autorizzazione parlamentare;

coordinare un “meccanismo finanziario globale” (art. 44 bis) a supporto della compliance sanitaria planetaria — ovvero un sistema che, di fatto, condiziona gli aiuti economici all’adesione ai diktat pandemici.

Il tutto condito da una struttura decisionale verticale in cui il Direttore Generale dell’OMS (non eletto da nessun cittadino) acquisisce un potere simile a quello di un imperatore sanitario: potrà dichiarare una “emergenza pandemica” anche contro la volontà di uno Stato (art. 12) e far partire immediatamente la macchina della risposta, compresa la censura della “disinformazione”.

Come se non bastasse, l’intera riforma si fonda su un principio di “solidarietà ed equità” che, tradotto in burocratese, significa: tutti i Paesi dovranno contribuire a un sistema centralizzato di risposta alle pandemie, e accettare che le forniture critiche vengano ridistribuite secondo “necessità globali” (e non nazionali). Bello vero?

Tra le gemme più inquietanti:

la ridefinizione di pandemia, che ora può essere attivata anche per un rischio “potenziale” di perturbazione sociale;

l’estensione dei poteri dell’OMS su trasporti, merci, viaggiatori e perfino corpi umani in transito (art. 23 e 28);

l’obbligo per gli Stati di aggiornare leggi interne per renderle conformi al RSI (art. 4.2bis), cancellando ogni residuo di autonomia legislativa in materia sanitaria.

Nonostante tutto ciò, il “gruppo Meloni”, quello che fa finta di opporsi alle élite globali, ha votato a favore di questa mannaia sanitaria che rende ogni futura “crisi” un’occasione per bloccare, schedare, vaccinare, trattenere e “coordinare” i cittadini a piacimento. Con buona pace dei “patrioti”.

Infine, un dettaglio da non sottovalutare: non c’è nessun obbligo di consultazione democratica. Gli Stati sono già vincolati per default. Se vogliono dire “no”, devono attivarsi formalmente entro il 19 luglio 2025. Un silenzio-assenso perfetto per una tecnocrazia sanitaria senza volto ma con molto potere.

Vuoi salvarti da tutto questo? Preparati a essere chiamato “negazionista antiscientifico”.

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14.05.202507:59
Il giorno che brucia

Un altro giorno di guerra è passato. E nessuno se n'è accorto.

Ogni giorno ha un nome diverso, ma il dolore è sempre lo stesso. Il calendario si riempie di cenere, mentre il mondo brucia in silenzio. Bruciano le città, i villaggi, i corpi. Brucia Gaza, dove un genocidio si consuma sotto gli occhi complici dell’Occidente. Brucia l’Ucraina, trasformata in laboratorio di guerra e speculazione. Brucia il Sudan, dove i bambini muoiono dimenticati. Brucia il Sahel, inghiottito nell’ombra. Brucia lo Yemen, dove la fame dilania più delle bombe. Brucia la Siria, dove la guerra è diventata paesaggio.

Sono 56 le guerre attive. 92 i Paesi destabilizzati. 100 milioni gli esseri umani derubati di tutto, anche del diritto di esistere.

E intanto, chi manovra l’abisso, si esibisce. Parla di “transizione verde” mentre devasta. Pronuncia “pace sostenibile” mentre arma. Invoca “resilienza” mentre costruisce gabbie biometriche e nuovi confini elettronici.

A Gaza, le bombe colpiscono ospedali, scuole, culle. È genocidio. Ma pronunciare la parola è diventato reato diplomatico. Interi quartieri vengono rasi al suolo e i bambini scavano con le mani, mentre gli ambasciatori brindano.

A Tripoli, l’uccisione di un torturatore – Gheniwa –fa esplodere un'altra guerra tra bande. Lo Stato è un fantasma. Ma l’Italia e l’Europa finanziano quel governo come fosse legittimo. I milioni versati diventano munizioni e lager.

Nel Burkina Faso, le stragi sono cronaca muta. Djibo affoga nel sangue, ma l’Occidente la chiama “instabilità locale”.

E mentre le guerre si moltiplicano, loro firmano trattati. Stabiliscono regole, quote, piani. Non per fermare i conflitti. Per disciplinarli. Per usarli. Per costruire un ordine globale senza dissenso.

