Мир сегодня с "Юрий Подоляка"
Мир сегодня с "Юрий Подоляка"
Труха⚡️Україна
Труха⚡️Україна
Николаевский Ванёк
Николаевский Ванёк
Мир сегодня с "Юрий Подоляка"
Мир сегодня с "Юрий Подоляка"
Труха⚡️Україна
Труха⚡️Україна
Николаевский Ванёк
Николаевский Ванёк
Carmen Tortora avatar
Carmen Tortora
Carmen Tortora avatar
Carmen Tortora
20.04.202518:59
FREEDOM CITIES: LA DISTOPIA LIBERTARIA IN VERSIONE PREMIUM
Quando la democrazia viene rottamata e la sovranità va in outsourcing a Silicon Valley

Nel marzo 2023 Donald Trump rispolvera le “Freedom Cities” con l’entusiasmo da televendita futurista: un mondo nuovo, supertecnologico, dove finalmente tutto funziona perché gestito da privati. Il sogno americano 2.0, aggiornato alla versione libertaria: niente più Stato, solo servizi. Paghi, accetti le condizioni, entri. Non paghi, ti sloggano. La verità? Non è un sogno. È un incubo in abbonamento mensile.

Dietro il packaging brillante c’è la solita vecchia truffa del potere privato mascherato da progresso. A spingere il carro ci sono i profeti del tecno-feudalesimo: Peter Thiel, Balaji Srinivasan, Curtis Yarvin. Gente che considera la democrazia un errore storico da archiviare, e la sovranità pubblica un bug da correggere. Nella loro visione, lo Stato è un’app obsoleta da disinstallare. Al suo posto? Una città-smart dove non sei un cittadino, ma un utente con password. Nessun diritto garantito: solo licenze d’uso revocabili.

Tutto è privatizzato: scuole, ospedali, sicurezza, giustizia, perfino la moneta. Il welfare? Rimosso per "incompatibilità con il nuovo sistema". Se ti ammali, paghi. Se non paghi, muori. La giustizia è un arbitrato privato. Le regole non le scrive il parlamento, ma il consiglio di amministrazione. Se protesti, il sistema ti chiude la sessione. Service denied.

E non finisce qui. I guru della Silicon Valley non si accontentano delle ZES tropicali: puntano alla Groenlandia. Sì, proprio quell’enorme blocco di ghiaccio strategico e minerario. Secondo un’inchiesta Reuters del 10 aprile, mentre l’amministrazione Trump giocava la carta dell’acquisizione—anche militare—dell’isola dalla Danimarca, alcuni investitori tecnologici promuovevano la Groenlandia come futura “città della libertà”. Un’utopia libertaria con regolazione aziendale al minimo sindacale: praticamente il paradiso fiscale su ghiaccio.

A guidare i contatti diplomatici c’era Ken Howery, co-fondatore insieme a Thiel di un fondo di venture capital e amico di Elon Musk. È lui che doveva trattare con i danesi per trasformare la Groenlandia nel primo prototipo planetario di governance aziendale totale. Nessuno lo dice esplicitamente, ma il piano è semplice: prendere un territorio strategico, scollegarlo dalla sovranità pubblica e trasformarlo in un’area di sperimentazione privata dove tutto è permesso, purché tu abbia il portafoglio giusto.

Altro che progresso. Le Freedom Cities sono la Disneyland del neoliberismo terminale, l’incarnazione della “libertà” come privilegio per pochi e condanna per tutti gli altri. Non sono il futuro. Sono il presente che si rivela per quello che è: un’operazione chirurgica per estirpare ogni residuo di sovranità popolare e rimpiazzarlo con piattaforme proprietarie.

Ti danno la “libertà” di scegliere il tuo piano tariffario. Basic, Silver o Platinum. Ma se rifiuti il contratto, non è che voti per cambiare le cose. Ti disconnettono e via.

Altro che città del futuro: sono gabbie d’oro per cavie del capitalismo. E il peggio? Le stiamo accogliendo a braccia aperte, confondendole per libertà.

Per restare sempre in contatto senza censure, seguite il mio canale Telegram: https://t.me/carmen_tortora1
17.04.202513:05
Il Patto Pandemico: il Cavallo di Troia farmaceutico si traveste da accordo volontario

È ufficiale: i negoziatori del Pharmaceutical Hospital Emergency Industrial Complex (PHEIC) hanno messo nero su bianco il testo del nuovo “Accordo Pandemico” dell’OMS. Non è ancora legge, ma sarà discusso alla prossima Assemblea Mondiale della Sanità dal 17 al 26 maggio 2025. E, naturalmente, ogni nazione sarà “libera” di firmarlo. Libera come un pollo nel pollaio di Amadori.

Tra le perle del documento:

I “prodotti sanitari pandemici” includono TUTTO ciò che Big Pharma ha da offrire: dai test PCR ai ventilatori, fino a terapie geniche e “altre tecnologie sanitarie” non meglio specificate. La porta è spalancata alla solita pioggia di brevetti e profitti.

Si istituisce un Coordinating Financial Mechanism, una specie di mega-cassaforte globale per sostenere le spese del nuovo ordine sanitario mondiale. Ovviamente “inclusiva, trasparente e sostenibile” – traduzione: governi col cappello in mano, mentre le multinazionali raccolgono dividendi.

I finanziamenti saranno coordinati dalla Conference of the Parties (COP – non quella sul clima, ma una sorella gemella). Sarà questo organo a decidere cosa conta come “emergenza” e dove piovono i soldi. Chi controlla la COP? Indovinate.

Il colpo di scena? L’articolo 24 ribadisce che l’OMS non potrà imporre lockdown, obblighi vaccinali o chiusure. Ma tranquilli, ci penseranno i nostri tiranni locali, con il plauso del nuovo trattato e una montagna di soldi freschi in arrivo.

Insomma, non è un patto per la salute. È un contratto perenne di subordinazione sanitaria, finanziaria e industriale. Ma siccome non è “obbligatorio”, potete continuare a dormire tranquilli. Almeno finché non arriva la prossima “emergenza”.

Per restare sempre in contatto senza censure, seguite il mio canale Telegram: https://t.me/carmen_tortora1
Dal cuore della terra sale un respiro incandescente. Il Fagradalsfjall erutta. L’Islanda si trasforma in un altare cosmico. La lava scorre come sangue degli abissi.

Il vulcano si apre come un sigillo. Il portale tra visibile e invisibile si spalanca. Il fuoco afferma la sua forza. La materia si piega. La trasformazione si compie.

Il fuoco consacra. Illumina. Purifica. Brucia l’ignoranza. Rivela. Trasforma l’uomo. Accende lo spirito. Risveglia la coscienza.

Ogni colata incandescente mostra l’Uomo che si lascia ardere per rinascere. Il fuoco custodisce la soglia. L’anima attraversa. La terra parla. L’anima ascolta.

Buongiorno e buon giovedì a tutti!

Per restare sempre in contatto senza censure, seguite il mio canale Telegram: https://t.me/carmen_tortora1
16.04.202508:04
Francia in fiamme: rivolte coordinate nelle carceri, e se fosse solo l'inizio?

