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Arte russa con Emanuela
Konstantin Korovin, la festa nei gesti della gente.

Emanuela Castiglione per Cultura Italia-Russia

Spumeggiante, brioso, traboccante di gioia; questo quadro è intitolato semplicemente "Inverno russo" ma l'atmosfera che si respira è talmente festosa che il pensiero va subito alla Maslenitsa, la settimana in cui si saluta l'inverno. Inverno che qui è ancora potente, come testimoniano le spesse falde di neve che il pennello del pittore ha distribuito generosamente sul suolo, sugli alberi e sui tetti; ma fra i rami dietro le case si intuisce un verde tenero di gemme pronte, e le nubi in cielo non trattengono più la luce dorata del sole, che illumina l'immagine riflettendosi in basso come un immenso lampadario.
Una troika arriva al galoppo: l'impeto della corsa è reso dal braccio alzato del conducente e dalle zampe dei cavalli. La gente festeggia in strada; donne in abiti coloratissimi con giubbetti corti, che sembrano muovere passi di danza perchè c'è anche la musica: in primo piano suona una fisarmonica, mentre sulla soglia delle casette i paesani si affacciano per salutarsi.
Ombre, gesti, luci, tutto guizza su questa tela, comunicando allegria; ma è doveroso indugiare sui dettagli per cogliere la bravura dell'artista, la magia delle pennellate che, cospargendo la neve di onde sfumate, ce ne fa percepire la corposità, e proiettando le ombre delle figure in movimento ne raddoppia la vivacità.
Il tema piaceva molto a Korovin, che dipinse la Maslenitsa con nostalgia anche dopo essersi trasferito per sempre in Francia.

🏞 Konstantin Alekseevič Korovin (1861-1939)
"Inverno russo", senza data

🎨 Arte russa con Emanuela
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Olga Tarovik - Storia della Russia
I canti epici russi (Былины)

I poemi epici antichi russi si chiamano bylìna (“quello che fu”) o starìna (da staryj, vecchio). I loro eroi sono i bogatyr, guerrieri mitici dotati di forza sovrumana.

Composti da autori ignoti, questi poemi venivano declamati sia ai banchetti dei principi che alle feste dei villaggi. I cantori che li eseguivano (in versi non ritmati) solitamente si accompagnavano col gùsli, un antico strumento a corde. Ogni cantautore aggiungeva del suo alla storia, perciò ogni bylina ha tante versioni. Oggi abbiamo circa 300 testi su circa 100 vari soggetti o storie.Tramandati così oralmente da un cantore all’altro, i byliny arrivarono al XIX secolo, quando si iniziò a raccoglierli sistematicamente.

I canti epici medievali si dividono in due grandi cicli: quello kievano e quello novgorodese.

Il ciclo kievano è legato, appunto, alla città di Kiev e alla mitica figura del principe Vladimir il Bel Sole. I tre personaggi principali del ciclo kievano sono Il’ja Muromets, Dobrynja Nikitič e Alёša Popovič, che difendono la “Terra Russa” dai nemici e da vari mostri, per tornare poi a banchettare all’alto palazzo dorato del buon principe Vladimir.

Il ciclo di Novgorod, repubblica mercantile, ha invece come personaggi audaci viaggiatori, marinai e mercanti che riescono a compiere viaggi pericolosissimi e tornare sani e salvi, carichi di tesori: Sadko e Vasilij Buslaev.

Esiste anche una divisione dei bogatyr in “maggiori” e “minori”. Quelli “maggiori” sono incarnazioni precristiane delle forze della natura, potenti e a volte distruttive: Svjatogor, un gigante alto come le montagne, Volgà Svjatoslavič, mannaro e cacciatore, e Mikula Seljaninovič, possente agricoltore.

Quando il loro tempo finisce, al loro posto vengono i bogatyr minori. Questo passaggio è raccontato bene nel canto “Il’ja Muromets e Svjatogor”, dove Svjatogor muore e trasmette la sua forza magica a Il’ja, uno dei bogatyr dell’epoca cristiana, che parte per offrire i suoi servigi al principe Vladimir il Bel Sole.

Img: Ivan Bilibin, Il'ja Muromets e Svjatogor. 1940

Olga Tarovik - Storia della Russia
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Cultura Italia-Russia
Igor Grabar (1871-1960): dal passato al futuro attraverso la tradizione
Testo di Emmanuela Castiglione

Di questo artista che, nella sua lunga vita, vide scomparire un mondo e nascerne un altro, e visse due conflitti mondiali e una rivoluzione, la prima cosa certa da affermare è l'amore immenso per il paesaggio russo, costantemente vivo nella sua anima. Dal primo all'ultimo quadro sono evidenti l'interesse, l'entusiasmo e la gioia nel cogliere la vitalità degli elementi, i contrasti cromatici, la luce potente della natura russa, fissandoli sulla tela ed eternandoli nell'arte.

Quest'immagine rivela tutte le sue capacità: poche tinte, un chiaroscuro sapiente, la distribuzione ariosa della luce, ed eccoci immersi nella pace del lago, fra le betulle che giocano con le nubi. Grabar lavorava "en plein air" anche nella neve, pur di catturare i riflessi cangianti del gelo e le scintille dei raggi di sole; per lui però la Russia non fu solo il fruscio delle fronde o il rosso delle bacche di sorbo: fu infatti archeologo, restauratore e scrittore, valorizzatore della cultura patria anche nello Stato Sovietico.

Grazie alla sua opera di studioso furono preservati monasteri e musei, tramite la sua opera di artista l'immenso retaggio dei paesaggisti ottocenteschi fu trasmesso alle nuove generazioni, con la consapevolezza che anche la natura, nella sua armonia, è una realtà eternamente e universalmente valida.

Igor Emmanuilovič Grabar (1871-1960)
"Sul lago", 1926
Museo Russo di San Pietroburgo


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