Una sola voce. Un solo pensiero. Un solo sistema. Fatto di parole accattivanti e obiettivi inquinati. Ma dietro ogni “inclusione” c’è un codice. Dietro ogni “sviluppo” una sorveglianza. Dietro ogni “sicurezza” un nemico invisibile.

E noi? Zitti. Firmiamo. Paghiamo. Obbediamo.

Il giorno che brucia è ogni giorno. E nessuno lo ha ancora pianto abbastanza.

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13.05.202517:59
Io non ho paura di lei. Né ho paura di quegli idioti fanatici che la seguono. Ho paura di quello che questo odio sta facendo alla nostra società. Perché quando si normalizza la violenza verbale, quando si giustifica il linciaggio digitale, si perde qualcosa di fondamentale. Il rispetto per l’altro. E una società senza rispetto è una società che si sgretola. Mr. Burioni, stop bullying!”


Parole forti, che non possono essere liquidate con un'alzata di spalle. In un tempo in cui ogni critica viene demonizzata, e ogni figura pubblica può trasformarsi in mandante simbolico di attacchi collettivi, resta urgente recuperare il senso del limite.

Papa Leone XIV, nel suo recente motto, ha evocato “la forza nella mitezza e la luce nella verità”. Parole che dovrebbero ricordarci che la grandezza non sta nella sopraffazione, ma nell’umiltà. Che la scienza, se perde il rispetto per l’uomo, si trasforma in strumento di dominio.

Conclusione personale: Non è più tempo di idoli da talk show, né di sacerdoti in camice bianco con la verità in tasca. È tempo di restituire dignità alla parola, al dissenso, al confronto. Perché quando la scienza diventa dogma, e chi dissente viene bullizzato, non siamo più in una società libera. Siamo nel preludio della barbarie.

https://www.youtube.com/watch?v=6ANkb415wVA

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10.05.202511:05
Roma: la Capitale del cemento e del silenzio – Gualtieri ordina, gli alberi cadono

A Roma va in scena una silenziosa, sistematica deforestazione urbana. La giunta Gualtieri, tra sorrisi istituzionali e promesse ecologiche di facciata, sta abbattendo centinaia di alberi ad alto fusto – lecci, tigli, pini – come se fossero relitti di un passato da cancellare. Il tutto avviene nel periodo vietato della nidificazione, in sfregio alla fauna e al buonsenso. Nessuna trasparenza, nessuna consultazione, nessuna spiegazione. Solo cartelli vaghi e tecnici legati alle ditte appaltatrici che, come per magia, decretano che ogni albero è “pericoloso” o “a fine vita”.

La scusa? La solita: “messa in sicurezza”. Ma dietro questa parola magica si nasconde un meccanismo perfetto: abbattere è più veloce e remunerativo che curare. Meglio tagliare tutto, magari l’intero filare, anche se solo pochi esemplari sono malati. Un’occasione d’oro per le ditte coinvolte, che guadagnano due volte: prima con l’abbattimento, poi con le eventuali ripiantumazioni, sempre se avvengono davvero. E chi verifica? Nessuno. Il controllore è lo stesso che incassa.

Intanto si ripete il solito teatrino del greenwashing: “verranno piantati nuovi alberi”, dicono. Ma nessuno sa dove, quando, con quali criteri e se il saldo finale sarà mai positivo. Nel frattempo, i cittadini non vengono interpellati, le promesse (come la Consulta del Verde) svaniscono, e chi osa protestare viene trattato da sovversivo. Mentre Gualtieri si prepara alla rielezione, senza primarie e senza ombra – in tutti i sensi.

Eppure la domanda più scottante resta ignorata: gli alberi ad alto fusto, con le loro chiome fitte e le radici profonde, erano solo un problema “strutturale”? O forse rappresentavano un ostacolo ben più concreto: quello alla piena funzionalità delle reti 5G (e prossimamente 6G)? Nella nuova Roma della digitalizzazione spinta e dei fondi europei, serve “aria libera” per il segnale, visuale perfetta per le microantenne, infrastrutture a vista. In questo contesto, il verde urbano non è un valore: è un intralcio.

Altro che cura dell’ambiente. Qui si prepara la Smart City perfetta: spoglia di ombre, ma connessa h24. Le piante? Fastidiose, imprevedibili, biologiche. Meglio eliminarle in massa. Il tutto condito da una narrazione rassicurante e paternalista, dove tutto viene deciso “per il nostro bene” e senza coinvolgerci.