Nove penitenziari attaccati nella stessa notte, colpi d’arma automatica contro il carcere di Tolone, auto del personale date alle fiamme, muri imbrattati con slogan organizzati. Altro che semplice rivolta: quello che si è visto in Francia somiglia più a un’operazione militare su piccola scala. E, come da copione, il ministro Darmanin accorre sul posto con l’aria di chi ha tutto sotto controllo, mentre tutto gli esplode in faccia.

Le autorità parlano di risposta criminale alle misure contro il narcotraffico. Forse. Ma c’è un dettaglio che stona: il livello di coordinazione, la simultaneità, la scelta di bersagli precisi, il simbolismo dei messaggi lasciati. Troppo ordinato per essere solo un'esplosione di rabbia. Troppo sincronizzato per non far pensare a un test.

Sì, un test. Perché viene il sospetto – e non da oggi – che qualcuno stia misurando la tenuta del sistema penitenziario francese, il tempo di reazione delle forze dell’ordine, la capacità dello Stato di contenere un attacco interno. E se queste carceri fossero solo il laboratorio? Se si stesse sperimentando un metodo per generare caos e insicurezza su scala urbana?

Non sarebbe la prima volta. Far vacillare la sicurezza interna è l’anticamera perfetta per lanciare nuove misure eccezionali, vendere più sorveglianza, militarizzare la società, rafforzare l’apparato. Ma per farlo serve prima la crisi, la paura, il nemico visibile. Che oggi si chiama narcotraffico, domani sarà il “terrorismo interno”, dopodomani chiunque non si allinei.

Questa notte francese non è solo un allarme. È un segnale. E chi lo ignora o lo banalizza sta solo facendo il gioco di chi sa bene dove vuole arrivare.

Per restare sempre in contatto senza censure, seguite il mio canale Telegram: https://t.me/carmen_tortora1
15.04.202518:05
Il Corano europeo? L’UE spende 10 milioni per riscrivere la storia a modo suo

Quasi 10 milioni di euro. Non per scuole, ospedali o famiglie in crisi, ma per finanziare un progetto dal nome pomposo: “Il Corano europeo”. Un’iniziativa accademica che, con un pizzico di revisionismo storico e un bel po’ di ideologia, vuole raccontarci che il Corano avrebbe plasmato l’identità europea nel Medioevo e oltre.

A dare la notizia è Le Journal du Dimanche, che rivela come dal 2019 il progetto abbia incassato ben 9.842.534 euro da parte del Consiglio Europeo della Ricerca, quell’organismo partorito dalla Commissione UE per distribuire soldi pubblici secondo criteri che definire “opachi” è un eufemismo.

Tra le università coinvolte spicca anche L’Orientale di Napoli, che insieme ad altri atenei europei ha avuto l’onore di partecipare a una delle iniziative più finanziate tra le 17.000 sovvenzionate. Il tutto sotto il simpatico acronimo EUQU, che suona come un nome di startup woke, con tanto di sito web e libro da comprare online. Perché ormai anche la riscrittura culturale è un prodotto da mettere nel carrello.

Insomma: mentre in Europa si fatica a pagare l’affitto, l’UE impiega quasi 10 milioni per riscrivere la storia religiosa del continente, in modo più inclusivo, naturalmente. E se non siete d’accordo, siete sicuramente poco europei.

Per restare sempre in contatto senza censure, seguite il mio canale Telegram: https://t.me/carmen_tortora1
15.04.202504:59
2029: l’anno in cui ci dichiareranno la guerra (e fingeranno che sia una sorpresa)

Si muovono come orologi svizzeri. O meglio: come tecnocrati con una tabella di marcia sotto braccio. La guerra si avvicina, ma non esploderà: verrà implementata. Programmata. Spiegata. E, soprattutto, venduta. Il marketing è già cominciato. Siamo dentro una sceneggiatura militare a puntate, e il finale di stagione ha già un numero: 2029.

In Germania ci pensano i media “regionali” – ma con portata nazionale – a iniziare il lavaggio. Il 4 aprile la WAZ pubblica un articolo sulla ventitreenne Nina, riservista della Bundeswehr, che spiega perché è pronta a morire per la Germania. Non a combattere per difendere i confini. A morire. In pieno spirito TikTok-generation, si fa storytelling della morte per la patria. Poi, il 9 aprile, arriva il reel su Facebook, per chi preferisce le immagini ai pensieri. Tutto confezionato con cura: estetica giovane, patriottismo prêt-à-porter e un vago odore di DDR.

Ma non è abbastanza. Il 12 aprile arriva l'artiglieria pesante. Il generale Carsten Breuer, capo supremo della Bundeswehr, rilascia un’intervista a Die Welt e dice tutto chiaro e tondo: la Russia ci attaccherà nel 2029. Non “potrebbe”. Lo farà. E noi dobbiamo essere pronti. Entro quella data. Ecco la deadline. Ecco l’allarme. Ecco il pretesto per rifornire i magazzini bellici e spendere miliardi. Se non li troviamo in Germania, li compriamo dagli Stati Uniti. Perché non si tratta più di “difesa”: è una corsa contro il tempo, dice lui. Come se ci fosse un timer già acceso da qualche parte.

Nel frattempo, in Olanda, si arruolano le maestre. Johanneke, 37 anni, insegnante elementare, ha deciso che fare ginnastica coi bambini non bastava più. Voleva “più avventura”. E quindi è diventata riservista dell’esercito. Oggi guida mezzi militari, fa sicurezza ai vertici NATO, e quando torna in classe i bambini le chiedono che pistola usa. Alcuni si preoccupano, altri sono curiosi. E lei è felice di parlarne. Perché è bello, dice, avere queste conversazioni. La guerra entra in classe. E i bambini si abituano. La pedagogia bellica è già realtà.

In Francia, invece, la guerra passa dallo studio dello psicologo. CNews intervista uno specialista che dice che il 45% dei suoi pazienti ha paura della Russia. Non perché l’abbiano studiata. Perché gliel’hanno raccontata. Dopo il discorso di Macron sull’economia di guerra, molti si sono agitati, dice il dottore. Gente già ansiosa che ora ha paura della guerra. Che non può controllare. Ma che deve subire. Ottimo. Il terreno è pronto anche lì. Dove non arriva la propaganda, arriva il panico indotto.

E su tutto, come un filo rosso che cuce l’intera messa in scena, ritorna lui: il 2029. La data feticcio. La scadenza simbolica. Ma anche operativa. Perché nei documenti ufficiali dell’Unione Europea, della NATO, di Europol e perfino del World Economic Forum, il 2029 è indicato come anno di transizione definitiva. Verso cosa? Verso un nuovo ordine. Digitale, militarizzato, resiliente e centralizzato. Quello che oggi chiamano “sicurezza”, e che domani sarà solo controllo.

I generali lo dicono. I giornali lo amplificano. Gli psicologi lo assorbono. Le maestre lo insegnano. Ma nessuno lo decide. È “inevitabile”. È già scritto. È una profezia che si autoavvera, a colpi di budget, ansia e pallottole.

Il 2029 non sarà l’inizio di una guerra. Sarà il punto in cui ci diranno che è iniziata da tempo, ma non ce ne eravamo accorti.E che ora dobbiamo combatterla.Per la libertà. Per la democrazia. Per l’ordine che loro hanno costruito.

