Irridono i morti, sfregiano il ricordo, diffondono odio: questo è il modus operandi di chi - negli ultimi giorni - ha auspicato il ripetersi della strage di Acca Larentia, ha deturpato il murales di Sergio Ramelli ed ha brindato in piazza - a Parigi - per la morte di un uomo di 96 anni. Lo spartiacque che ci separa dal cosiddetto “antifascismo militante” non è soltanto un fatto politico: esso, piuttosto, è un limite antropologico che riflette diverse gerarchie dello spirito.
Non è più una questione da porre nei termini degli “steccati” o della “pacificazione nazionale”, poiché questi soggetti non appartengono ad alcuna comunità organica, ad alcuna tradizione manifesta, ad alcun rango che sia degno di esser tale: sono intrappolati nella gabbia di un rancore perenne e volgare, che attesta e moltiplica una debolezza pericolosa. Per loro - e per la loro barbarie etica - proviamo soltanto una sincera compassione.
Ogni volta che smorzate il vostro linguaggio o addolcite le vostre posizioni per non aizzare nuove polemiche, sappiate che state cercando di compiacere gente che non può conoscere il rispetto. Ne vale davvero la pena?