Una giunta che si proclama “di sinistra” ma che agisce con logiche da governance tecnocratica: verticalità assoluta, nessun dibattito, nessun dissenso ammesso. Il modello è quello delle città laboratorio, dove ogni metro quadrato deve servire a qualcosa – e la natura, evidentemente, non serve più.

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Өчүрүлгөн25.04.202518:38
25.04.202511:05
Von der Leyen, il colpo di mano fallito: stop al mega-riarmo europeo da 800 miliardi

Ursula von der Leyen ci ha provato. Ancora una volta. Stavolta con un piano di riarmo da 800 miliardi, ribattezzato SAFE (nome da manuale del marketing orwelliano), che avrebbe dovuto inondare l’industria bellica europea di finanziamenti, prestiti e obbligazioni comunitarie. Ma ha scelto la via più scivolosa: tentare l’approvazione usando il famigerato articolo 122 dei Trattati Ue, pensato per gestire crisi energetiche e catastrofi, non per trasformare l’Europa in un arsenale.

Il trucco? Saltare il Parlamento europeo, affidando tutto al Consiglio. Nessun dibattito, nessuna rappresentanza popolare, nessun controllo. Un blitz burocratico in piena regola. Ma il servizio giuridico dell’Europarlamento ha messo i bastoni tra le ruote: l’uso dell’articolo 122 è giuridicamente inappropriato. E la Commissione Affari Legali ha confermato: procedura bocciata.

Un’umiliazione per la presidente della Commissione, abituata a decidere da sola e a servire il piatto già pronto ai governi amici — Italia compresa, con Giorgia Meloni tra le prime ad applaudire. Ma stavolta il castello è crollato.

A rincarare la dose ci ha pensato Giuseppe Conte, che, per convenienza politica, ha ricordato la mobilitazione del 5 aprile a Roma: centomila persone in piazza contro la militarizzazione dell’Europa. “Lo abbiamo denunciato subito anche a Strasburgo — ha detto Conte — e oggi la verità è chiara: chi ha appoggiato questo piano lo ha fatto scavalcando il Parlamento e calpestando la democrazia”.

Il messaggio è chiaro: non basta un pretesto giuridico per coprire un progetto di riarmo senza mandato popolare. E non basta cambiare la base legale per riproporlo con un’altra veste. Il problema è nel cuore stesso della proposta: un’Europa che si indebita per armarsi, mentre taglia sul sociale e sulla sanità.

Von der Leyen pensava di manovrare in silenzio. Ma stavolta il Parlamento ha parlato. E la sua voce, per una volta, ha spezzato la penna del comando.

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09.05.202508:04
Fuori dall’OMS!”: la Svizzera si ribella. E l’Italia?

L’Unione Democratica Federale (UDF) ha depositato una petizione con oltre 34.000 firme per chiedere il ritiro immediato della Svizzera dall’OMS e la cessazione di ogni finanziamento. L’accusa è chiara: l’Organizzazione Mondiale della Sanità si occupa sempre meno di salute e sempre più di potere, controllo e centralizzazione, guidata da un'élite di funzionari non eletti. Il bersaglio principale è il patto pandemico globale e i recenti emendamenti al Regolamento Sanitario Internazionale (RSI), approvati nel 2024.

Secondo l’UDF, la cooperazione sanitaria internazionale è importante, ma non con un’OMS “invasiva” che punta a mettere gli Stati sotto tutela. Nessun beneficio per la Svizzera, anzi: si chiede di seguire l’esempio dell’amministrazione Trump e rompere con l’OMS al più presto.

Domanda provocatoria per Roma: mentre a Berna si discute di libertà sanitaria, in Italia chi ha il coraggio di porre la questione?

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14.05.202517:59
Ursula & Pfizer: la Corte smaschera il flirt vaccinale. E i moralisti si risvegliano… da complici

Game over per Ursula von der Leyen. Il Tribunale dell’Unione Europea ha finalmente scoperchiato il vaso di Pandora: i messaggi scambiati tra la presidente della Commissione e il CEO di Pfizer, Albert Bourla, non possono restare nascosti. Il New York Times li aveva chiesti anni fa. La Commissione, nel suo solito stile evasivo, aveva risposto con un capolavoro di burocratese: “Non li abbiamo”. Ma i giudici hanno detto: “Non ci prendete in giro”.