Come no.

Per restare sempre in contatto senza censure, seguite il mio canale Telegram: https://t.me/carmen_tortora1
Auguro a tutti voi, e alle persone che amate, una Pasqua di verità, di cuore e di luce. Che possiate risorgere ogni giorno, nel silenzio del cuore e nella forza dell’anima.
17.04.202511:02
Bruxelles comanda, i sovrani obbediscono: la nuova Europa in stile NATO

Addio sogni di libertà: se il presidente serbo Aleksandar Vučić metterà piede a Mosca il 9 maggio per la Parata della Vittoria, l’Unione Europea gli chiuderà la porta in faccia. Il messaggio, lanciato da un funzionario del ministero degli Esteri estone al Telegraph, è limpido come un ultimatum mafioso: “Alcune decisioni comportano delle responsabilità”. Tradotto: se osi salutare i russi, dimentica Bruxelles.

Non è un caso isolato. Pochi giorni prima, il premier slovacco Robert Fico aveva annunciato con disinvoltura la sua partecipazione alla stessa parata. Apriti cielo. L’Europa, per bocca della solita Kaja Kallas, è esplosa in anatemi e minacce. Ecco la “libera” Unione: puoi viaggiare, certo, ma solo se è verso Washington.

Altro che Unione dei popoli, diritti e sovranità: quella che si sta costruendo è una fortezza elitista, selettiva, ipocrita. Dove il diritto di voto non è più un diritto, ma una concessione. Se segui la linea NATO-compatibile, bene. Se no, ti silenziano e ti cancellano.

L’Estonia, del resto, è già il prototipo perfetto di questa distopia. Da poco ha approvato una legge per escludere dal voto centinaia di migliaia di residenti russi e bielorussi. Il reato? Essere nati dal lato sbagliato della storia. E mentre vietano il voto a chi non si genuflette, cercano di espellere Viktor Orban con l’articolo 7, reo di avere ancora una propria opinione.

L’ipocrisia non finisce lì. In Estonia si sta eliminando la lingua russa, si distruggono i ponti culturali, si abbatte ogni forma di pluralismo in nome della sicurezza. Un’epurazione sistematica, etichettata come “difesa della democrazia”. Ovviamente quella brevettata dalla NATO.

Ma l’Estonia non è sola. Romania e Moldavia seguono il copione come da manuale: governi fotocopia, ONG telecomandate da Bruxelles e Washington, repressione travestita da progresso. Chi prova a dissentire viene bollato come “filorusso”, “sovversivo”, “nemico della libertà”. Orwell si starà chiedendo perché non ha messo il copyright.

E i Balcani? Sempre sul filo. La Serbia prova a galleggiare tra il richiamo panslavista e le promesse farlocche dell’Europa, ma Bruxelles non perdona chi esce dai binari. O sei allineato, oppure sei escluso. Non c’è spazio per i neutrali. In questa UE devi essere pro-qualcosa: pro-guerra, pro-sanzioni, pro-servilismo.

Nel frattempo, mentre l’Est viene risucchiato nel delirio e l’Ovest si blinda dietro cortine di censura, le élite europee tremano. Hanno paura. Dei popoli, della libertà, della realtà. E allora reagiscono come ogni regime che si rispetti: repressione legale, propaganda istituzionale, criminalizzazione del dissenso.

E poi c’è la Germania, ormai la caricatura di se stessa. Terra del “mai più totalitarismi”, oggi mette a processo chi osa fare satira. David Bendels lo ha scoperto a sue spese: sette mesi di pena sospesa per aver preso in giro la ministra Nancy Faeser. La stessa Faeser che intanto chiede di epurare la polizia da chi simpatizza per l’AfD. L’AfD che, per inciso, ha superato la CDU nei sondaggi. Ma che importa? Tanto non gli sarà mai concesso governare.

La libertà, in Germania come altrove, è diventata un privilegio concesso su base selettiva. Un teatrino in cui la repressione veste bene, si esprime in linguaggio inclusivo e viene venduta come tutela della democrazia.

Questa è l’Europa del 2025: puoi votare, parlare, ridere… ma solo se lo fai come dicono loro. Altrimenti, ti puniscono. Poi ti guardano negli occhi e ti dicono che è per il tuo bene. Per proteggerti dalla disinformazione.

Per restare sempre in contatto senza censure, seguite il mio canale Telegram: https://t.me/carmen_tortora1
16.04.202517:59
Colpevoli su presunzione: la giustizia predittiva del Regno Unito

Nel Regno Unito il crimine non è più una condizione, è una previsione. Basta il sospetto calcolato da un algoritmo e la sorveglianza parte. Il Ministero della Giustizia ha portato a termine nel dicembre 2024 un progetto che, se chiamato con il suo vero nome, si sarebbe tradotto in "Minority Report versione Crown". Per mantenere le apparenze, è stato ripulito e ribattezzato con una locuzione burocratica tanto inutile quanto ambigua: "Sharing Data to Improve Risk Assessment". L’etichetta giusta per nascondere l’odore acre di schedatura preventiva.

Dietro la facciata di efficienza si muove la solita alleanza tossica tra la Greater Manchester Police, la Metropolitan Police, il Ministero dell’Interno e l’instancabile Ministero della Giustizia. Obiettivo: schedare fino a mezzo milione di cittadini, inclusi quelli senza reati alle spalle. Il tutto con un’architettura di profiling costruita sull’Offender Assessment System, già ampiamente criticato per le sue distorsioni. Ora lo si vuole ampliare, integrando nuovi dati e moltiplicando i punti di controllo. Il risultato non è prevenzione, è sorveglianza di massa travestita da scienza esatta.

Nel mirino, la fascia demografica più sacrificabile nella narrazione identitaria del Regno Unito post-2020: l’uomo bianco britannico. Troppo normale, troppo colpevole per definizione. Il Sentencing Council aveva perfino provato a introdurre linee guida a doppio standard, in cui le minoranze ottenevano privilegi su cauzione rispetto agli uomini bianchi. La misura è saltata, ma non per un sussulto etico: semplicemente perché la destra ha cominciato a usare le stesse armi legali della sinistra. Il pregiudizio però resta intatto, stratificato nella struttura stessa del potere giudiziario.

Le critiche non mancano, ma vengono archiviate come rumore di fondo. Sofia Lyall di Statewatch ha definito il progetto per quello che è: agghiacciante e distopico. Gli algoritmi non stanno prevenendo reati, stanno creando bersagli. Nessuna autorità giudiziaria può verificare il funzionamento di una scatola nera piena di variabili opache, ma intanto si profila, si valuta, si seleziona. Il crimine non è più un atto, è un punteggio.

Nel frattempo, tutto prosegue senza dibattito, senza consenso, senza controllo pubblico. La narrazione ufficiale lo chiama ancora "fase di ricerca", ma la macchina è pronta e aspetta solo di partire. Nessuna fretta, il meccanismo si stringe lentamente, con la calma tipica delle strette ben progettate.

Chi vuole continuare a illudersi può farlo. Gli altri farebbero bene a rimanere collegati a chi ancora nomina l’elefante nella stanza. Perché il prossimo nome nell’elenco dell’algoritmo potrebbe essere già stato assegnato.

