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22.02.202512:55
Osip Mandel’štam e Nadežda, il potere della parola
Osip, il poeta "dalle suole di vento" che un'epoca di lupi rese un novello Ulisse senza porti né Itache e Nadežda, custode della memoria poetica del marito.
Il "gemello letterario" di Anna Akhmatova era nato a Varsavia e si era formato a Pietroburgo mentre alla Sorbona aveva conosciuto Gumilëv, fondatore dell'Acmeismo e futuro marito dell'Akhmatova.
Amante dei classici greci e latini, oltre alla passione per la letteratura medievale francese e l'arte veneziana del Rinascimento, Osip leggeva Dante in italiano e Goethe in tedesco.La sua erudizione non gli impediva di ammirare, con la stessa passione, i colori del cielo, la terra gialla dell'Armenia e le creature della natura.
Tra tutti i poeti dell'Età dell'Argento era il più fragile ed indifeso ma il più temuto dal potere che, dopo averlo emarginato, gli tolse la libertà e la vita. La ragione, secondo Brodskj, risiede nel fatto che "un poeta si mette nei guai non tanto per le sue idee quanto per la sua superiorità linguistica" ed Osip, come "uno schiavo che aveva vinto la paura", componeva poesie che mettevano in discussione tutto l'ordine esistenziale.
Poeta puro, creava i suoi versi camminando e borbottando per poi dettarli alla fedele Nadezhda che nascose e divulgó le poesie del marito tra mille pericoli imparando ad essere "ferma come l'acqua e bassa come l'erba".
Negli ultimi tempi della sua vita Nadežda si chiedeva continuamente se aveva fatto capire al marito con sufficiente chiarezza quanto lo amava e quanto lui fosse importante per lei. Nelle sue memorie scrisse:"Non so dove sei. Se mi senti. Se sai quanto ti amo. Non ho fatto in tempo a dirti quanto ti amo. E non so dirlo nemmeno adesso. Dico solo: per te, per te… Sei sempre con me, e io, selvaggia e cattiva, io che non ho mai saputo piangere, adesso piango, piango, piango."
https://t.me/cultura_itru
Osip, il poeta "dalle suole di vento" che un'epoca di lupi rese un novello Ulisse senza porti né Itache e Nadežda, custode della memoria poetica del marito.
Il "gemello letterario" di Anna Akhmatova era nato a Varsavia e si era formato a Pietroburgo mentre alla Sorbona aveva conosciuto Gumilëv, fondatore dell'Acmeismo e futuro marito dell'Akhmatova.
Amante dei classici greci e latini, oltre alla passione per la letteratura medievale francese e l'arte veneziana del Rinascimento, Osip leggeva Dante in italiano e Goethe in tedesco.La sua erudizione non gli impediva di ammirare, con la stessa passione, i colori del cielo, la terra gialla dell'Armenia e le creature della natura.
Tra tutti i poeti dell'Età dell'Argento era il più fragile ed indifeso ma il più temuto dal potere che, dopo averlo emarginato, gli tolse la libertà e la vita. La ragione, secondo Brodskj, risiede nel fatto che "un poeta si mette nei guai non tanto per le sue idee quanto per la sua superiorità linguistica" ed Osip, come "uno schiavo che aveva vinto la paura", componeva poesie che mettevano in discussione tutto l'ordine esistenziale.
Poeta puro, creava i suoi versi camminando e borbottando per poi dettarli alla fedele Nadezhda che nascose e divulgó le poesie del marito tra mille pericoli imparando ad essere "ferma come l'acqua e bassa come l'erba".
Negli ultimi tempi della sua vita Nadežda si chiedeva continuamente se aveva fatto capire al marito con sufficiente chiarezza quanto lo amava e quanto lui fosse importante per lei. Nelle sue memorie scrisse:"Non so dove sei. Se mi senti. Se sai quanto ti amo. Non ho fatto in tempo a dirti quanto ti amo. E non so dirlo nemmeno adesso. Dico solo: per te, per te… Sei sempre con me, e io, selvaggia e cattiva, io che non ho mai saputo piangere, adesso piango, piango, piango."