Si parla di SMS inviati tra gennaio 2021 e maggio 2022, in piena trattativa da miliardi per i vaccini anti-Covid. Contratti siglati nel segreto più totale, blindati da clausole censurate, costati un patrimonio agli Stati membri. E ora quei messaggi, che potrebbero raccontare qualcosa di molto scomodo, vengono negati, forse eliminati. Ma secondo il regolamento europeo, i documenti devono essere accessibili al pubblico. Bruxelles, come al solito, ha fatto finta di nulla. E ha perso.

Il Tribunale ha demolito le scuse dell’esecutivo: “imprecise e mutevoli”. Traduzione? Balle burocratiche, nel tentativo di guadagnare tempo e insabbiare. Neppure un'ammissione chiara sull’esistenza o distruzione dei messaggi. Solo silenzi imbarazzati e spallucce istituzionali.

Ora arriva la parte più grottesca: la Commissione “prende atto” della sentenza e giura “massima trasparenza”. Dopo due anni di muro di gomma e segretezza totale, la promessa di sincerità suona come uno sketch mal riuscito.

E come reagisce la politica? Con indignazione, ovviamente. Ma a comando. Dario Tamburrano (M5S) accusa: “È ormai palese che Ursula ha mentito. Cosa voleva nascondere? Pfizer si è arricchita con contratti capestro che hanno dissanguato i cittadini”.

Peccato però che il Movimento 5 Stelle sia stato il primo a calpestare diritti e libertà, proprio durante il governo Conte. È stato Giuseppe Conte, premier M5S, a introdurre il primo stato di emergenza, la campagna vaccinale coatta e le misure più totalitarie della storia repubblicana, gettando le basi per il delirio firmato von der Leyen.

Anche i Verdi europei fanno la voce grossa: “Le decisioni non possono essere prese dietro porte chiuse, altrimenti gli interessi aziendali prevalgono su quelli pubblici”. Parole sante. Ma nel 2021 sostenevano senza batter ciglio il Green Pass europeo, spingendo proprio per l’introduzione del Certificato COVID Digitale UE. Altro che trasparenza: complicità travestita da responsabilità.

Il flirt tra Pfizer e Commissione è ora sotto i riflettori. Ma a finire nudo è l’intero cast europeo, fatto di tecnocrati, partiti-mascherina e moralisti a intermittenza. Il danno – politico, economico e democratico – è già stato fatto. Ma il teatrino continua.

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12.05.202508:05
Il Medioevo che verrà
di Giorgio Agamben – 10 maggio 2025

«Il crollo politico, economico e intellettuale dei paesi europei è già oggi prevedibile, anche se sopravvivranno ancora per un po’», scrive Giorgio Agamben. Non si tratta più di uno scenario fantascientifico: ciò che ci attende non è tanto un'apocalisse improvvisa, quanto una lenta regressione verso un nuovo Medioevo.

Un passaggio sorprendentemente attuale si trova nel libro L’arte alla fine del mondo antico di Sergio Bettini (1948), che descrive la dissoluzione dell’antichità come un processo nel quale la burocrazia si isola, le masse si ritirano, e nuovi poteri emergono attorno a nuclei sociali autonomi. Una descrizione che calza perfettamente con ciò che stiamo vivendo: la concentrazione del potere amministrativo nelle mani di tecnocrazie impermeabili alla volontà popolare, la crescente astensione civica, la formazione di gruppi economici autosufficienti — i nuovi latifondi corporativi — e l'integrazione di intere categorie professionali negli ingranaggi dello Stato, come già accaduto con la classe medica durante la pandemia.

A distanza di vent’anni, nel 1971, Roberto Vacca pubblicava Il medioevo prossimo venturo, anticipando il collasso funzionale delle società avanzate: l’impossibilità di mantenere sistemi complessi come trasporti, reti idriche, trattamento dei rifiuti ed elaborazione delle informazioni. Una profezia che oggi assume contorni drammaticamente concreti, amplificata da un’alluvione di annunci climatici e collassi sistemici. Vacca parlava di “letteratura rovinografica”. Oggi potremmo parlare di industria dell’ansia sostenibile.