Per restare sempre in contatto senza censure, seguite il mio canale Telegram: https://t.me/carmen_tortora1
16.04.202508:04
Guerre eterne, confini chiusi e scienziati caduti: il nuovo ordine si fa strada tra dazi, droni e dogmi

Mentre l’Occidente gioca a ridisegnare il mondo con le ruspe della geopolitica e i compassi del potere armato, Zelensky firma l’ennesimo decreto per prorogare la mobilitazione in Ucraina. Altri 90 giorni a partire dal 9 maggio. Un’altra stagione di carne da cannone. La pace? Nemmeno contemplata. Non serve, non conviene, non rende. Il Parlamento ucraino obbedisce, la macchina bellica continua a divorare figli, speranze e futuro.

Dall’altra parte del Mediterraneo, Netanyahu risponde a Macron con l’usuale arroganza blindata. Uno Stato palestinese? “Incoraggerebbe il terrorismo”. Come dire che ogni idea di coesistenza è già un attentato. La linea resta quella di sempre: terra sì, diritti no. Perché ogni centimetro ceduto viene letto come cedimento, e ogni riconoscimento come pericolo. La narrativa israeliana è scolpita nel granito: o controllo totale o caos.

Intanto, Trump torna alla carica con la sua ricetta dazi e patriottismo economico. In un’intervista spiega che i dazi potrebbero tornare a essere la principale fonte di entrate per gli Stati Uniti, proprio come a fine Ottocento. Il sogno è chiaro: tornare al protezionismo totale, eliminare l’imposta sul reddito e finanziare lo Stato col commercio blindato. Una nazione forte e ricca perché chiusa, armata e selettiva. America first, anche nel fisco.

E poi c’è la Cina, dove qualcosa non torna tra le quinte della superpotenza digitale. Negli ultimi anni, una serie di scienziati legati all’Intelligenza Artificiale, alla tecnologia militare e alla sanità avanzata è improvvisamente sparita. Morti improvvise, silenzi tombali. Song Jian, Feng Yanghe, Tang Xiao’ou, He Zhi. Tutti giovani, tutti al vertice, tutti scomparsi nel giro di tre anni. Troppa IA, troppi segreti, troppo potere in mano a chi forse stava capendo troppo in fretta.

In questo scenario, dove si intrecciano guerra infinita, colonialismo di nuova generazione, protezionismo spinto e misteri letali sotto la maschera della scienza, il disegno si chiarisce. Il futuro non è più da scrivere: è già stato scritto. E chi prova a leggerlo troppo a fondo, smette di comparire nei titoli di testa.

Per restare sempre in contatto senza censure, seguite il mio canale Telegram: https://t.me/carmen_tortora1
15.04.202515:04
L’Unione Europea si inchina a Israele… e lava la coscienza a suon di miliardi

L’Unione Europea,
fedele al suo ruolo di vassallo impaurito, continua a inchinarsi davanti a Israele, condannando a parole ma evitando accuratamente di toccare davvero gli interessi del suo alleato. Così, tra una dichiarazione di "profonda preoccupazione" e un "invito al dialogo", ecco che si lava la coscienza stanziando 1,6 miliardi di euro alla Palestina.

Una generosa elemosina per sentirsi migliori: 1,2 miliardi in sovvenzioni e altri 400 milioni in prestiti, distribuiti tra l’Autorità Palestinese e la “ricostruzione” di Gaza e Cisgiordania. Ricostruzione, ovviamente, da rifare dopo ogni nuovo bombardamento tollerato in silenzio. L'ipocrisia si fa politica pubblica, e Bruxelles applaude sé stessa per l’impegno umanitario, mentre chiude un occhio – anzi due – su assedi, crimini e occupazioni.

Nel frattempo, i rapporti con gli Stati Uniti si raffreddano. Francia e Germania, paladini della crociata antirussa, ora pensano di tornare a importare gas da Mosca. Dopo due anni di propaganda e prezzi energetici alle stelle per “punire Putin”, si scopre che il gas americano costa troppo. Ma guai ad ammettere l’errore: si farà in silenzio, magari di notte, sperando che nessuno se ne accorga.

E la guerra in Ucraina? Germania divisa. Il futuro cancelliere Merz vuole inviare missili Taurus per colpire il ponte di Crimea, tanto per gettare altra benzina sul fuoco. Scholz frena, ma la solita danza della schizofrenia strategica tedesca continua: pacifisti a parole, interventisti nei fatti — purché non se ne parli troppo.

Intanto, in Sicilia, l'impianto ISAB venduto da Lukoil a GOI Energy affonda tra crisi e misteri societari. L’UE ha imposto le sanzioni, ma a pagare sono mille operai italiani e quasi diecimila famiglie legate all’indotto. A salvarlo, forse, sarà il solito “benefattore” israeliano, Benny Steinmetz. Una coincidenza, ovviamente.

E la Cina? Mentre l’Europa si contorce tra sanzioni, guerre per procura e bollette impazzite, Pechino registra un +12,4% di export a marzo. Le sue fabbriche sfornano merci a ritmo serrato prima che entrino in vigore nuovi dazi USA. Surplus record, PIL in ripresa e l’Occidente a guardare, confuso e accartocciato sulle sue contraddizioni.

Ma ehi, l’importante è sentirsi “dalla parte giusta della storia”. Anche se quella storia la si scrive in ginocchio.Per restare sempre in contatto senza censure, seguite il mio canale Telegram: https://t.me/carmen_tortora1
L’Olympic National Park
si trova nello Stato di Washington, nella parte nord-occidentale degli Stati Uniti, e rappresenta uno dei luoghi naturalistici più affascinanti del paese. Patrimonio dell’Umanità UNESCO, il parco si estende su una vasta area che racchiude tre ecosistemi distinti: la catena montuosa degli Olympic Mountains, la lussureggiante foresta pluviale temperata e una costa selvaggia che si affaccia sull’Oceano Pacifico.

Il cuore del parco è dominato dal Monte Olympus, spesso innevato, mentre le foreste pluviali di Hoh e Quinault, ricoperte di muschi e felci, offrono scenari quasi fiabeschi. Sulle spiagge battute dalle onde, come Rialto e Ruby Beach, si trovano tronchi d’albero levigati dal mare e affioramenti rocciosi suggestivi.
Buongiorno e buon martedì a tutti!

Per restare sempre in contatto senza censure, seguite il mio canale Telegram: https://t.me/carmen_tortora1
19.04.202517:59
Vi condivido la chiacchierata che avevo fatto con l’amico Francesco Tavoletta, una conversazione senza filtri su ciò che davvero si muove dietro le quinte della geopolitica e dell’economia globale. Spero la troviate interessante… e magari anche un po’ scomoda.

Per restare sempre in contatto senza censure, seguite il mio canale Telegram: https://t.me/carmen_tortora1
17.04.202507:59
Quando serve una sentenza per dire che l’acqua è bagnata

Nel Regno Unito ormai talmente “woke” da perdere il contatto con la realtà, serve la più Alta Corte per stabilire che no, le donne transgender non sono legalmente donne. Non identità fluide, non “genere percepito”, ma roba concreta: il sesso biologico.