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CI
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04.02.202507:52
Devana: La Signora delle Foreste e della Luna
Testo di Anna Maria Messuti
In una notte di luna piena, quando il confine tra il mondo umano e quello selvaggio si assottiglia fino a svanire, un’ombra danza agile, accompagnata dall’ululato dei lupi e dal fruscio delle foglie. È Devana, una delle figure più affascinanti e misteriose del pantheon slavo, figlia di Perun, dio del tuono, e moglie di Svjatobor, il dio delle foreste delle antiche leggende slave.
Come Artemide per i Greci o Diana per i Romani, Devana regna sugli animali selvatici e sui territori incontaminati. Nelle tradizioni slave, però, il suo carattere è più sfaccettato, a volte persino contraddittorio: è una protettrice, ma anche una predatrice; una figura materna per chi rispetta i boschi, ma una minaccia per chi li viola. Non a caso, in alcune regioni slave, si credeva che i cacciatori imprudenti potessero incontrare il suo sguardo furioso tra le nebbie mattutine, trasformandosi in pietra o perdendosi per sempre tra gli alberi.
La sua associazione con la luna aggiunge un ulteriore velo di mistero, poiché Devana incarna elementi opposti: è fuoco, movimento e istinto.
Nelle notti di plenilunio, le donne delle comunità rurali le dedicavano canti e offerte, chiedendo fertilità o protezione durante i parti. Un’usanza che ricorda i khorovod (хоровод), le danze circolari tradizionali, spesso legate ai cicli naturali e a divinità femminili come le rusalke.
La figura di Devana assume un significato quasi profetico, poiché ci ricorda che la natura non è un “luogo da conquistare”, ma una forza con cui dialogare, che esige rispetto.
Forse, nelle sere d’inverno, quando il vento ulula tra i rami spogli, è ancora lei a cavalcare l’orso sacro, sfidando chiunque osi dimenticare il potere antico e indomabile della natura.
Immagine: Andrej Šiškin, "Devana", 2013.
Cultura Italia-Russia
Testo di Anna Maria Messuti
In una notte di luna piena, quando il confine tra il mondo umano e quello selvaggio si assottiglia fino a svanire, un’ombra danza agile, accompagnata dall’ululato dei lupi e dal fruscio delle foglie. È Devana, una delle figure più affascinanti e misteriose del pantheon slavo, figlia di Perun, dio del tuono, e moglie di Svjatobor, il dio delle foreste delle antiche leggende slave.
Come Artemide per i Greci o Diana per i Romani, Devana regna sugli animali selvatici e sui territori incontaminati. Nelle tradizioni slave, però, il suo carattere è più sfaccettato, a volte persino contraddittorio: è una protettrice, ma anche una predatrice; una figura materna per chi rispetta i boschi, ma una minaccia per chi li viola. Non a caso, in alcune regioni slave, si credeva che i cacciatori imprudenti potessero incontrare il suo sguardo furioso tra le nebbie mattutine, trasformandosi in pietra o perdendosi per sempre tra gli alberi.
La sua associazione con la luna aggiunge un ulteriore velo di mistero, poiché Devana incarna elementi opposti: è fuoco, movimento e istinto.
Nelle notti di plenilunio, le donne delle comunità rurali le dedicavano canti e offerte, chiedendo fertilità o protezione durante i parti. Un’usanza che ricorda i khorovod (хоровод), le danze circolari tradizionali, spesso legate ai cicli naturali e a divinità femminili come le rusalke.
La figura di Devana assume un significato quasi profetico, poiché ci ricorda che la natura non è un “luogo da conquistare”, ma una forza con cui dialogare, che esige rispetto.
Forse, nelle sere d’inverno, quando il vento ulula tra i rami spogli, è ancora lei a cavalcare l’orso sacro, sfidando chiunque osi dimenticare il potere antico e indomabile della natura.
Immagine: Andrej Šiškin, "Devana", 2013.
Cultura Italia-Russia
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