Ma ciò che Agamben sottolinea non è tanto la spettacolarizzazione del disastro, quanto la possibilità che questo collasso non si manifesti come una catastrofe improvvisa, bensì come una mutazione lenta, strutturale, e silenziosa. Proprio come accadde nella transizione dall’Impero romano al Medioevo. E allora si pone la vera domanda: quale sarà il nuovo equivalente dei monasteri? Dove si ritireranno — o da dove ripartiranno — quei pochi che sapranno inventare nuove forme di vita, di comunità, di pensiero?

Il futuro — suggerisce Agamben — appartiene a chi saprà cogliere il senso nelle rovine. L'anonimato politico delle masse potrebbe non essere solo rassegnazione, ma la premessa per una reinvenzione sotterranea, fuori dai radar dello Stato, dell’economia globale e delle agenzie di sorveglianza digitale.

Giorgio Agamben, classe 1942, professore di estetica e autore di opere tradotte in tutto il mondo, è stato una delle pochissime voci filosofiche a prendere posizione pubblicamente contro il regime pandemico nel febbraio 2020 — motivo per cui i suoi scritti furono sistematicamente oscurati nel dibattito mediatico. Questo testo è tratto dal suo blog, dove è apparso a metà gennaio con il titolo Il medioevo prossimo venturo.

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Fonte: Quodlibet
Giorgio Agamben, Il medioevo prossimo venturo - Quodlibet
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11.05.202518:05
Dove comanda il PD regna il caos: le città più insicure d’Italia sono le loro

Roma, Milano, Torino, Napoli: le quattro città più pericolose d’Italia secondo il 1° Rapporto Univ–Censis sono tutte amministrate dalla sinistra. Un primato da Guinness dell’incompetenza, che certifica ciò che molti cittadini vivono sulla propria pelle: dove governa il PD, la sicurezza è un miraggio.

I numeri non lasciano scampo:

Roma guida la classifica con 271.000 reati nel 2024 (+23,2% in 5 anni).

Milano registra 69,7 reati ogni 1.000 abitanti — peggior dato in assoluto.

Seguono Napoli (132.809) e Torino (128.919), entrambe con numeri allarmanti.Eppure nessuna di queste città è tra le più popolose d’Europa: la densità criminale è sproporzionata, specie se si confrontano con realtà internazionali ben più grandi ma meglio gestite.

A gonfiare il caos, c’è il boom incontrollato dell’immigrazione illegale:

A Bologna, il 60% dei rapinatori è straniero.

A Parma, il bollettino quotidiano parla di furti e aggressioni commessi da baby gang, spesso composte da minori stranieri non accompagnati.

A Milano e Roma, interi quartieri sono ormai fuori controllo: tra occupazioni, microcriminalità e traffico di droga, la situazione è una polveriera etnica e sociale.

E mentre i cittadini si barricano in casa, la sinistra gioca a fare l’accogliente, si oppone a ogni inasprimento delle pene, e chiama “razzismo” ogni tentativo di rimettere ordine.

Firenze? Da Nardella a Funaro, cambia il nome ma non la sostanza:
retorica rassicurante, zero risultati. Torino? Il sindaco Lo Russo nega tutto e dà la colpa agli altri, mentre il centro storico si svuota e i cittadini scappano.

La domanda è semplice: è incapacità o progetto politico?
Perché a furia di predicare “inclusione” senza regole, la sinistra ha trasformato intere città in laboratori di anarchia urbana.
Ma non è solo caos: è una strategia deliberata per lucrare su emergenze che loro stessi hanno creato. Emergenze che poi usano per giustificare più fondi, più poteri, più sorveglianza. In poche parole: prima spalancano le porte al disordine, poi ci vendono il controllo come salvezza.
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14.05.202514:59
Big Pharma: Curriculum Criminale da 62 Miliardi e Promozione in FDA

Altro che “salute pubblica”: l’élite farmaceutica globale ha un passato da codice penale che farebbe impallidire certi cartelli. Secondo Public Citizen, tra il 1991 e il 2021 Big Pharma ha collezionato almeno 62 miliardi di dollari di sanzioni per pratiche illegali. E come premio? Un posto alla FDA.

GlaxoSmithKline, nel 2012, ha battuto tutti con una multa record di 3 miliardi per aver promosso farmaci in modo illecito e occultato dati. GSK è recidiva: 27 condanne per un totale di 9,7 miliardi.