La Corte Suprema britannica, con una sentenza di ben 88 pagine (per spiegare l’ovvio, ci vuole pazienza), ha ribadito che nella legge del 2010 per “donna” si intende una donna nata tale. Sì, davvero, siamo arrivati a questo punto.

Applausi (e sollievo) da parte di JK Rowling, ormai diventata l’oracolo del buon senso in tempi di confusione fluida. Anche Kemi Badenoch ha brindato: "Fine dell’era Starmer in cui le donne possono avere il pene". Serve aggiungere altro?

Nel frattempo, il NHS sta pensando di aggiornare le sue linee guida, finora così “inclusive” da far dormire donne biologiche nei reparti con uomini che si identificano come tali. Magari adesso qualcuno riaccende il cervello.

E il governo scozzese? Altro giro, altra negazione della realtà: non si scusa, difende la “buona fede” e ribadisce di voler rimanere “inclusivo”. L’importante è non discriminare… la logica.

Morale della favola? Quando la propaganda ideologica riesce a cancellare persino il significato della parola “donna”, c’è bisogno della Corte Suprema per ristabilirlo. Ma almeno, per una volta, ha vinto il buonsenso. Anche se, a quanto pare, va difeso come una specie in via d’estinzione.

Per restare sempre in contatto senza censure, seguite il mio canale Telegram: https://t.me/carmen_tortora1
16.04.202515:02
Vaia a Forum: meno obblighi, più propaganda – il vaccino spiegato dalla TV

Francesco Vaia, ex direttore della Prevenzione al Ministero della Salute e oggi paladino dei diritti dei disabili, approda a Forum per impartire l’ennesima omelia vaccinale in stile paternalista: niente obbligo, ma “convincimento”, ovviamente non basato su fatti, trasparenza o dibattito, bensì sull’eterno catechismo televisivo. Per Vaia, infatti, “fa molto di più una trasmissione TV delle leggi”. Parola d’esperto. Di comunicazione, s’intende.

A ispirare questa perla di saggezza è il caso di una madre che non vuole vaccinare il figlio e che, nel teatrino televisivo, viene dipinta come un’isterica da redimere. Occasione perfetta per Vaia per recitare il mantra: la gente rifiuta i vaccini solo perché li si obbliga. Non perché magari ha qualche dubbio legittimo, no, ma perché non li si accompagna abbastanza.

E qui scatta la nostalgia per la legge Lorenzin del 2017, quella che “ha solo alzato l’asticella” delle immunizzazioni. Poverina, non era abbastanza empatica. Ora la ricetta è: cittadini trattati come incapaci da guidare per mano verso la siringa, magari dopo una puntata ben fatta di Forum o un talk show coi soliti esperti a senso unico.

Ovviamente, nessun accenno – nemmeno per sbaglio – al fatto che questi vaccini, se tutto va bene, immunizzano per pochi mesi, e sempre sperando che non lascino strascichi più o meno gravi nel breve o lungo periodo. Ma questa parte non entra mai nella “buona comunicazione”: troppo scomoda, troppo vera.

Insomma, il cittadino ideale secondo Vaia è maturo solo se anestetizzato dalla propaganda, sedato dalla TV, e guidato come un minore non emancipato. E guai a uscire dal coro, che poi finisci pure a Forum come caso clinico.

Per restare sempre in contatto senza censure, seguite il mio canale Telegram: https://t.me/carmen_tortora1
16.04.202505:05
Due papà, una penna e nessun permesso: l’infanzia come campo di rieducazione

Nelle scuole elementari della provincia di Asti arriva in classe il fumetto “Perché hai due papà”, distribuito senza che nessuno pensasse di dover avvisare i genitori. La maestra lo dà ai bambini come fosse un qualunque libro illustrato, ma dentro c’è molto di più: il messaggio che due uomini possono avere un figlio “comprandolo” da una donna. Un'idea normalizzata tra le righe colorate, servita sotto forma di favola ai più piccoli, nella fascia d’età in cui la fiducia negli adulti è cieca e totale.

A segnalare il caso è Rossano Sasso, deputato e capogruppo in commissione Cultura. Ma non serve essere politici per capire la gravità del gesto. Basta essere genitori. Perché quando l’infanzia diventa terreno di indottrinamento e il banco di scuola un laboratorio ideologico, non si tratta più di apertura mentale, ma di imposizione. Subdola, silenziosa, calcolata. Niente dibattito, niente consenso informato. Solo l’ennesima penetrazione culturale travestita da “educazione”.

Le famiglie vengono aggirate, messe da parte, trattate come un ostacolo da superare. Chi decide cosa è “giusto” dire a un bambino di sette anni? Chi stabilisce che il modello familiare va ridefinito nei corridoi scolastici, senza nemmeno consultare chi quei bambini li ha messi al mondo?

L’operazione ha una firma chiara: attivismo ideologico travestito da inclusività, con l’appoggio di maestre che troppo spesso si trasformano in portavoce di una pedagogia ideologica. Sasso annuncia che se i fatti verranno confermati, denuncerà i responsabili. Ma nel frattempo, il seme è stato piantato.

Si chiama “educazione”, ma non c’è né libertà né trasparenza. Solo una mano invisibile che riscrive la realtà a misura di dogma, iniziando dai più piccoli. E la domanda non è “perché hai due papà?”. La domanda vera è: perché lo decidono loro, cosa devono pensare i nostri figli?Per restare sempre in contatto senza censure, seguite il mio canale Telegram: https://t.me/carmen_tortora1
15.04.202511:04
Il Pd ci mette la faccia (la tua)

Il Partito Democratico ha finalmente trovato il modo per mettere il bavaglio a chiunque osi esprimere un’opinione non allineata: rendere obbligatoria l’identità digitale sui social. Ovviamente non lo dicono così, troppo onesti per essere onesti. Parlano di
“protezione dei minori”, “lotta alla disinformazione”, “educazione digitale” e “hate speech”.
Tradotto: se non ti sottometti alla narrativa ufficiale, ti tolgono la voce. E pure l’account.

Alla Camera, in una conferenza stampa surreale, hanno presentato tre proposte di legge che sembrano uscite direttamente da un manuale distopico firmato da Zuckerberg e Ursula Von der Leyen dopo una cena al World Economic Forum. Non puoi leggere i testi? Pazienza. Devi fidarti. Hanno già deciso che sei un problema, quindi tanto vale schedarti e zittirti subito.

Prima mossa: censura camuffata da guerra all’IA. Hanno capito che i video, i meme e i contenuti scomodi danno fastidio, quindi li chiamano “deepfake” e si arrogano il diritto di bollare tutto ciò che li disturba come “contenuto generato artificialmente”. Così, anche se sei un essere umano in carne e ossa che documenta il reale, ti daranno del robot putiniano e ti bloccheranno il profilo. Non importa la verità. Importa chi la certifica. E guarda caso, saranno proprio loro.

Poi arriva il colpo di grazia: addio all’anonimato. Se vuoi stare sui social, dovrai farlo con tanto di identità digitale certificata. Altro che nickname: nome, cognome, e magari anche il numero di scarpe. Così potranno sapere tutto, controllare tutto, schedare tutto. Il pretesto? Proteggere i ragazzini dagli incel (termine che indica giovani maschi “involontariamente celibi”, spesso frustrati, isolati e usati come spauracchio mediatico per giustificare misure repressive online) (che per loro sono peggio dell’ISIS) e dalla "estrema destra", che a quanto pare si annida in ogni meme ironico e ogni commento dissenziente. E se osi parlare fuori dal coro, stai sicuro che l’AGCOM ti farà sparire. Non il post, proprio tu.

Non paghi di questo capolavoro repressivo, vogliono anche introdurre l’educazione digitale obbligatoria nelle scuole. Traduzione: propaganda preventiva per impedire che le nuove generazioni scoprano che esiste un pensiero diverso da quello imposto. Una bella lavata di cervello di Stato, con l'aggiunta di un osservatorio nazionale per “monitorare la rete”. Sì, proprio così: un organo pubblico che analizza ogni singola cosa che scrivi, posti o pensi online. Per la tua sicurezza, ovviamente.

E se pensavi che la rimozione dei contenuti potesse ancora essere decisa da chi gestisce le piattaforme, scordatelo: ora ci pensa direttamente l’AGCOM. Un clic e sparisci. Perché la censura deve essere efficiente, verticale e rapida. E soprattutto statale.

Il tutto condito con una narrazione ridicola, dove si prende una serie tv per adolescenti come prova dell’imminente catastrofe sociale e si spaccia come “progresso” un piano di sorveglianza degno della Stasi. Ironia vuole che queste perle legislative vengano presentate proprio a ridosso dell’annuncio di ProtectEU, la versione europea dello stesso incubo: niente anonimato, censura centralizzata, pensiero unico.

Il Pd ci mette la faccia. La tua. Perché la loro, da anni, l’hanno già venduta.

Per restare sempre in contatto senza censure, seguite il mio canale Telegram: https://t.me/carmen_tortora1
14.04.202517:59
Stato attuale del Trattato Pandemico

L’Organismo di Negoziazione Internazionale (INB) dell’OMS continua a limare una bozza di trattato pandemico che, una volta ottenute 60 ratifiche, diventerà legge globale.

Il grande evento è atteso per la 77ª Assemblea Mondiale della Sanità a maggio 2025. Si prepara il sipario per il prossimo atto della "salute" come cavallo di Troia del controllo.

❗️I punti dolenti (e inquietanti) dell’ultima bozza del 12 aprile 2025

1. Non è un trattato pandemico: è un trattato permanente


Malgrado il nome, il trattato non si applicherà solo durante le pandemie.

Sarà sempre valido, con l’OMS in grado di dichiarare "emergenze sanitarie" a piacimento. Un lasciapassare illimitato al potere esecutivo sanitario sovranazionale.

2. Diritti fondamentali? Inseriti, ma con riserva

Dopo essere spariti, riemergono nel testo diritti umani, dignità e libertà fondamentali – un contentino retorico.

Peccato che vengano affiancati al diritto internazionale umanitario, cioè il diritto di guerra. Ma che c’azzecca con la sanità? O ci stanno dicendo qualcosa?

3. Il Sud globale? Illuso e lasciato a se stesso

Il trattato era stato venduto ai Paesi più poveri come uno scambio: sorveglianza in cambio di soldi e tecnologia.

Ma nessuno, né i governi né Big Pharma, vuole pagare o condividere know-how. Il solito pacco firmato Occidente.

4. Via libera ai prodotti sanitari sperimentali

C’è un’intera sezione pensata per distribuire farmaci e vaccini non testati a popolazioni intere, grazie alle autorizzazioni d’emergenza.

Un sistema legale per trasformare ogni crisi in una fiera farmaceutica di massa.

5. OMS: da coordinatore a etichettatore globale

L’OMS potrà "prequalificare" farmaci e vaccini, bypassando autorità nazionali e standard locali.

Si preme sull’"armonizzazione regolatoria", ovvero: portare tutti allo standard più basso possibile. Più veloce, meno domande.

6. Recesso? Solo dopo tre anni

Nessuno Stato potrà uscire prima di tre anni. Poi sì, ma solo con un anno di preavviso.

Un vincolo pesante, blindato, quasi come se si stesse firmando un patto con il Leviatano sanitario.

7. Costi? Non pervenuti

Il trattato non accenna mai ai costi concreti.

Eppure si sa già che l’OMS chiederà quote associative più alte per compensare il buco lasciato dagli Stati Uniti, GAVI e CEPI. Altro che cooperazione: qui si paga per obbedire.

8. L’UE entra dalla finestra

È prevista una clausola speciale per far firmare il trattato all’Unione Europea, pur non essendo membro dell’OMS.

Così Bruxelles potrà parlare a nome di tutti gli Stati membri, esautorando i parlamenti nazionali.

9. Una volta dentro, scatta subito


Mentre le prime bozze parlavano di 30 o 40 ratifiche, ora ne servono 60.

Ma attenzione: basta raggiungere quel numero e dopo un mese il trattato entra in vigore. Nessun dibattito, nessuna pausa, nessun voto popolare.

Conclusione amara


Sotto il velo della "salute globale", il trattato introduce:

Poteri centralizzati e permanenti
per una burocrazia sanitaria non eletta.

Procedure di emergenza come norma
, utili per diffondere farmaci sperimentali.

Vincoli rigidi, costi ignoti, nessuna trasparenza.

E una promessa non mantenuta: quella di una vera cooperazione. Il Sud del mondo viene di nuovo usato come laboratorio, l’Occidente si blinda, e i cittadini… beh, non pervenuti.

Per restare sempre in contatto senza censure, seguite il mio canale Telegram: https://t.me/carmen_tortora1
17.04.202515:04
Assange e l’arte raffinata dell’insabbiamento istituzionale – firmato Keir Starmer & Co.

Nel civilissimo Regno Unito, dove la democrazia è sempre “esportabile” e la libertà di stampa si sventola solo quando fa comodo, il caso Assange si è trasformato in un perfetto manuale di repressione soft-core. Nessuna tortura fisica, certo: bastano burocrazia tossica, cavilli legali e una “paralisi procedurale” studiata a tavolino. Il tocco di classe? A gestire il teatrino, all’epoca, c’era Keir Starmer, oggi Premier inglese, allora a capo della Crown Prosecution Service. Che strano, eh?

Secondo i documenti, fu proprio la CPS a “consigliare” alla Svezia di non archiviare, ma nemmeno procedere. Il piano era chiaro: tenere Assange inchiodato in una specie di limbo giudiziario infinito. Il risultato? Detenzione arbitraria, secondo le Nazioni Unite. Ma tranquilli, tutto con la benedizione delle istituzioni britanniche.

E mentre Assange cercava rifugio nell’ambasciata ecuadoriana, l’avvocato chiave della CPS, Paul Close, decideva di andare in pensione... e puff! Il suo account email – contenente tutte le comunicazioni tra Londra e Stoccolma – viene cancellato. “Routine”, dicono. Una routine che cancella documenti chiave in un’indagine internazionale ancora aperta. Comodo, vero?