Pfizer, la beniamina pandemica, ha fatto la sua parte:

2,3 miliardi (2009) per uso off-label e tangenti ai medici.

430 milioni (2004) per truffa sull’antiepilettico Neurontin.

60 milioni (2012) per corruzione in Europa e Asia.

59,7 milioni (2023) per una frode a Medicare.Insomma, un curriculum perfetto per dettare “linee guida”.

Novartis?
Specializzata in tangenti accademiche: 214 milioni di euro per aver comprato prescrizioni in Grecia e gonfiato i prezzi. In America ha chiuso con 345 milioni.

Johnson & Johnson, non paga solo shampoo:

572 milioni (2019) per disinformazione sugli oppioidi.

5 miliardi (2021) in risarcimenti dentro un maxi-accordo da 26 miliardi.

Purdue Pharma, madre dell’OxyContin e della crisi oppioidi, ha dichiarato bancarotta con 8,3 miliardi di “mea culpa”: una confessione a saldo zero.

Insys Therapeutics? Un cartello in camice bianco. Il CEO John Kapoor condannato per aver creato pazienti tossicodipendenti a colpi di bustarelle e fentanyl.

E infine Martin Shkreli, il “Pharma Bro”: il Robin Hood al contrario. Ha pompato il Daraprim da 13 a 750 dollari a pillola e si è beccato un ban a vita dal settore.

Conclusione? Un esercito di multinazionali colpevoli di omicidi legali, truffe sistemiche e manipolazione sanitaria, premiato con accessi illimitati ai centri decisionali globali. Chiamiamolo pure crimine autorizzato, con bollino blu OMS.

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10.05.202505:05
Mentre l’Occidente recita la parte del buono, il mondo cambia canale

A Kiev, commemorare la vittoria sul nazifascismo è diventato un crimine. Una vecchina viene fermata per aver deposto fiori al Parco della Gloria con un cappello dell’Armata Rossa. Un'altra donna è colpevole di aver osato suonare “Giorno della Vittoria”. Risultato: identificate, molestate, silenziate. Il revisionismo ora si fa con la polizia, e l’unico ricordo tollerato è quello conforme alla narrativa NATO.

Nel frattempo, Zelensky — circondato da leader europei a Leopoli, tutti lì per sventolare i soliti assegni — chiede a gran voce l’istituzione di un tribunale internazionale per i crimini di aggressione russa. Gli rispondono con 1,9 miliardi di euro, un bel bottino destinato perlopiù a munizioni, armi e difesa aerea. Altro che ricostruzione: si continua a investire nella guerra, con la benedizione di Bruxelles.

Intanto, il fronte vero si scalda: un drone ucraino colpisce l'amministrazione regionale di Belgorod, Mosca denuncia oltre 5.000 violazioni del cessate il fuoco. E da Washington arriva un “avvertimento” per un possibile attacco massiccio su Kiev. Ma tranquilli, tutto è sotto controllo: la guerra va avanti, purché con linguaggio inclusivo e fondi europei.

Nel frattempo, a Mosca va in scena la parata per l’80° della vittoria. Ci vanno 27 leader mondiali: da Xi Jinping a Lula, passando per Vietnam, Serbia, Venezuela, Armenia. L’Occidente? Invitato a casa sua, ma nessuno si presenta. La stampa americana commenta con amarezza: “Putin ha vinto. L’isolamento della Russia è fallito”. Fine dell’illusione.

E non finisce qui. Il premier slovacco Robert Fico ha detto in faccia a Putin che le sanzioni UE “non funzionano e danneggiano l’Europa”. Applausi e strette di mano.

Dall’altra parte dell’oceano, gli Stati Uniti di Trump riscrivono anche loro le priorità: il Pentagono si appresta a licenziare i militari transgender e ha dato 30 giorni agli “indecisi” per scegliere “da che parte stanno”. Ma non è tutto: l’amministrazione si prepara ad accogliere afrikaner bianchi dal Sudafrica come “rifugiati”, perché discriminati dalla nuova legge di esproprio dei terreni. Curioso: chi possiede il 72% delle terre è ora presentato come vittima.

Nel frattempo, nessun abbassamento dei dazi contro la Cina, e nessuna apertura agli accordi bilaterali USA-UE: lo ha detto il cancelliere Merz, che nel caos globale riesce solo a ribadire ciò che conta davvero per Berlino: “La Germania non accetterà mai un debito comune europeo”, e per fortuna, aggiungiamo noi, altrimenti la follia redistributiva dell’UE verrebbe scolpita nel bilancio per sempre.

Peccato che mentre Merz si vanta del suo rigore contabile, la Germania affonda: a febbraio +15,9% di fallimenti aziendali, 9 miliardi di euro di crediti evaporati. Le PMI chiudono, il settore logistico è in ginocchio, ma l’unica emergenza che preoccupa il governo tedesco è quella ai confini. I problemi veri? Meglio ignorarli.

E per non farsi mancare nulla, la Germania ha ritirato in silenzio il comunicato in cui classificava l’AfD come estrema destra. Forse per non disturbare l’elettorato in crescita, forse perché alla fine chi grida più forte ha sempre ragione.

Insomma: la memoria è vietata, la guerra finanziata, il gas trattato sottobanco, i fallimenti ignorati, e il debito comune – per fortuna – ancora respinto. L’Occidente è diventato uno sketch distopico in cui tutti recitano, ma nessuno ascolta.

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15.05.202515:06
Singapore, Stato Siringa: vaccino o prigione (e senza diritto di lamentarsi)

Nel piccolo laboratorio autoritario chiamato Singapore, il governo ha deciso che chi rifiuta l’iniezione obbligatoria diventa automaticamente un criminale. Grazie alle modifiche apportate nel 2023 e 2024 all’Infectious Diseases Act, chi non si conforma alla profilassi ordinata potrà finire in carcere per sei mesi, con tanto di multa da 10.000 dollari – oppure entrambe le sanzioni, così impari a dubitare del sacro siero.

Il meccanismo è semplice: basta un “sospetto focolaio” e il Direttore Generale della Sanità può ordinare la vaccinazione di “qualsiasi persona o categoria di persone”. Nessuna epidemia in corso? Poco importa, basta che sembri imminente.

E se non ti fai marchiare dalla siringa? Multa, prigione, o entrambe. Alla seconda infrazione, la pena raddoppia. Un incentivo gentile, con il bastone e senza la carota.

Ma c’è di meglio: la Sezione 67 garantisce totale immunità legale alle autorità. Se ti danneggiano, muori o sviluppi effetti collaterali devastanti: non puoi fare causa. Lo Stato ti ordina cosa fare col tuo corpo, e in cambio ti toglie ogni diritto di difenderti. Un affare da manuale distopico.

A denunciare l’assurdità del provvedimento è stato Derrick Sim del People’s Power Party, che ha definito pubblicamente questa legge un abuso gravissimo. Ma nell’isola ipercontrollata, chi osa alzare la voce viene isolato e screditato.

Durante il regime sanitario del COVID-19, Singapore ha già imposto la vaccinazione a lavoratori, religiosi e fedeli. Anche andare a Messa richiedeva il lasciapassare immunitario. I danni da vaccino? Ignorati. Il dibattito pubblico? Censurato.

Ora la dittatura sanitaria si è fatta codice penale. La morale è chiara: ti vaccini, taci e ringrazi. Altrimenti ti chiudono dentro. E buttano via la chiave… sanitaria.

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12.05.202505:04
La Farsa PREP‑tende: Europa sotto commissariamento militare fino al 2029?

Le e-mail trapelate dall’EMA nel 2020 raccontano una storia che non è mai stata chiusa: quella di un’Europa trasformata in laboratorio militare e zona franca normativa, grazie a una versione fittizia del PREP Act americano. E mentre gli attori in scena fingevano di “autorizzare” farmaci sperimentali, qualcuno – molto sopra le loro teste – spianava la strada per una sospensione del diritto a tempo indefinito.

Ursula von der Leyen ha fatto firmare ai 27 Stati membri contratti predatori, rinunciando a ogni tutela nazionale e promettendo la finta garanzia del CMA (autorizzazione condizionata all’immissione in commercio). In realtà, ha solo impedito agli Stati di usare l’articolo 5(2), l’unico strumento che avrebbe permesso loro di dire “no”. È stato un inganno istituzionale: le regole non erano fatte per essere rispettate, ma per essere svuotate.