Ci sono voluti dieci anni, due sentenze e la tenacia di Stefania Maurizi per ottenere qualche brandello di verità. E la risposta ufficiale della CPS? “Non sappiamo quando o perché siano state eliminate le email”. Tradotto: non ci ricordiamo chi ha premuto il tasto “delete” durante uno dei più controversi casi giudiziari della nostra epoca.

La verità è che l’operazione Assange è stata una guerra sporca condotta con guanti bianchi. Hanno disintegrato un giornalista nel nome della “sicurezza nazionale”, poi hanno fatto sparire le prove con la grazia impiegatizia di un click.

E oggi? Assange è libero, ma il crimine è stato perfezionato: la giustizia occidentale ha imparato a uccidere la verità senza lasciare impronte. Tutto “secondo protocollo”, naturalmente.

Per restare sempre in contatto senza censure, seguite il mio canale Telegram: https://t.me/carmen_tortora1
17.04.202504:59
Convergenza Elettronica: Il Grande Ritorno della Guerra Fredda in Salsa AI

Nel deserto della California, l’esercito americano ha rispolverato i fantasmi della Guerra Fredda, aggiornandoli con qualche algoritmo e chiamando il tutto “Project Convergence Capstone 5”. Obiettivo: dimostrare che la guerra elettronica non è affatto morta, ma è viva, modulare, “interoperabile” e perfettamente allineata con la nuova narrativa da guerra globale su larga scala.

Soldati e tecnocrati hanno giocato a fare i cacciatori di segnali, geolocalizzando tutto ciò che emette radiofrequenze, mentre schiere di analisti e sviluppatori caricavano “carichi utili modulari” (ovvero attacchi digitali su misura) su sistemi pronti a colpire in tempo reale — tutto naturalmente "non cinetico", perché si sa, l’informazione è la nuova arma. Il tutto condito con frasi altisonanti come “ecosistema reattivo” e “Rapid Effects Generation Enterprise” — un modo elegante per dire che stanno costruendo la versione militare della suite Adobe, ma per la guerra.

Nel frattempo, l’Europa — o meglio, Berlino — non sta a guardare. Il ministro tedesco Pistorius ha annunciato una coalizione ad hoc per l’electromagnetic warfare a favore dell’Ucraina, mettendo sul piatto 11 miliardi di euro entro il 2029. Droni, jammer, sistemi IRIS-T, Patriot, Leopard e una montagna di nuove dottrine: è la NATO 2.0, dove la guerra non si combatte solo con i carri armati, ma anche con il Wi-Fi.

Tutto molto smart, tutto molto interoperabile. Ma a leggere tra le righe, è solo l’ennesimo upgrade di un conflitto perenne: la battaglia per il controllo dello spettro — e della narrativa.

Per restare sempre in contatto senza censure, seguite il mio canale Telegram: https://t.me/carmen_tortora1
16.04.202511:59
Crolli, maschere e paradossi: l’Occidente si sgretola tra rivolte, prestiti e psicosi

La facciata dell’ordine globale inizia a cedere, e lo fa con scene che sembrano uscite da un copione grottesco. In Ucraina, Zelensky licenzia l’ennesimo ufficiale dopo l’attacco russo a Sumy. Volodymyr Artyukh fa le valigie, ma il problema non è lui: è l’intero apparato che scricchiola. Il sindaco di Konotop parla di negligenza, mentre Kiev tenta disperatamente di spacciare epurazioni tattiche per strategia. Sumy, città dell'Ucraina nord-orientale al confine con la Russia, è finita sotto attacco diretto, con danni pesanti e popolazione in fuga. Quando non si può vincere, si cerca qualcuno da scaricare.

A migliaia di chilometri, l’idolo dei libertari Javier Milei abbandona il dogma e tende la mano proprio a quell’organismo che dovrebbe odiare: il Fondo Monetario Internazionale. Venti miliardi di dollari in prestito, chiesti da chi predica la morte dello Stato ma si inginocchia davanti alla banca centrale del mondo. L’Argentina si conferma il cliente fisso del Fondo, seguita da Ucraina, Egitto ed Ecuador: il club delle nazioni “libere” con il cappio al collo.

Negli Stati Uniti, intanto, la realtà deraglia. Un diciassettenne, Nikita Casap, uccide madre e patrigno per rubare il denaro necessario a finanziare un piano di attentato contro Donald Trump, pianificando l'acquisto di droni ed esplosivi per colpire il presidente e rovesciare il governo. Un mix tossico di ideologia deviata, neonazismo e sogni di fuga in Ucraina. L’FBI parla di “odio politico”, ma nessuno si chiede da dove venga questo odio, chi lo alimenti, chi lo normalizzi a colpi di omissioni mediatiche e polarizzazione tossica. L’unico dato certo: anche stavolta, l’obiettivo è Trump. E anche stavolta, ci si finge sorpresi.

Mentre l’Occidente finge di proteggere diritti, l’Ungheria di Orbán rovescia il tavolo: legge approvata, niente più Pride né raduni LGBTQ+. La motivazione ufficiale? Protezione dei minori. Quella reale? Resistenza aperta al diktat culturale imposto da Bruxelles. L’UE congela fondi, Budapest congela ideologie. Da una parte lo “stato di diritto” come mantra, dall’altra la sovranità nazionale come barricata. Chi vince? Dipende da che parte si guarda. O da cosa si è disposti a difendere.

Quattro episodi, un’unica traiettoria: la maschera del progresso globale si incrina, la retorica cede, i nodi vengono al pettine. Tra licenziamenti d’emergenza, prestiti ideologici, adolescenti in guerra con lo Stato e governi che sfidano l’ortodossia arcobaleno, il sistema vacilla. E sotto il cerone, resta solo un volto confuso che non sa più che direzione chiamare “democrazia”.

Per restare sempre in contatto senza censure, seguite il mio canale Telegram: https://t.me/carmen_tortora1
La Valle di Lauterbrunnen, incastonata nel cuore della Svizzera, è una gola spettacolare scolpita dai ghiacciai e circondata dalle imponenti vette delle Alpi Bernesi. Con le sue pareti rocciose a strapiombo, le cascate impetuose e i prati alpini, offre una bellezza selvaggia e quasi irreale. Spesso chiamata la “Valle delle 72 cascate”, Lauterbrunnen sembra un regno nascosto sospeso tra terra e cielo, dove la natura domina in tutta la sua maestosità.

Buongiorno e buon mercoledì a tutti!

Per restare sempre in contatto senza censure, seguite il mio canale Telegram: https://t.me/carmen_tortora1
15.04.202505:04
La Codifica Finale dell’Umano

Quello che si sta delineando sotto gli occhi distratti di un mondo anestetizzato è la codifica finale dell’umano. Non una rivoluzione, ma una migrazione silenziosa verso un sistema totalizzante, disegnato da mani invisibili e ben finanziate. I concetti di libertà, autodeterminazione e sovranità vengono ridotti a reliquie folcloristiche, da sacrificare con il sorriso sulle labbra per il bene comune, il pianeta, la sicurezza. La parola d’ordine è “transizione”. Il risultato, una prigione intelligente.