Nel frattempo, Pfizer stravolgeva il processo produttivo, EMA veniva bullizzata via SMS, e i vaccini venivano distribuiti dalla Bundeswehr – non da enti sanitari – ma da un centro logistico militare tedesco. Altro che salute pubblica: questa era e resta un’operazione militare camuffata.

E qui arriva il punto che ritorna, come un mantra inquietante: 2029. L’autrice ricorda che lo stato d’emergenza negli Stati Uniti è stato prorogato fino almeno al 31 dicembre 2029. Finché è in vigore, nessuna legge farmaceutica normale può essere applicata. Niente obblighi, niente trasparenza, niente responsabilità. La macchina può girare a vuoto finché non si decide di spegnerla. Ma chi ha il dito sull’interruttore?

Perché proprio il 2029? Perché questa data ricorre sempre nei documenti, nelle dichiarazioni pubbliche, nei piani a medio termine? È davvero una “fine stimata” o solo una tappa intermedia di un programma già scritto? Ci stanno dicendo che ci aspettano altri quattro anni di stato d’eccezione? Cosa verrà giustificato in nome dell’“emergenza” da qui ad allora?

La verità è che il PREP Act sintetico europeo non è mai finito. È solo diventato invisibile. Come il virus, come la giustizia. L’Europa è entrata in una zona grigia dove il diritto è sospeso e le decisioni vengono prese altrove, forse a Bruxelles, forse a Langley, forse nelle chat cifrate tra un commissario europeo e un CEO con l’immunità di guerra.

E mentre si parla di “approvazioni” e “sicurezza”, ci si dimentica il punto centrale: non c’è crimine se non c’è legge. E non c’è legge se lo stato d’emergenza è permanente.

Quindi la domanda è inevitabile: che cos’è il 2029? La fine? Un inizio? O solo un checkpoint sulla strada verso qualcosa di molto più inquietante?

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09.05.202515:05
ReArm Europe: la NATO sbraita e l’UE si mette l’elmetto

Mark Rutte, segretario della NATO, ha appena lanciato la proposta che dice tutto: il 5% del PIL degli Stati membri dovrà essere sacrificato sull’altare della macchina bellica. Esattamente quella soglia che Draghi aveva già messo nero su bianco nel suo rapporto del 2024. Di questi, il 3,5% servirà per le solite reliquie di distruzione — missili, tank, eserciti — mentre un “modesto” 1,5% sarà destinato alle guerre ibride: cyberspazio, propaganda, controllo mentale e “resilienza sociale”. Non solo bombe, insomma, ma anche lavaggio del cervello. Gli USA? Ovviamente applaudono. L’Europa che si autodistrugge e si trasforma in una fortezza militarizzata.

E mentre si alzano i tamburi, Guido Crosetto, travestito da profeta apocalittico alla AeroSpace Power Conference, ci annuncia che “Viviamo in un momento difficile, sempre più difficile, drammatico, il più difficile degli ultimi 70 anni” dove “la forza conterà più delle conquiste sociali e dei valori” e “questo cambia tutto”. Tradotto: scordatevi libertà, diritti, sovranità. L’unico metro sarà il potere di annientare. Chi ha più armi, più soldi e più controllo, vince. E poiché gli eserciti tradizionali non bastano più, bisogna “rivoluzionarli” per inseguire ossessivamente “l’evoluzione tecnologica”. Spoiler: non per difendere i cittadini, ma per tenerli sotto pressione.

Il tutto confezionato sotto il nome ormai ufficiale di ReArm Europe. E attenzione: non è solo Bruxelles a mettere l’elmetto. Il mondo intero si sta blindando. La terza guerra mondiale si combatte a rate, e ciascuno sta lucidando il proprio arsenale. Solo che in Europa, lo fanno raccontandoci che è per la “pace”.

E i soldi? Ma da chi vuoi che li prendano. Da noi, ovvio. Con nuove tasse, prelievi forzosi, patrimoniali, saccheggi legalizzati dei risparmi privati. Il messaggio è chiaro: pagate il riarmo, inchinatevi al tamburo.

La verità, ormai lampante, è questa: ci stanno trascinando in una guerra sistemica mascherata da stabilità, un conflitto permanente costruito negli anni e venduto come necessità. La nuova normalità non è la pace, ma l’addestramento alla crisi, l’obbedienza alla guerra, la sottomissione programmata.

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