I grandi disastri del passato recente – crisi finanziarie, pandemie, guerre per procura – non sono più trattati come anomalie, ma come strumenti pedagogici. Servono a preparare il terreno. Prima si distrugge, poi si plasma. Il nuovo ordine non nasce dalla pace, ma dalla cenere. Ogni crisi è una finestra di opportunità per trasferire potere, delegare decisioni, normalizzare la sorveglianza. L’umanità viene educata all’emergenza.

Il mondo multipolare che viene annunciato è un'illusione coreografica. In realtà si tratta di un sistema modulare a controllo centralizzato, frammentato in blocchi funzionali e subordinati a una rete di standard comuni: digitali, ecologici, finanziari. Le nazioni diventano distretti. Le identità culturali, decorazioni. Tutto è interconnesso, ma nulla è libero. I tecnati regionali si parlano tramite protocolli IA, non tramite diplomazia. I decisori veri non si eleggono, si nominano nei consigli delle fondazioni.

Le città intelligenti sono il campo base di questo disegno. Ogni strada, ogni lampione, ogni frigorifero sarà uno strumento di rilevazione. La vita sarà ottimizzata, automatizzata, resa conforme. La mobilità, condizionata dal punteggio sociale. Il cibo, razionato per il bene del clima. Il lavoro, ridefinito in funzione della sostenibilità. I bambini, profilati fin dalla nascita. La libertà sarà un margine di tolleranza, non un diritto.

I Laboratori del Futuro – veri e propri centri di comando dell’architettura globale – elaborano scenari, testano tecnologie di controllo, scrivono il codice delle nuove relazioni sociali. Non si limitano a prevedere il domani, lo ingegnerizzano. Le decisioni non passano più per i parlamenti, ma per gli algoritmi. I modelli economici sono stabiliti da simulazioni predittive. Le politiche sociali, derivate da dati aggregati in tempo reale.

Le Nazioni Unite, una volta simbolo della cooperazione tra popoli, diventano l’interfaccia morale del potere tecno-finanziario. Non governano, certificano. Non ascoltano, standardizzano. Ogni nuova norma, ogni dichiarazione d’intenti, ogni agenda globale è un passo verso la legittimazione soft di un governo planetario. Le ONG si trasformano in agenzie di implementazione. Gli accordi internazionali, in dispositivi di esecuzione automatica.

L’intelligenza artificiale prende il comando operativo. È neutra solo in apparenza: riflette gli interessi di chi la programma. Analizza, decide, punisce. Nessun volto, nessuna firma, nessun contraddittorio. La democrazia viene bypassata in nome dell’efficienza. I diritti diventano token, i comportamenti sono tracciati, premiati o corretti. La trasparenza è unidirezionale: il sistema vede tutto, il cittadino nulla.

Sovrani non eletti siedono al vertice di questa piramide invisibile. I re della tecnologia, gli architetti del mondo che verrà. Non sono soggetti alle leggi: le scrivono. Governano la narrazione, possiedono i dati, decidono i limiti del possibile. Hanno trasformato la distopia in un protocollo di governance, il controllo in una funzionalità, la tecnocrazia in una fede.

Il piano è semplice: eliminare la complessità del mondo libero per sostituirla con una simulazione ordinata, prevedibile, programmabile. La libertà sarà compatibile solo se conforme. La ribellione, ridotta a bug da correggere. Il futuro? Già scritto. Il dissenso? Un’anomalia statistica. E l’essere umano? Un soggetto da ottimizzare.

Per restare sempre in contatto senza censure, seguite il mio canale Telegram: https://t.me/carmen_tortora1
14.04.202515:04
Trump, bombe, dazi e deportazioni: l’Occidente si prepara all’inferno… ma con ordine e calendario

Mentre Gaza brucia e l’Europa gioca a "difendersi nel 2030", gli Stati Uniti mostrano il lato più sincero del nuovo ordine mondiale: quello che parla come Trump, bombarda come sempre e pulisce la casa da immigrati come se fossero polvere.

Partiamo dal Texas. Trump ha scoperto che il Messico "ruba l'acqua", e lo fa da decenni. Il nemico, questa volta, non è il solito cartello della droga, ma il fiume Rio Grande. A quanto pare, i messicani non avrebbero rispettato un trattato del 1944 e mancherebbero all’appello ben 555,9 milioni di metri cubi d’acqua. Trump, armato del suo megafono su Truth Social, ha promesso dazi e sanzioni. Perché il Texas non si tocca, nemmeno quando si tratta di gocce d’acqua. L’oro blu è la nuova frontiera del nazionalismo idraulico.

Nel frattempo, gli Houthi nello Yemen attaccano la portaerei americana Harry Truman nel Mar Rosso. Un altro fronte caldo, un’altra bandierina sulla mappa del caos globale. Le guerre parallele si moltiplicano, mentre l’Occidente fa finta di gestire tutto col GPS.

Poi l’Ucraina. L’inviato speciale di Trump, Keith Kellogg, propone di dividerla come Berlino: Russia a est, truppe francesi e britanniche a ovest, una bella zona cuscinetto e via, tutto sotto controllo. Peccato che poi lo stesso Kellogg abbia fatto marcia indietro: “Il Times ha travisato”. Classico. Prima si lancia l’idea, poi si nega. L'importante è normalizzare il concetto: spartizione dell’Ucraina = ordine occidentale.

E l’Europa? Una barzelletta armata male. I giornali austriaci parlano di panico nelle capitali NATO per il possibile ritiro delle truppe statunitensi. Allarme rosso: non ci sono abbastanza munizioni, né difese aeree, né uomini. Ma tranquilli: c’è il progetto “Readiness 2030”, l’ex RearmEU, perché si sa... quando mancano le armi, basta cambiare il nome del programma. A Bruxelles è tutto pronto. Per il 2030. Peccato che siamo nel 2025.

Salvini nel frattempo si lamenta: "L'UE è un club con tessere gold". Si arrabbia perché “parlano di prontezza nel 2030” mentre si spendono miliardi ora in armamenti. E ha perfettamente ragione. Anche se probabilmente se ne dimenticherà al prossimo giro.

Nel frattempo Trump esclude smartphone e computer dai dazi. Il digitale non si tocca. Il cittadino consumatore deve restare connesso, aggiornato, e distratto. Guerre sì, ma con Netflix.

E poi, la perla finale: il piano per espellere un milione di immigrati illegali. Un record assoluto. Un vero “America First”. Altro che Obama. Trump vuole 2,5 volte più deportazioni. Il sogno americano è diventato un trasloco forzato.

E in Italia? Tajani annuncia che siamo “pronti” a portare la spesa militare al 2% del PIL. Per la NATO, per l’Europa, per la pace ovviamente. Quella pace che, a quanto pare, si misura in cannoni, carri armati e acronimi da manuale NATO.

Insomma: il mondo si divide, si arma, si sanziona e si purifica.Non è il caos. È l’ordine che avanza. A colpi di deportazioni, bombe intelligenti e trattati del secolo scorso. Il futuro si costruisce così: uno sterminio selettivo, una spartizione diplomatica e una tessera gold nel club dell’ipocrisia.

Per restare sempre in contatto senza censure, seguite il mio canale Telegram: https://t.me/carmen_tortora1
Паказана 1 - 24 з 339
Увайдзіце, каб разблакаваць больш функцый.